lunedì 20 marzo 2017

Don Peppe Diana, l' attualità del suo messaggio e il 21 marzo



http://www.caritasitaliana.it/caritasitaliana/allegati/1230/Materiali_donGiuseppe_Diana.pdf
Ieri ricorreva l' anniversario dell' omicidio di don Peppe Diana, e domani si celebra la giornata in ricordo delle vittime di tutte le mafie.

Mi pareva giusto scrivere di don Diana, perché non tutti conoscono la figura di questo prete di campagna, che pure ha lasciato con il suo esempio concreto una traccia indelebile in uno dei territori probabilmente più sfregiati dalla camorra: Casal di Principe.
Ho inserito un link all' inizio di questa mia riflessione, che contiene il documento che don Diana aveva dedicato al suo popolo. Leggetelo:è breve, e molto bello!

Andiamo per ordine.
Don Diana aveva avuto la classica formazione teologica, era un parroco colto, laureato in teologia e filosofia, cui alla fine degli anni '80 fu assegnata una parrocchia in una terra difficile, in cui la camorra non solo era presente, ma controllava il territorio.
Lo controllava socialmente, tanto da diventare un punto di riferimento per la popolazione locale, lo controllava economicamente, dopo essersi legata all' imprenditoria del luogo, e lo controllava politicamente, arrivando a fondersi con il potere politico locale.
Insomma, la camorra di Casal di Principe aveva portato a compimento il percorso che consente alle mafie di conquistare tutti i livelli del potere, e quindi di governare il territorio.

In questo contesto, fin dall'inizio, don Diana diventa elemento di disturbo. Perché inizia a lavorare alacremente sul territorio, soprattutto con i bambini e i ragazzi. Un lavoro pericoloso per la camorra, perché i giovanissimi, non ancora completamente avviluppati nella rete della camorra, potevano rappresentare quel detonatore, quel fattore di cambiamento che è l' unica arma contro un controllo così stringente come quello che la camorra aveva costruito sulla comunità casalese.

E don Diana educò bambini, ragazzi e poi adulti.

Pronunciò parole nuove, invitò a leggere, a studiare, a guardarsi intorno.
Invitò i casalesi ad alzare la testa, a capire che la camorra poteva non essere l' unica alternativa.
E che, mentre dava l' illusione di dare lavoro, frenava lo sviluppo, perché il primo interesse era arricchire se stessa, non i casalesi.

E don Diana dava fastidio perché queste cose le diceva in chiesa, con la forza conferita dall' altare, in una terra nella quale non sempre la Chiesa era stata all' altezza del compito evangelico.

Era quindi rapidamente diventato elemento di rottura di quegli equilibri, apparentemente immutabili, di cui tutte le mafie si nutrono.
Equilibri che garantivano i poteri locali, quelli economici e quelli politici, consentendo loro di autotutelarsi ed autoriprodursi, purché si accettasse di stare all' ombra della camorra.
Uno schema che appare a noi che lo osserviamo da fuori talmente classico da scadere nella banalità.
Ma proviamo a metterci nei panni di un giovane casalese che non trova lavoro.
O proviamo a chiederci se sui nostri territori non abbiamo davvero mai avuto la sensazione che sia accaduto o stia accadendo qualcosa di simile -magari non con omicidi o spargimento di sangue.
Attenzione, perché i meccanismi sono sempre più sottili di quanto appaiano.

Insomma, l' evangelizzazione di don Diana si fa sempre più pericolosa.
Le maglie della rete camorristica si fragilizzano, anche per ragioni interne di potere, e la soluzione resta solo una: uccidere.

Uccidere un prete era un atto rischioso, perché avrebbe scosso la comunità e indebolito il controllo sociale, ma non si trovò altra soluzione: don Diana doveva morire.
E così fu. Il 19 marzo 1994 gli spararono, mentre si preparava a dire la messa, con nel cuore probabilmente altre parole per i casalesi e contro la camorra.
Parole che quella pistola gli soffocò in gola.

Ma la testimonianza, quella laica, e quella evangelica, era stata troppo forte, e l' eco di quello sparo travalicò i confini della provincia ed ebbe, anche negli anni a venire, ampio risalto in tutto il Paese, tanto da fare di don Diana un simbolo di libertà, di coraggio, di cultura e di amore viscerale per il territorio.

Casal di Principe forse non si è ancora liberato delle catene invisibili ma fortissime della camorra, così come tante altre zone del nostro Paese -e stolto sarebbe chi pensasse che la criminalità organizzata riguarda solo il Sud.
Ma di certo ha preso coscienza di sé.

E il peggior nemico delle mafie -di tutte le mafie- è la cultura della legalità, la denuncia costante, la testimonianza infaticabile.
Per questo, domani è importante essere accanto a Libera -se potete, con la presenza- e a tutte le altre associazioni che lavorano ogni giorno per fare della cultura dell' antimafia uno dei tratti centrali dell'educazione dei nostri giovani.
Nei giorni in cui la primavera vince sull' inverno, testimoniare per la libertà, contro l' oppressione del crimine, è un bellissimo dovere civico.
E chi non potrà esserci fisicamente, magariperché ha un lavoro da cui non può assentarsi, si avvicini a queste associazioni.
Troverà un mondo di persone bellissime, impegnate, concrete ed accoglienti.
Perché poche cose uniscono come la cultura della legalità.

Buona primavera Libera a tutti!

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