lunedì 9 luglio 2018

Riprendere la navigazione... Altri appunti sparsi - “Per menare il remo bisogna che le cinque dita della mano si aiutino l’un l’altro.” - Giovanni Verga




Sono passati oltre quattro mesi dal disastro delle elezioni politiche.
Abbiamo intanto perso le elezioni amministrative, con il "caso Toscana", che ha visto altri tre Comuni Capoluogo passare al (centro?)destra.
Massa.
Pisa.
Siena.

Un crescendo rossiniano.
Città governate dal Centrosinistra, nelle sue varie forme, per lunghi anni, in alcuni casi ininterrottamente dal Dopoguerra ad oggi.

Quindi, se fossimo in un quadro normale, qualcuno potrebbe dire che è l'alternanza, che la democrazia si realizza, specialmente in questi tempi liquidi, anche in questo modo.
Però, non siamo in un quadro ordinario.
Perché non è accaduto -basta guardare i flussi elettorali- che improvvisamente la Toscana si sia svegliata di (centro?)destra.
Basta guardare i flussi elettorali, e basta vivere il territorio.
Vivere da cittadini "normali", fra cittadini "normali".
Prendere il treno tutti i giorni, per esempio, può essere un modo utile per "sentire" il territorio.
C'erano tutti i segnali.

C'era una partecipazione sempre inferiore alle elezioni.
Ogni anno, ad ogni elezione, dal 2014 in poi, cresce l'esercito dei cittadini senza casa.

All'indomani delle elezioni dell'Emilia Romagna, dopo i fasti del 40% conquistato dal Pd alle elezioni europee, solo il 30% dei cittadini andò a votare.
Ma il centro(sinistra?) aveva vinto, e solo in pochi ci curammo di quell'esercito di scomparsi. Solo in pochi avvertimmo che un granellino di sabbia si stava infilando nell'ingranaggio.

Ma fu un florilegio di "gufi, rosiconi, sciacalli"...

E intanto, io che viaggiavo in treno sentivo la parabola del nuovo Pd, quello tutto giovani&storytelling, che era sempre più al centro delle osservazioni perplesse dei frequentatori di quel treno che ogni mattina continuavo e continuo a prendere.

E poi le elezioni del 2015, le regionali della Toscana, con la Lega che si affermava già come secondo Partito, al 20%.
Ma anche allora vincemmo, e quindi andava bene.

E abbiamo (hanno) continuato, fra una narrazione e una partita alla Playstation, a festeggiare.
Perché le primarie andavano sempre nello stesso modo.
La sinistra interna perdeva e quindi aveva torto.

Ma le secondarie andavano anch'esse sempre nello stesso modo.
Perdevamo.
Ma siccome c'era ancora lo storytelling e si diceva le elezioni amministrative non possono avere valore politico, andava bene così.

E giù botte contro la Cgil, e via foto con Marchionne, che diventava punto di riferimento, perché "ha fatto lavorare più gente lui del Sindacato".

E poi venne il momento del referendum costituzionale.
I nemici erano, come sempre, la Cgil e i "professoroni".
Tutti "nemici del popolo", ombre contro "il Sol dell'Avvenire".
Ma nel frattempo io continuavo a viaggiare in treno, e i fasti del 2014 si allontanavano sempre di più, mentre sui territori -su TUTTI i territori- i gruppi dirigenti erano sempre più convinti che non si poteva che vincere.

Ma il 40%, stavolta, lo presero gli "altri".
I "professoroni", la Cgil, la vituperata intelligentia del mondo dello spettacolo -i giornalisti di Repubblica, invece, andavano bene: quella era intelligentia buona, che usava l'I-pad, mica il telefono a gettoni!

Eppure anche lì, anche allora, vi giuro che ho sentito con le mie orecchie Compagni dirmi che avevamo vinto, perché pur avendo tutti contro avevamo, da soli, preso il 40%.
Questa era la parola d'ordine.
L'hanno detto davvero.


Il resto è storia più recente.
La scissione, che oggi è diventata il centro di tutte le colpe.
Con i Compagni dei territori sempre più lontani.
E non parlo solo dei gruppi dirigenti.
Perché a Pistoia, per esempio, pochi hanno fatto la scelta di uscire dal Pd.
Eppure abbiamo perso.

Abbiamo perso nel 2017, e abbiamo perso alle politiche del 2018.
Non parlo di Pescia, perchè casomai ne parlerò in Direzione Provinciale: io sono ancora abituata così: prima gli organismi dirigenti.
Mi sarebbe piaciuto che tanti importanti rappresentanti del mio Partito avessero fatto altrettanto nel 2017, ma lasciamo stare...

Questi sono i fatti.

Chi ha voluto aver orecchie per ascoltare le persone con cui ora ci è presa la smania di andare a parlare, avrebbe ascoltato tutto questo.
Ammirazione.
Poi speranza.
Poi perplessità.
Poi delusione.

Ed ora odio.

Perché la verità è che oggi la maggior parte delle persone, soprattutto quelle che dovremmo rappresentare, ci ha in odio.

Perché?
Davvero c'è chi ancora pensa che questo sentimento nasca dal fatto che "siamo litigiosi"?
Che "siamo stati poco sui social"?
Che "non abbiamo saputo raccontare tutte le cose buone che avevamo fatto?

Non sarà invece che le persone ci hanno in odio perché oggi ci sono cinque milioni di poveri?
O perché oltre duemilioniesettecentomila (leggetela tutto d'un fiato, fa effetto) persone non riescono a mangiare due volte al giorno, se non ci fosse (ancora) una sana rete di welfare locale, e che di queste ben quattrocentocinquantacinquemila (tutto d'un fiato) sono bambini al di sotto dei quindici anni?
O perché invece di aumentare le tutele, le abbiamo tolte a chi le aveva, con una furia ideologica, che neanche Berlusconi era riuscito a perseguire?
O perché le ore lavorate si riducono di anno in anno?
O -per i più accorti- perché fai una commissione d'inchiesta sulle banche, nella quale si parla anche e soprattutto di noi, e la si affida a Perferdinando (tutto d'un fiato) Casini, che poi candidi (a Bologna)?


Così, a occhio, io credo che i motivi stiano sostanzialmente qui.
Perché le cose sono più semplici di quanto appaiano: se le persone stanno meglio, non ti voltano le spalle. Se stanno peggio, sì.
Specialmente se, mentre non fai nulla per loro (ed il REI, provvedimento sacrosanto, ma troppo ridotto negli importi, e soprattutto fatto troppo tardi, non poteva bastare), magari offendi anche chi ancora li tutela, e magari ti portava anche i voti.

E invece, le nostre analisi, se e quando le facciamo, si avvitano ancora attorno ai nomi, ai vittimismi, alle fake news.

E c'è ancora chi si chiude in una stanza, e pensa di fare il gioco delle tre carte.
A decidere chi farà cosa e quando.
Come se ancora le secondarie corrispondessero perfettamente alle primarie.
Come quando c'era IL PARTITO.che ha
Quel Partito che, complice qualcuno che era nella FGCI "Quando c'era Berlinguer", avete voluto liquido, ormai rarefatto, ed oggi è talmente rarefatto da essere completamente inesistente nella società, mentre sui territori riesce ormai a parlare pressoché soltanto di formule organizzative.
E ovviamente, parla solo a se stesso.

Ma nel frattempo, mentre c'è chi gioca alle tre carte, le persone, quelle che io sul treno sentivo e sento, hanno fatto saltare il banco.

Rien ne va plus. 
Non si gioca più, signori.

Saremo giudicati per ciò che faremo, non per come lo racconteremo.
Saremo giudicati per la nostra credibilità.
Per la nostra coerenza. Per ciò che sappiamo rappresentare.

Bisogna prendere coscienza dello tsunami che ha investito il Partito Democratico,  ma non basta dirlo, ripeterlo ad ogni piè sospinto, se poi quegli stessi che lo ripetono continuano ad usare gli stessi metodi, dalla cooptazione in giù.

Per questo, dico, non sarà sufficiente nemmeno l'ennesimo congresso, soprattutto se sarà l'ennesima manfrina che risponde al nome di primarie.
Perchè sappiamo già che vincerle (che brutto quel "perderete ancora") non serve assolutamente più a niente, se non ad accarezzare qualche ego e rafforzare qualche conventicola.

Per questo, o sarà congresso vero, o non servirà assolutamente a niente, se non a rafforzare quei paletti che alcuni hanno piantato fra noi e il nostro popolo (no, meglio: voi e il nostro popolo, perchè io non ho piantato alcuna staccionata).

Quindi, aspetto di capire regole e soprattutto percorso.
Perchè da qui a febbraio può essere un tempo lungo, o brevissimo.

Io so quello che c'è fuori.
Vedo un popolo, un centrosinistra sociale e civico colmo di persone che hanno abbandonato soprattutto il Pd perchè non sono state più rappresentate.
Niente più, e niente meno.

Persone che vengono dal cattolicesimo progressista, dal mondo del terzo settore, dalla cooperazione sociale, dalla sinistra sociale.
Persone che conosco, che frequento, che ho frequentato, e con cui ho condiviso tratti di strada importanti.
Persone che non aspettano altro che un cenno dal Pd.
Un cenno vero, però, non un'operazione di restaurazione, in un potere fine a se stesso che sa solo riprodursi ed autotutelarsi.

E' il momento di dire basta a tutto questo.

O ci saranno segnali chiari di voler fare tutto ciò, o sarà inutile anche iniziare un finto congresso.
Perchè chiunque lo vinca -anche fosse un esponente che sento più affine- si troverà invischiato in un blob informe, che nulla di diverso potrà produrre.

E' il momento di tornare a scommettere su tutti quei segmenti di società che non ci (vi) sono interessati ormai da tempo.
Che tornavano ad essere "ascoltati" solo in occasione di una qualche tornata elettorale, e che giustamente hanno cercato la protezione sociale di cui avevano bisogno altrove. Mentre altri, hanno rinunciato a votare.

Si spiega così, assai semplicemente.

Io, con quel mondo lì non ho mai interrotto il dialogo, perchè sono persone che fanno parte di me, del mio percorso di vita.
E sceglierò di scegliere loro, stavolta.

Credo, quindi, che da settembre sarebbe bene cominciare a tornare a parlare con loro, con queste persone, senza simboli di partito, che ormai non dicono più nulla a nessuno.

E quanto costa scrivere queste parole, a me che sono nata e cresciuta dentro un Partito!
Quanto mi costa, dopo aver rinunciato a un pezzo di vita e ad una cultura politica per fondare un nuovo progetto.

Quel progetto, così come lo avevamo fondato, non esiste più.
In una società divisa, atomizzata, frammentata, ci sarebbe stato bisogno di quel bel progetto!
Ma il tempo sta scadendo, non possiamo più fingere di essere in un tempo ordinario.

E siccome non viviamo in un tempo ordinario, la mia risposta non sarà né ordinaria, né scontata.

Non ci sarò a prescindere, non ci sarò con tutti.
Riprendo la navigazione.

Chissà dove mi porterà?