giovedì 24 agosto 2017

Contro la marea di minacce e divisione non si può essere timidi. Soprattutto quando si giverna una comunità.

A Pistoia sta accadendo qualcosa di molto grave.

Comunque la si pensi su immigrazione, accoglienza, e ruolo della religione, siamo di fronte ad una sequenza di fatti che vanno oltre la destra e la sinistra, e che stanno mettendo a rischio la tenuta democratica della nostra comunità.

Forse chi non è pistoiese non può comprendere la gravità di quanto sta avvenendo, perché il clima di odio, minaccia e violenza che sta dilagando non è diverso da quello che attraversa il nostro Paese.
Ma questa città, la nostra città, pensavo avesse anticorpi democratici più forti.
Pensavo avesse una capacità di coesione sociale molto più forte.

Dallo scorso fine settimana, l' argine si è rotto.

E le offese ad un prete che accoglie diversi profughi e diverse persone non straniere (ma a che giova questa distinzione, oggi, in un mondo sempre più piccolo, e soprattutto per chi compie una missione evangelica?) sono diventate una marea sempre più invasiva.

Una marea che fra stanotte ed oggi ha raggiunto il suo apice, prima con lo striscione davanti al SeminarioVescovile, contro l' accoglienza, e poi con il comunicato di Forza Nuova, delirante nei toni (vigileremo sulla "cattolicità" di Biancalani, domenica alla messa) e pericoloso nell' obiettivo, che è evidentemente quello di gettare benzina sul fuoco.

In tutto questo, fragile, fragilissima, e inesistente nelle ultime ore -proprio quando la marea più si alzava- ho sentito la voce del Sindaco.

Il Sindaco, che io conosco personalmente, e che non ho mai attaccato frontalmente, perché non voglio in alcun modo essere tacciata di strumentalità, non può continuare a tacere.

Non più.
Non ora.

Dopo un comunicato assai blando -certo più apprezzabile delle invettive o dei silenzi di molti dei suoi sostenitori- è seguito il silenzio.

Mentre Pistoia passa da Capitale della Cultura a capitale dell' odio razziale, mentre la marea delle invettive sfocia nelle minacce di Forza Nuova e nello striscione provocatorio di CasaPound, il nostro Sindaco -che è il punto di riferimento di tutta la comunità civile pistoiese- intende continuare a tacere?

Dobbiamo pensare che vada bene così?

Abbiamo passato la campagna elettorale a sentirci dire che il fascismo era finito e che dovevamo guardare avanti.
Oggi abbiamo la prova che toni fascisti e squadristi non sono passati.

Sono qui.

Oggi più forti di ieri.

E chiedo, da cittadina, una parola chiara al mio Sindaco: va davvero bene così?

Va bene una comunità divisa, toni violenti, un prete che deve essere sorvegliato mentre dice la messa?

No.
Non va bene.

E destra e sinistra non c' entrano nulla.

Si sceglie fra fascismo e democrazia.
Fra politica e minaccia.

E come questo Sindaco è stato democraticamente eletto, pretendo che tuteli la democrazia di questa nostra comunità.
Perché non c'è democrazia se ci sono minaccia e violenza.

giovedì 3 agosto 2017

Le stragi nel Paese che ricorda, senza memoria

Il nostro è un Paese strano.

È un Paese abituato a celebrare il ricordo, ma con la memoria corta.

Che vuol dire non dimenticare (Falcone, Borsellino, Moro, le stragi), ma relegare in una teca quel momento in cui non si dimentica, farne celebrazione -magari anche sentita- ma che dura lo spazio di un giorno, forse due.
Senza fare opera di approfondimento, senza interrogarsi su come i fatti siano avvenuti, sul perché siano accaduti, e sul perché spesso conosciamo gli esecutori materiali e assai raramente chi ha ideato e costruito queste morti, che siano individuali o stragi che hanno causato decine e decine di vittime.

Ieri abbiamo ricordato la strage di Bologna, e nessuna rete televisiva generalista mi pare abbia dedicato spazio ai fatti che convolsero la civilissima Bologna e scossero tutto il Paese.

Quanto ne sanno i giovani?
Non hanno diritto, i nostri ragazzi, di sapere perché quell'orologio è fermo alle 10.25?

Perché questa sorta di rimozione collettiva, che sembra quasi aver trascinato dietro una nebbia opaca le vittime, le loro storie, e il dramma di una città il cui tratto distintivo è da sempre il civismo?

Ho pensato molto, in questi giorni, a quei fatti.

Ci ho pensato senza avere la competenza dello storico, ma solo la conoscenza che la mia generazione e quelle precedenti hanno dello stragismo.

Come ha avuto a dire qualcuno, il tempo si è fermato agli esecutori.

E questo non è normale.
Non siamo normali noi, che ci accontentiamo dei nomi di Mambro e Fioravanti, e che narriamo semplicemente, quasi fosse un fatto ineluttabile, del ruolo che P2, mafia e servizi segreti deviati ebbero nel depistare, cancellare, proteggere.

Forse perché prendo il treno ogni giorno, forse perché come molti di noi conosco persone che si sono salvate per un caso, per il destino o per chissà cosa (Toscana e Emilia hanno solo quel crinale che più che dividerle, per tante ragioni, le unisce) per me la strage di Bologna ha una portata emotiva fortissima.

Ma non basta.
Non è solo con l' emotività, che questo Paese può andare avanti.
Perché è l' emotività che trasforma la memoria in ricordo, e così facendo degrada gli eventi da fatto collettivo a fatto individuale.
E da qui all' addormentamento della mente il passo è breve.
Ci emozioniamo per un giorno, massimo due, e ci dimentichiamo di fare le domande che dovremmo fare.

Non così i parenti delle vittime.
Che sanno bene, quali sono le domande giuste.
Quelle senza risposta.

I parenti delle vittime, che con la loro dignità, in un Paese che quando va bene protesta, ma quasi mai si indigna, due anni fa ebbero a fischiare i politici.
Così come fecero i parenti delle vittime delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio durante i funerali.

La politica che ha dovuto inchinarsi di fronte a quegli occhi che non si accontentano di sapere chi mise la bomba e la fece esplodere.
La politica che ha giocato con il dolore, quando a più riprese ha dichiarato che avrebbe detto basta al segreto sugli atti (a più riprese vuol dire non solo due anni fa, ma anche durante il governo dell' Ulivo) e invece niente è accaduto.

Tutti sappiamo, ma nessuno sa davvero.
Tutti ricordiamo, ma sono in pochi a fare memoria.

È questa l' opacità a cui facevo riferimento commentando la strage di Via D' Amelio alcuni giorni fa.
Siamo tutti talmente immersi in questa opacità, che capita spesso, commentando le stragi, di sussurrare:"Eh, i servizi segreti deviati, la massoneria (confondendo fra l' altro P2 e massoneria), la mafia...".
Però poi siamo noi che abbiamo avuto Presidenti della Repubblica, Presidenti del Consiglio e importanti esponenti politici i cui legami con questi mondi sono emersi persino in maniera ufficiale -in taluni casi persino come verità processuali.
Ed altrettanti politici uccisi o emarginati da quelle stesse forze (perché per fortuna la politica ha anche tanti esempi positivi).

Questo non sarà mai un Paese pacificato.

Non lo sarà, almeno, fin quando non accetteremo una verità scomoda:lo stragismo, sopratutto quello nero, è stato usato per tenere sotto scacco gli italiani, e inchiodarli alla conservazione.

E dobbiamo riconoscere che per decine e decine di anni questa strategia ha funzionato.

Finché non è arrivata Mani Pulite.

Anche -probabilmente- per quell' ondata emotiva che travolse il Paese dopo le morti di Falcone, Borsellino e delle loro scorte.

E ci salvò il civismo.
E ci salvarono i giovani.

Quello stesso civismo e quegli stessi giovani che ci salvarono dalle Brigate Rosse, quando fu colpito Guido Rossa.

Come racconta bene Giancarlo Caselli nel suo libro di alcuni anni fa, "Le due guerre".

Ma questa è un' altra storia.

O forse no.