Indegnamente, prendo a prestito il titolo che Don Milani scelse per uno dei suoi scritti più conosciuti, mai sufficientemente approfonditi.
Lo faccio, perché si addice molto al sentimento e alle riflessioni che mi attraversano mente e cuore in queste ore.
La sensazione che sia necessario -che anzi, sia eticamente dovuto- uscire dagli schemi e dai recinti che alcuni di noi, per un malinteso senso di responsabilità a volte sconfinante nell' autocensura hanno costruito attorno a se stessi. Mi riferisco non tanto a chi l' ha fatto per opportunismo,mancanza di coraggio (che tanto, "chi non ce l'ha non se lo può dare"), congenita doppiezza e via e via.
Mi riferisco ai tanti che, formatisi e cresciuti nell' idea della collettività, del vincolo di maggioranza, del "Partito", hanno per anni avvertito chiunque che l' emorragia di voti, il distacco dai nostri blocchi sociali di riferimento (gli insegnanti, i lavoratori, il Sindacato...) avrebbero portato ad un disastro in termini prima politici e poi elettorali.
Come Cassandra, tutte queste persone -o molte di loro- si sono autoemarginate, hanno gridato in silenzio, vedendo quanto accadeva, consapevoli che non sarebbero stati ascoltati.
Non è bello, né facile, decidere di non scendere da una macchina che si percepisce lanciata a tutta velocità contro un muro, mentre urlano"fuori, fuori", a te e a quelli come te.
Mentre vedi scendere Compagni che rispetti, apprezzi, a cui vuoi bene.
Eppure siamo rimasti a bordo.
Ecco, ora credo che, come dice Don Milani, sia nostro preciso dovere mettere in campo una sana "disobbedienza civile".
Assumersi una responsabilità.
Assumersi LA responsabilità.
Tornare ad essere più uguali a se stessi.
E soprattutto più uguali a chi la nostra storia politica, i documenti fondativi del Pd, la nostra sensibilità ci dicono che dovremmo e avremmo dovuto dare risposte.
Ora basta!
Basta tatticismi.
Basta silenzi che da responsabili rischiano di diventare complici.
Le analisi sul voto, che tutti noi stiamo -collettivamente o individualmente- svolgendo troveranno altri spazi ed altri tempi.
Ma non è necessario essere fini analisti per dire che il risultato del Centrosinistra (eppure con Lorenzin e Casini dentro mi sembra stonata persino questa parola) e Sinistra (a me il 3,3% di Leu ha straziato il cuore non meno del 19% del Pd, e fatevene una ragione) sono un disastro.
Un disastro perché il nostro popolo si è ritrovato a votare Movimento Cinque Stelle e perfino Lega.
Fa sanguinare le orecchie o gli occhi, ascoltarlo o leggerlo, ma è così.
E la colpa è nostra.
Non di tutti (come qualcuno con un rasoio di Occam un po' troppo deciso fra le mie conoscenze ha detto) e non con le stesse tonalità, ma di sicuro è colpa nostra.
E allora?
E allora è troppo facile, come ha fatto ieri il mio segretario, pensare di assolvere il proprio compito dicendo semplicemente che abbiamo perso nettamente.
Ed è irresponsabile contemporaneamente lanciare il congresso (congresso? diciamo primarie) e rimandare sine die il momento delle proprie dimissioni.
Ho apprezzato il gesto del mio segretario provinciale, come ho apprezzato il gesto di Debora Serracchiani.
Perché -hanno ragione Cuperlo, Zanda, Finocchiaro, Orlando- le dimissioni si danno, non si annunciano.
Perché non si cercano responsabili nel Presidente della Repubblica ("dovevamo votare nel 2017", come se, fra l' altro, un anno di Gentiloni fosse stata una sciagura -e secondo me senza il Governo Gentiloni avremmo avuto un risultato anche peggiore), né ci si dimette autonominandosi garanti di e in una fase così complessa.
Abbiamo fatto La Buona Scuola, il Jobs Act, abbiamo rotto con i corpi intermedi (a partire da quei gufi della Cgil), non abbiamo fatto la legge sullo Ius Soli, sempre guardando al centro, nell' illusione che al centro si vincesse.
Nonostante, pervicacemente, i numeri (che "hanno la testa dura") ci dicessero di fermarci, di pensare un attimo, almeno di interrogarci.
Certo, abbiamo approvato il testamento biologico e un abbozzo (seppur timido) di unioni civili.
Ma se non tieni insieme diritti sociali e diritti civili, in un tempo difficile come quello attuale, è tutto inutile.
Il disegno è troppo incompleto.
Se le nostre città sono insicure perché non parliamo di riqualificazione urbana ed ambiente, se lasciamo i sindaci soli a fronteggiare l' urgenza dell' accoglienza, se precarietà è ancora la parola d'ordine per giovani e meno giovani, come pensiamo di parlare a un popolo che è sfinito?
Se raccontiamo un Paese che esiste solo in parte, ed intanto con la politica dei bonus a pioggia facciamo parti uguali fra disuguali (tanto per citare ancora Don Milani) perdiamo la nostra identità politica, financo la nostra ragion d'essere, tradiamo i nostri documenti fondativi, e lasciamo i cittadini (che sono cittadini prima di essere elettori) alla mercé di uomini forti o soluzioni semplici.
E allora?
Allora dimettersi (magari non sine die) è importante, necessario e dignitoso, ma ancor più necessario è "rigenerare il Centrosinistra", come ha avuto a dire l' unico che ci ha portato in dote una vittoria:Nicola Zingaretti (si, quello che ha vinto con LeU e senza la Lorenzin).
Allora torniamo a disobbedire, a studiare, ad organizzarci -qui c'è Gramsci- per dare nuova dignità a quel popolo che abbiamo abbandonato e tradito.
Scriviamo un nuovo Patto.
Apriamo una Costituente.
Ovunque, a partire dai territori.
E se ci chiudono le stanze, o come ha detto Giannini, ci sequestrano la sala delle riunioni, noi apriamo la nostra Sala della Pallacorda.
E stringiamo un nuovo Patto.
Con noi stessi, con il nostro popolo, con chi (per ragioni politiche, non personali) se n'è andato.
Fuori dalle opacità, una nuova Costituente.
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