lunedì 26 marzo 2018

Appunti sparsi dal territorio...




"Ci chiederanno se siamo stati credibili, non credenti", scriveva il giudice Livatino pochi giorni prima di essere ucciso.

Noi abbiamo chiesto agli elettori di credere ad una narrazione che descriveva un Paese che non c'era. Abbiamo chiesto agli elettori di turarsi il naso, ma il Paese è fatto di persone che vivono con la testa sott'acqua, e che hanno bisogno di respirare, non di turarsi il naso.

E così ci hanno creduto gli elettori più anziani, che votano per appartenenza, e le elite.
Non ci hanno creduto i disoccupati, i giovani e -soprattutto- i ceti popolari, che sono andati verso il Movimento 5 Stelle (il 14% di chi nel 2013 aveva votato Bersani) o addirittura alla Lega (il 7% della stessa platea), e molti altri invece hanno scelto l' astensionismo.

Ci hanno creduto, cioè, coloro che non sono affatto interessati al cambiamento.
Un fallimento culturale, prima che politico ed elettorale, per chi sull'onda di quel cambiamento si era candidato a guidare il Partito e il Paese.

Non ci hanno votato coloro che dovremmo rappresentare.
Gli ultimi, certo, ma nemmeno quello che era il ceto medio riflessivo -per esempio i dipendenti pubblici, e fra questi sicuramente gli insegnanti.

Perché LeU, dunque, non ha ottenuto un buon risultato, pur proponendosi di rappresentare esattamente quelle istanze?
Perché a mio avviso è stata un'operazione corta nei tempi, non sufficiente, per come è nata, ad assolvere al compito importante che si era proposta.

Il rinnovamento che il Partito Democratico ha messo in atto, si è esaurito nella sostituzione di interi pezzi di classe dirigente, ed è apparso, fin dai primi tempi dopo i fasti del 2014, più orientato alla ricerca del consenso, che non alla creazione di esso.

L' operazione più interessante e culturalmente avanzata, il REI, è giunta a fine legislatura, ed è adeguata a coprire poco più di un terzo delle necessità.
Secondo l' Alleanza contro la povertà erano necessari circa 7 miliardi all' anno per coprire l' intero fabbisogno.
Circa un terzo del Jobs Act, che è costato molto e ha prodotto un mercato del lavoro drogato nei numeri, e dipendente dalla decontribuzione, come ci dimostrano i dati, che evidenziano il crollo delle assunzioni a tempo indeterminato e il perdurare nel lungo termine di un lavoro di bassa qualità, a tempo determinato per circa il cinquanta per cento ed in gran parte part time.
Una riforma che ha finito sostanzialmente, per togliere certezze a chi poteva averle, monetizzando il diritto al lavoro.


Abbiamo prodotto riforme importanti sui diritti civili, ma non abbiamo tenuto insieme la dimensione dei diritti civili e quella dei diritti sociali.

Abbiamo prodotto riforme "a dispetto dei Santi", come la Buona Scuola, portata avanti nonostante l' opposizione di insegnanti e studenti, o la riforma delle Province, che non ha aiutato i nostri amministratori e ha disperso un patrimonio di competenze cresciute in quei luoghi -io posso dirlo perché quelle stanze ho continuato a frequentarle anche dopo il 2012.

Abbiamo in sostanza prodotto un distacco fortissimo dal Paese reale.

Un fallimento politico, culturale, ed elettorale che non si spiega con il generico richiamo al fallimento dei Partiti Socialisti, perché perdono i Partiti del Socialismo Europeo che guardano al centro, ma ottiene buoni risultati Corbyn con il Labour Party, che tocca il 40%, e raddoppia le iscrizioni al Partito.

Abbiamo perso per le politiche messe in atto e per i messaggi che abbiamo dato al Paese e soprattutto al nostro popolo.
Mentre alcuni gridavano "fuori, fuori", sono usciti più gli elettori che i dirigenti.


Altro che turarsi il naso!
C'è bisogno di aria nuova, di riscrivere un patto con il Sindacato, con il cattolicesimo progressista, con le forze sane del Paese che, trovatesi senza più casa politica, si sono rifugiate dove potevano.

Mentre eravamo impegnati a difenderci da D'Alema e Bersani, Di Maio parlava al nostro popolo.
Mentre conquistavamo i centri urbani (e solo nel centro del Paese, insidiati perfino in Emilia Romagna) perdevamo le periferie urbane, le periferie geografiche (il Sud) e le periferie dell'anima.

Ed allora c'è da ricostruire la connessione sentimentale col nostro popolo.

Come?

Andare fra la gente non basta.
Bisogna sapere cosa dire, prima.
E -per inciso- a Pistoia credibilità impone, come ha dichiarato il Segretario Comunale, di dire no al ritorno di chi è stato determinante nella sconfitta del Centrosinistra nel Comune Capoluogo.

E allora basta con la narrazione.
Bisogna dire la VERITÀ.
Perché il Paese è fatto di venti-trentenni che vivono di stage, tirocini, "esperienze" (prevalentemente a titolo gratuito).
Il Paese è fatto di quarantenni per bene, che impiegano due anni per aprire una propria attività.
Di donne ancora costrette a scegliere fra lavoro e famiglia.
Sono tre esempi non casuali, ma che mutuo dalla vita di ogni giorno.
Perché io non ho bisogno di tornare fra la gente comune:lo sono io stessa.

Allora si deve parlare di povertà -sia essa assoluta o relativa- di precarietà, di working poor.
E si deve rigenerare dalle fondamenta questo Partito, SE lo si può ancora fare.

Per questo, niente formule precostituite, anche da noi, perché il 4 marzo ha travolto tutte le logiche che conoscevamo, a partire da maggioranze e minoranze formatesi prima dello tsunami che ci ha investito.

Quindi, sì alla collegialità, purché questa non sia riproposizione di alchimie ormai scadute.

Con un orizzonte che sia il congresso, con tempi certi, ma soprattutto preceduto da un'operazione verità.
Un'operazione che non può esaurirsi con le dimissioni di Matteo Renzi ma che chiede un passo indietro ad un' intera classe dirigente, perché se è vero che la responsabilità non poggia mai sulle spalle di una sola persona, è altrettanto vero che in politica le responsabilità devono essere sempre chiare. E c'è stato chi in questi anni, inascoltato quando non dileggiato o emarginato, ha provato a evidenziare quanto stava accadendo.


Un' operazione verità necessaria ovunque.
Perché per essere credibili, come chiedeva il giudice Livatino, bisogna essere sinceri.
Soprattutto con se stessi.

sabato 10 marzo 2018

Della (necessaria) rigenerazione della Sinistra

https://www.ipsos.com/sites/default/files/ct/news/documents/2018-03/elezioni_politiche_2018_-_analisi_post-voto_ipsos-twig_0.pdf

Sono giorni ed ore complessi.
Momenti in cui ciascuno di noi prova a leggere ciò che il voto del 4 marzo ci consegna.

Leggo alcune prese di posizione che tentano perfino di piegare i risultati delle elezioni politiche a logiche locali, proponendo, sulla base di quel tentativo, improbabili approcci unitari con chi, lo scoro anno, ha contribuito a quella sconfitta.

Credo che il quadro che ci troviamo di fronte sia troppo difficile per consentire a chiunque di anteporre logiche correntizie o di parte ad una spietata analisi, che deve concentrarsi prima sul dato elettorale, e poi sulle ragioni che ci hanno condotto fin qui, ed infine -soltanto infine- sulle prospettive politiche.
Mi pare invece che alcuni scelgano la strada inversa.

Non ho apprezzato i toni di chi sta tentando, a vari livelli, prove muscolari, a volte "mettendo insieme le pere con le mele".
Questa è un' inversione del ragionamento logico che deriva dal fatto di aver visto nel Partito non il luogo del confronto, della composizione, della sintesi, ma il luogo della conquista, dell' affermazione di gruppi più o meno ristretti, e dell' emarginazione di altri.
E se un partito smarrisce il senso di comunità, ciò che lo tiene insieme possono essere solo o i reciproci interessi o le reciproche rivalità.
E non so quale delle due ipotesi sia la peggiore.

Allora, invece di ardite ricostruzioni sui flussi elettorali, che conducono là dove si voleva arrivare, partiamo da ciò che c' è.

E il quadro che abbiamo davanti, paragonando l'unico dato paragonabile, ossia il voto del 4 marzo con quello del 2013, è il seguente (dati Ipsos).
Oltre il 20% degli elettori della coalizione Bersani 2013 ha deciso di astenersi.
Circa il 14% di quegli elettori del 2013 ha votato Movimento 5 Stelle, e solo il 7% ha votato Leu.
Quindi meno della metà degli elettori di area vota PD e solo poco più della metà torna a votare la coalizione.

Il Centro destra conferma invece praticamente tutti i suoi elettori, mutando solo, in quell' area, la composizione qualitativa del voto (sostanzialmente i voti passano da Forza Italia alla Lega).
Solo l' 8% degli ex elettori del Centro destra passa al Movimento 5 Stelle, che cede pochissimo ad astensionismo e Lega, attraendo, oltre che elettori del Centrosinistra -di cui ho già detto- il 13% degli elettori centristi e il 20% degli elettori di piccole liste.

L' analisi sociale del voto è ancora più drammatica.
Restano al PD, solo gli elettori più anziani.
La lista Bonino ottiene buoni risultati tra studenti, laureati, ceti elevati e ceti medi.

La Lega tende a diventare un partito trasversale, acquisendo il voto tradizionalmente forzista (soprattutto quello delle casalinghe), e soprattutto il voto degli operai (ha ragione la Camusso, quando dice che l' operaio della Cgil vota Lega).
Il Partito più trasversale è però il Movimento 5 Stelle, che non ha particolari blocchi sociali di riferimento, se non -udite, udite- i dipendenti pubblici, prima punto di riferimento del PD.

Volendo semplificare, gli operai ci hanno abbandonato per la Lega, i dipendenti pubblici per il Movimento Cinque Stelle.


Questo il quadro.

Un quadro che non consente di dire semplicemente che il Movimento 5 Stelle è il partito dei disperati e degli emarginati (che semmai si rifugiano nella Lega).
Invece, è il partito votato dal ceto medio riflessivo.
Tutti coloro (me compresa) che si sono cullati nella semplificazione secondo cui l' uso criminale del reddito di cittadinanza come grimaldello per attrarre gli emarginati è la ragione principale del successo pentastellato, dunque, sbagliano.
C' è quell' elemento -e bisogna combattere con tutte le nostre forze l' impianto culturale di quella falsa promessa- ma non è il solo, e non è il più forte, stando all' analisi sociale del voto.

Allora, credo, la sfida sta tutta qui.
Il Partito Democratico può tornare a parlare a quel ceto medio, recuperando lo spirito originario su cui si è formato.
Abbandonando le prove muscolari, il potere per il potere, l' autoconservazione.
Abbiamo bisogno di tornare a parlare con quel ceto medio, e con l' operaio.
Ricostruendo, finalmente, un campo largo di forze del Centrosinistra, dando di nuovo casa ad un popolo che abbiamo costretto a votare perfino la Lega.

Bene allora le dimissioni del Segretario, ma non può essere il solo.
E il problema non si può risolvere neppure nei e con i gruppi dirigenti.
Bisogna alzare ed allungare lo sguardo, fuori dalle correnti, e "persino" tornando a parlare (invero, io non ho mai smesso) con i compagni di Leu, che abbiamo accusato (invero, io no) delle peggiori colpe.
Ed invece, è grazie a loro e al fatto di non avere in coalizione forze non chiaramente riconducibili alla sinistra, che Zingaretti ha riconquistato il Lazio.

E quindi ben vengano gli "autoconvocati" dell' iniziativa di oggi a Pisa, che si collocano fuori da ogni corrente, e che lavorano, come lavoreremo domenica a Roma all' iniziativa di Sinistradem, per rigenerare la Sinistra.

Chissà che non ci si riesca davvero...




martedì 6 marzo 2018

L' obbedienza non è più una virtù

Indegnamente, prendo a prestito il titolo che Don Milani scelse per uno dei suoi scritti più conosciuti, mai sufficientemente approfonditi.

Lo faccio, perché si addice molto al sentimento e alle riflessioni che mi attraversano mente e cuore in queste ore.
La sensazione che sia necessario -che anzi, sia eticamente dovuto- uscire dagli schemi e dai recinti che alcuni di noi, per un malinteso senso di responsabilità a volte sconfinante nell' autocensura hanno costruito attorno a se stessi. Mi riferisco non tanto a chi l' ha fatto per opportunismo,mancanza di coraggio (che tanto, "chi non ce l'ha non se lo può dare"), congenita doppiezza e via e via.
Mi riferisco ai tanti che, formatisi e cresciuti nell' idea della collettività, del vincolo di maggioranza, del "Partito", hanno per anni avvertito chiunque che l' emorragia di voti, il distacco dai nostri blocchi sociali di riferimento (gli insegnanti, i lavoratori, il Sindacato...) avrebbero portato ad un disastro in termini prima politici e poi elettorali.

Come Cassandra, tutte queste persone -o molte di loro- si sono autoemarginate, hanno gridato in silenzio, vedendo quanto accadeva, consapevoli che non sarebbero stati ascoltati.

Non è bello, né facile, decidere di non scendere da una macchina che si percepisce lanciata a tutta velocità contro un muro, mentre urlano"fuori, fuori", a te e a quelli come te.
Mentre vedi scendere Compagni che rispetti, apprezzi, a cui vuoi bene.

Eppure siamo rimasti a bordo.

Ecco, ora credo che, come dice Don Milani, sia nostro preciso dovere mettere in campo una sana "disobbedienza civile".

Assumersi una responsabilità.
Assumersi LA responsabilità.

Tornare ad essere più uguali a se stessi.
E soprattutto più uguali a chi la nostra storia politica, i documenti fondativi del Pd, la nostra sensibilità ci dicono che dovremmo e avremmo dovuto dare risposte.

Ora basta!

Basta tatticismi.
Basta silenzi che da responsabili rischiano di diventare complici.

Le analisi sul voto, che tutti noi stiamo -collettivamente o individualmente- svolgendo troveranno altri spazi ed altri tempi.
Ma non è necessario essere fini analisti per dire che il risultato del Centrosinistra (eppure con Lorenzin e Casini dentro mi sembra stonata persino questa parola) e Sinistra (a me il 3,3% di Leu ha straziato il cuore non meno del 19% del Pd, e fatevene una ragione) sono un disastro.

Un disastro perché il nostro popolo si è ritrovato a votare Movimento Cinque Stelle e perfino Lega.
Fa sanguinare le orecchie o gli occhi, ascoltarlo o leggerlo, ma è così.
E la colpa è nostra.

Non di tutti (come qualcuno con un rasoio di Occam un po' troppo deciso fra le mie conoscenze ha detto) e non con le stesse tonalità, ma di sicuro è colpa nostra.

E allora?
E allora è troppo facile, come ha fatto ieri il mio segretario, pensare di assolvere il proprio compito dicendo semplicemente che abbiamo perso nettamente.

Ed è irresponsabile contemporaneamente lanciare il congresso (congresso? diciamo primarie) e rimandare sine die il momento delle proprie dimissioni.

Ho apprezzato il gesto del mio segretario provinciale, come ho apprezzato il gesto di Debora Serracchiani.
Perché -hanno ragione Cuperlo, Zanda, Finocchiaro, Orlando- le dimissioni si danno, non si annunciano.

Perché non si cercano responsabili nel Presidente della Repubblica ("dovevamo votare nel 2017", come se, fra l' altro, un anno di Gentiloni fosse stata una sciagura -e secondo me senza il Governo Gentiloni avremmo avuto un risultato anche peggiore), né ci si dimette autonominandosi garanti di e in una fase così complessa.

Abbiamo fatto La Buona Scuola, il Jobs Act, abbiamo rotto con i corpi intermedi (a partire da quei gufi della Cgil), non abbiamo fatto la legge sullo Ius Soli, sempre guardando al centro, nell' illusione che al centro si vincesse.
Nonostante, pervicacemente, i numeri (che "hanno la testa dura") ci dicessero di fermarci, di pensare un attimo, almeno di interrogarci.

Certo, abbiamo approvato il testamento biologico e un abbozzo (seppur timido) di unioni civili.
Ma se non tieni insieme diritti sociali e diritti civili, in un tempo difficile come quello attuale, è tutto inutile.
Il disegno è troppo incompleto.

Se le nostre città sono insicure perché non parliamo di riqualificazione urbana ed ambiente, se lasciamo i sindaci soli a fronteggiare l' urgenza dell' accoglienza, se precarietà è ancora la parola d'ordine per giovani e meno giovani, come pensiamo di parlare a un popolo che è sfinito?

Se raccontiamo un Paese che esiste solo in parte, ed intanto con la politica dei bonus a pioggia facciamo parti uguali fra disuguali (tanto per citare ancora Don Milani) perdiamo la nostra identità politica, financo la nostra ragion d'essere, tradiamo i nostri documenti fondativi, e lasciamo i cittadini (che sono cittadini prima di essere elettori) alla mercé di uomini forti o soluzioni semplici.

E allora?
Allora dimettersi (magari non sine die) è importante, necessario e dignitoso, ma ancor più necessario è "rigenerare il Centrosinistra", come ha avuto a dire l' unico che ci ha portato in dote una vittoria:Nicola Zingaretti (si, quello che ha vinto con LeU e senza la Lorenzin).

Allora torniamo a disobbedire, a studiare, ad organizzarci -qui c'è Gramsci- per dare nuova dignità a quel popolo che abbiamo abbandonato e tradito.

Scriviamo un nuovo Patto.
Apriamo una Costituente.

Ovunque, a partire dai territori.

E se ci chiudono le stanze, o come ha detto Giannini, ci sequestrano la sala delle riunioni, noi apriamo la nostra Sala della Pallacorda.
E stringiamo un nuovo Patto.

Con noi stessi, con il nostro popolo, con chi (per ragioni politiche, non personali) se n'è andato.

Fuori dalle opacità, una nuova Costituente.