giovedì 3 agosto 2017

Le stragi nel Paese che ricorda, senza memoria

Il nostro è un Paese strano.

È un Paese abituato a celebrare il ricordo, ma con la memoria corta.

Che vuol dire non dimenticare (Falcone, Borsellino, Moro, le stragi), ma relegare in una teca quel momento in cui non si dimentica, farne celebrazione -magari anche sentita- ma che dura lo spazio di un giorno, forse due.
Senza fare opera di approfondimento, senza interrogarsi su come i fatti siano avvenuti, sul perché siano accaduti, e sul perché spesso conosciamo gli esecutori materiali e assai raramente chi ha ideato e costruito queste morti, che siano individuali o stragi che hanno causato decine e decine di vittime.

Ieri abbiamo ricordato la strage di Bologna, e nessuna rete televisiva generalista mi pare abbia dedicato spazio ai fatti che convolsero la civilissima Bologna e scossero tutto il Paese.

Quanto ne sanno i giovani?
Non hanno diritto, i nostri ragazzi, di sapere perché quell'orologio è fermo alle 10.25?

Perché questa sorta di rimozione collettiva, che sembra quasi aver trascinato dietro una nebbia opaca le vittime, le loro storie, e il dramma di una città il cui tratto distintivo è da sempre il civismo?

Ho pensato molto, in questi giorni, a quei fatti.

Ci ho pensato senza avere la competenza dello storico, ma solo la conoscenza che la mia generazione e quelle precedenti hanno dello stragismo.

Come ha avuto a dire qualcuno, il tempo si è fermato agli esecutori.

E questo non è normale.
Non siamo normali noi, che ci accontentiamo dei nomi di Mambro e Fioravanti, e che narriamo semplicemente, quasi fosse un fatto ineluttabile, del ruolo che P2, mafia e servizi segreti deviati ebbero nel depistare, cancellare, proteggere.

Forse perché prendo il treno ogni giorno, forse perché come molti di noi conosco persone che si sono salvate per un caso, per il destino o per chissà cosa (Toscana e Emilia hanno solo quel crinale che più che dividerle, per tante ragioni, le unisce) per me la strage di Bologna ha una portata emotiva fortissima.

Ma non basta.
Non è solo con l' emotività, che questo Paese può andare avanti.
Perché è l' emotività che trasforma la memoria in ricordo, e così facendo degrada gli eventi da fatto collettivo a fatto individuale.
E da qui all' addormentamento della mente il passo è breve.
Ci emozioniamo per un giorno, massimo due, e ci dimentichiamo di fare le domande che dovremmo fare.

Non così i parenti delle vittime.
Che sanno bene, quali sono le domande giuste.
Quelle senza risposta.

I parenti delle vittime, che con la loro dignità, in un Paese che quando va bene protesta, ma quasi mai si indigna, due anni fa ebbero a fischiare i politici.
Così come fecero i parenti delle vittime delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio durante i funerali.

La politica che ha dovuto inchinarsi di fronte a quegli occhi che non si accontentano di sapere chi mise la bomba e la fece esplodere.
La politica che ha giocato con il dolore, quando a più riprese ha dichiarato che avrebbe detto basta al segreto sugli atti (a più riprese vuol dire non solo due anni fa, ma anche durante il governo dell' Ulivo) e invece niente è accaduto.

Tutti sappiamo, ma nessuno sa davvero.
Tutti ricordiamo, ma sono in pochi a fare memoria.

È questa l' opacità a cui facevo riferimento commentando la strage di Via D' Amelio alcuni giorni fa.
Siamo tutti talmente immersi in questa opacità, che capita spesso, commentando le stragi, di sussurrare:"Eh, i servizi segreti deviati, la massoneria (confondendo fra l' altro P2 e massoneria), la mafia...".
Però poi siamo noi che abbiamo avuto Presidenti della Repubblica, Presidenti del Consiglio e importanti esponenti politici i cui legami con questi mondi sono emersi persino in maniera ufficiale -in taluni casi persino come verità processuali.
Ed altrettanti politici uccisi o emarginati da quelle stesse forze (perché per fortuna la politica ha anche tanti esempi positivi).

Questo non sarà mai un Paese pacificato.

Non lo sarà, almeno, fin quando non accetteremo una verità scomoda:lo stragismo, sopratutto quello nero, è stato usato per tenere sotto scacco gli italiani, e inchiodarli alla conservazione.

E dobbiamo riconoscere che per decine e decine di anni questa strategia ha funzionato.

Finché non è arrivata Mani Pulite.

Anche -probabilmente- per quell' ondata emotiva che travolse il Paese dopo le morti di Falcone, Borsellino e delle loro scorte.

E ci salvò il civismo.
E ci salvarono i giovani.

Quello stesso civismo e quegli stessi giovani che ci salvarono dalle Brigate Rosse, quando fu colpito Guido Rossa.

Come racconta bene Giancarlo Caselli nel suo libro di alcuni anni fa, "Le due guerre".

Ma questa è un' altra storia.

O forse no.

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