sabato 28 gennaio 2017

"In viaggio" - La forza della parola in un vagone in Piazza San Francesco






Stamani io e Francesco abbiamo visitato l'installazione "In viaggio", allestita all' interno di un vecchio vagone ferroviario posizionato in Piazza San Francesco.
L'idea in sé è semplice: all' interno del vagone una serie di pannelli racconta stralci di testimonianze di deportati, che raccontano il "viaggio" verso i campi di lavoro o di sterminio. Un pannello centrale illustra invece la geografia dei campi.

L' idea è semplice, dicevo, ma proprio per questa sua semplicità è decisamente d' impatto.

Non ci sono suoni, immagini, filmati.
C' è solo l' essenzialità dell' ambientazione, e la forza dirompente della parola.
Parole che raccontano quei giorni sospesi, fra la normalità della vita da cui si viene, e l'orrore della "vita" (ma è la parola giusta?) verso cui si va, ma senza sapere nulla del punto di approdo di questo viaggio.

Sono storie di paura, racconti di un tempo che quasi non c'è. Storie di escrementi, di lacrime, di morte, di sudore. Che strappano la Shoah da quel quadro quasi agiografico in cui i grandi film hanno relegato nei decenni questa storia.
C'è l'umanità profonda, che ci ricorda che siamo fatti anche di materia. C'è il controllo reciproco fra i prigionieri, e quella lotta tutta umana per stare il più possibile vicino alla grata, unico legame con l' esterno, unico ristoro dal fetore e dal terrore.

Ma c'è poi chi racconta della preghiera, che alcuni dei prigionieri riuscivano ad intonare.
La Speranza che cresce, nonostante tutto e più forte di tutto. L' uomo, fatto di materia, sudore, urina ed escrementi, e che tuttavia, anche nella situazione più bassa e disumanizzante riesce a ritrovare se stesso.

E poi c'è la storia della ragazza che in tutto questo si preoccupa soprattutto di una cosa:salvare i propri quaderni, che ha nascosto nelle scarpe, e che porterà con sé nel campo.
Quaderni su cui trasferirà se stessa durante tutta la prigionia.
Incurante dei rischi, della stanchezza, della sofferenza.
Perché la parola, lo scritto, erano la sua unica arma.

Per ricordare, quando tutto l' orrore sarebbe finito. Per raccontare a chi sarebbe venuto dopo.
E per non farsi uccidere dalle sue stesse emozioni.

Questa storia mi ha colpito perché anche per me la parola è questo: la salvezza dell'uomo, anche là dove tutto sembra perduto.

Sono uscita piangendo -non me ne vergogno- con l'ossessiva domanda: "Come è stato possibile?"
Guardavo la mia Pistoia da quelle grate, e mi chiedevo come e perché tutto questo sia stato possibile.

Ma, in questo tempo, buio e difficile, con i razzismi e i muri che sembrano risorgere, credo sia un bel segnale di speranza che la Capitale della Cultura  scelga questo evento nel primo mese del 2017.
E c'è speranza perché da ieri è stato un flusso continuo di visitatori.
Li ho osservati, e ho visto persone turbate, commosse, che leggevano le storie e si soffermavano.

Soprattutto, ho visto i ragazzi, entrare con la leggerezza dei loro quindici anni, e farsi via via più seri e gravi, riflessivi.
Ragazzi che erano lì per scelta, non accompagnati da insegnanti, e dopo la scuola.

Ecco, quando ho rivisto Pistoia fuori, e sono uscita nel sole, ho pensato che questi cittadini, se vogliamo, possono essere le nostre sentinelle.
Andate a vederla!
Portateci i vostri ragazzi, se avete figli!

Perché non accada mai più.

Un ringraziamento all' Istituto Storico della Resistenza e alla Comunità Ebraica, che hanno reso possibile tutto questo.

domenica 15 gennaio 2017

De "L'unità" che chiude, di Dandini, Guzzanti e dell' essere di Sinistra


Ci sono simboli che pesano nella vita di ognuno di noi.
Nella mia, come in quella di tanti Compagni (uso questa parola in senso ampio), "L'unità" è uno di questi simboli, così come lo è un modo di fare televisione che imperava fra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio.
Questi simboli, che erano non solo strumenti di comunicazione, ma veri e propri modi d'essere, si sono stranamente intrecciati, per uno di quei casi che il destino costruisce, proprio in questi giorni (stasera, grazie a Gigi Proietti ho finalmente rivisto insieme Serena Dandini e Corrado Guzzanti)

L' Unità, glorioso giornale fondato da Gramsci, e per lunghi decenni organo ufficiale del Partito, nelle sue varie declinazioni (per me dal PCI al PD, il Partito è declinato al singolare e con l'iniziale maiuscola -ogni tanto, lo confesso mi manca il cuore di mettere questa lettera maiuscola) annuncia licenziamenti di massa, unilateralmente decisi.

Credo che ogni volta che un giornale annuncia il proprio fallimento, qualunque sia la linea editoriale, sia una sconfitta. In questo caso, per me, vale doppio.

Io a "L'unità" ho voluto bene davvero.

L'ho letta con orgoglio, l'ho anche venduta, quando il Pds cercava la propria anima rispolverando i totem del passato glorioso
La portavamo alle manifestazioni, e la leggevamo in treno, quando da Pistoia andavamo a Roma. Insieme alle bandiere c'era lei.
Certo, Repubblica, Il Manifesto... Ma quando un compagno chiedeva il giornale, gli porgevi L'unità.
Perché chi vive "a sinistra" è anche tendenzialmente un romantico, pervicacemente legato ai propri simboli.

Quell' Unità è morta da tempo.
E, prima che qualcuno pensi che questa sia un'accusa all'attuale dirigenza del PD, aggiungo che era già morta prima dell' ultimo congresso.
Perché aveva già perso questo tratto identitario.

Certo, i cortigiani di questi ultimi anni, con l'apoteosi di Rondolino e Staino (ormai, quest' ultimo, lontano anni luce dall' artista dissacrante e irriverente che faceva tremare i potenti) hanno a mio avviso contribuito a indebolire un giornale già ben distante da ciò che esso stesso era stato.
E le baruffe che stanno accompagnando la probabile chiusura del giornale sono tristi quanto l'idea di un giornale che fallisce, con i conseguenti licenziamenti di tanti professionisti.
Le accuse al Segretario di aver deluso (come se si trattasse di un affaire amoroso, e non già di una vicenda politica e occupazionale) dicono tanto della differenza fra questo tipo di direzione del giornale e quella, che so, di D'Alema o Veltroni. Due esponenti politici decisamente agli antipodi, e che tuttavia faticheremmo a vedere lanciare accuse simili, e con questi toni.

La Sinistra è dignità, è capacità e bisogno di immaginare modelli nuovi di società, è parlare di "noi" e mai di "io".
Questa non è L'unità che si porta alle manifestazioni. Questa è "L'unità" "duepuntozero", che non scalda i cuori, e che quindi i Compagni non comprano più, perché non ci si riconoscono.
E -ahimè- a sinistra c'è sempre stato quel maledetto bisogno di essere convinti, di sentirsi parte di qualcosa di più grande, per mettersi in gioco.

Per esempio, c'era bisogno di sapere che Corrado Guzzanti ci avrebbe detto che la risposta era dentro di noi, ma era sbagliata!
E mentre L'Ulivo compiva la sua parabola, Berlusconi impazzava, e tutto era impegno e partecipazione, era bello ritrovarsi in quell'ironia graffiante de "L' Ottavo Nano", con le imitazioni di Neri Marcorè, l'improbabile Vulvia che ci parlava di "'mbuti", e una galleria di personaggi nella quale si colpiva a destra come a sinistra (qualcuno ricorderà la Guzzanti con D'Alema finto comunista).

Forse era solo una bella stagione della mia vita, ero giovane e sembrava che Prodi fosse in grado di tenere insieme modernità ed identità, di condurci oltre noi stessi.
C'era l'orgoglio di poter rappresentare un cambiamento nato dal basso e cresciuto però dentro ai Partiti, da questi -forse per la prima volta- compreso ed incoraggiato.

Era un momento strano.
Da lì a poco sarebbero arrivate delusioni cocenti.

Ma in quegli anni avevamo ancora L'unità, e la grandiosa manifestazione al Circo Massimo avveniva ancora sotto quella stella.

Sarebbe bello, anche se sono passati quasi venti anni, ritrovare quella stella.
Ritrovare un' identità sufficiente a spazzar via i cortigiani e le piccinerie.
I servilismi d'accatto e i piccoli cabotaggi.

Ritrovare il sorriso, salvare L'unità non solo perché è un giornale, ma IL giornale che passi al Compagno se te lo chiede.
Mentre andate insieme ad una manifestazione a tutela dei diritti dei lavoratori, e non c'è timore a prendere in giro anche il Segretario.
Perché quello che tiene insieme tu ed il tuo Segretario non è l'interesse, né il servilismo.
Ma la convinzione che insieme vale più che da soli.
E che essere di Sinistra significa lottare per i diritti, non per toglierli.

venerdì 6 gennaio 2017

Della cultura, della luce e.... di Star Wars!




Scrivo di notte, come spesso mi capita, perché il silenzio è foriero di riflessione, e aiuta a il pensiero a spingersi sempre un po' più in là, oltre il confine dell' ovvio e dell' essenziale.

Scrivo mentre da poco si è spento nel cielo pistoiese il fascio di luce che ci accompagnerà dal 1 all' 8 gennaio, ma poi per tutto l'anno di Pistoia Capitale.

È questa la novità di cui la Città discute in questi giorni -a Pistoia "discute" si legge "litiga".
Lo confesso:sulle prime, quando ho sentito parlare di questo progetto, dell'idea di un "laser" -così comunemente ed erroneamente lo chiamiamo, a Pistoia- sono rimasta assai perplessa: mi pareva così in contrasto con questo nostro territorio, poco incline alla visibilità, strutturalmente e naturalmente portato piuttosto a lasciarsi scomparire, pago della propria essenza essenziale!

Poi, ho cominciato a leggere il senso di questo progetto, di questa idea nata da Chiara D'Afflitto, ormai svariati anni fa.
Ho provato a scrollarmi di dosso la naturale inclinazione -appunto, tutta pistoiese- a chiudermi in me, e ho cercato di immaginare questo fascio di luce come una sorta di ponte.

Un ponte che in tempi di divisione e contrapposizione riassume in sè il portato maggiore della Cultura:la capacità di creare legami e stringere alleanze.
Un ponte che unisce la famiglia Fabroni, punto d'origine ed al contempo punto d'arrivo di questo fascio che porta luce, alla Pistoia odierna. Dal passato, al presente, proiettata verso il futuro.
Un ponte verde, che richiama le piante, ricchezza eccellente e concreta di questa Città in cui la terra e la cultura contadina sono state e hanno portato vita.

Ieri sera, assieme a Francesco, abbiamo percorso la via Montalese. E sì, inutile nasconderlo: ho ceduto alla curiosità e ho cercato con gli occhi il fascio di luce.
L' ho visto spuntare, quasi a Pontenuovo -sono praticamente una talpa- e sinceramente mi ha emozionato. Sembrava, così ci siamo detti con Francesco, un tetto sotto cui cercare riparo.
L' ho visto affiancarsi a noi, e poi -bellissimo- intrecciarsi col Grande Ferro del Burri.


Capisco tuttavia perfettamente quei cittadini che polemizzano sui costi
Li comprendo perché viviamo tempi difficili, in cui ci sembra che ogni centesimo debba essere indirizzato ai servizi, o alla cura minuta della città. Non sono obiezioni peregrine, perché chi -come me- vive da semplice cittadino le difficoltà, che sono le stesse di ogni media città, è portato naturalmente a vivere il qui ed ora.

Proviamo, però, ad alzare gli occhi al cielo, e a chiederci se non sarà bello, fra qualche anno, ricordare quando nel buio si faceva strada un raggio di luce, verde come la speranza, e forte come il passato che si intreccia col futuro.
Proviamo a chiederci se non sia giusto avere il coraggio, quando vorremmo vivere il qui ed ora, di sperimentare il Bello e la Speranza.


Non è il momento dell'ottimismo -riprendo le parole che Papa Francesco ha rivolto ai terremotati del Centro Italia- però è sempre il momento della Speranza.
Se riescono loro, a sperare, forse ce la faremo anche noi.
Questo non vuol dire smettere di chiedere e lottare per avere attenzione al qui ed ora. Non sarebbe giusto, e non saremmo noi.
Però, possiamo provare a pensare che le necessità dell' oggi non sono in conflitto col Bello, che per sua natura è oltre il tempo.

Ieri sera -per esempio- ho visto un film che parla della forza dei sogni, e di quanto questi siano l' antidoto ad una vita altrimenti piena di solitudine e emarginazione.
Mi piace pensare che chi è in grado di non smettere di sognare, pur fra mille difficoltà, e riesce ad aprire una porta all' immaginazione, affronta meglio il vivere quotidiano.

Ecco, uno spicchio di sogno concediamocelo: male non (ci) farà!

P.S. A qualcuno, questo progetto ha quantomeno stimolato la goliardia: il fotomontaggio del Sindaco versione Star Wars è davvero fantastico!