sabato 25 giugno 2016

Ragionamenti notturni su Brexit e dintorni





«La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita».
(Da Il Manifesto di Ventotene - Incipit)






Il caldo soffocante mi tiene sveglia nonostante l'ora tarda.
E il pensiero,nella quiete notturna della collina pistoiese,corre agli avvenimenti politici di queste ultime ventiquattr'ore.
Uso il plurale pur riferendomi ovviamente al referendum inglese,perché credo che il voto -storico- di ieri sia solo l'avvio di una serie di fatti che ne saranno la diretta conseguenza.


Non avendo la sfera di cristallo,né spiccate competenze in campo finanziario,non sono in grado di prevedere alcunché rispetto a quali saranno le conseguenze nell'immediato /medio periodo.Cercherò di farmi un'opinione seguendo un po' il dibattito pubblico (bontà di Mentana se deciderà di metter su una maratona anche su questo...!).
Vorrei però usare questo mio spazio personale per mettere nero su bianco alcuni pensieri che da stamani mi girano in testa,e che non ho -per scelta- esplicitato sui social network -pure a me tanto cari-perché richiedono un minimo di approfondimento.


Innanzitutto il referendum in sé.Ho sentito e letto affermazioni che prima e dopo il referendum erano finalizzate ad accreditare la tesi secondo cui gli inglesi sarebbero un popolo intelligente in caso di prevalenza del "remain" e degli sciocchi in caso di prevalenza del "leave".
Ora,un popolo non può certo essere giudicato -ammesso e non concesso che sia legittimo giudicare un popolo intero- per come ha votato.
Semmai,nel caso degli inglesi,giudichiamoli per come vanno agghindati alla House of Lords,per avere una cucina che si basa su Fish and Chips,per essere rappresentati da una signora agée che si veste in modo improbabile...ma non diciamo che "hanno votato male"...Altrimenti sopprimiamo la democrazia.




Detto questo, credo sia legittimo avere un'idea politica sul voto in sé.


Personalmente,non credevo che questa sarebbe stata la scelta del popolo britannico.
Certo,non che la loro presenza in Europa sia mai stata minimamente appassionata.
Sul piano economico erano già con un piede fuori.
Sul piano giuridico avevano solo abbozzato un percorso di integrazione -soprattutto nel diritto penale e nel campo dei diritti civili- e sul piano del sistema produttivo e degli scambi commerciali avevano continuato nel loro isolano isolamento.
Semmai,molto avevano preso dall'Europa sul piano della finanza.


Tuttavia,una parte di me si ostinava a credere che settant'anni di pace,dopo due guerre mondiali nelle quali gli inglesi avevano avuto parte importante nei processi di democratizzazione -seppure con qualche ombra- avrebbero convinto questo (singolare) popolo a restare.
Su come il voto si è declinato ho sentito ricostruzioni che mi sono apparse assai singolari.




Intanto i flussi.
Hanno votato per l' uscita soprattutto le persone più adulte,quelle meno scolarizzate e le periferie.
Hanno votato per restare soprattutto i giovani,chi ha titoli di studio di più alto livello e chi vive le zone a maggior industrializzazione,terziarizzazione e sviluppo.
Ho sentito quindi giornalisti dire che "i più vecchi e i meno colti hanno SCIPPATO il futuro ai giovani colti".
Ora,sorvolo sul buon gusto di simili affermazioni,e voglio provare a svolgere un ragionamento.




Quali sono stati gli argomenti usati da chi sosteneva l' uscita?
Sono stati la paura del diverso (a partire dai migranti),la necessità di un maggiore radicamento identitario e la crisi economica,determinata secondo costoro dall' indebolimento della supremazia britannica.
Allora,quali sono state le politiche dell'Unione Europea per limitare e mitigare queste paure?


Abbiamo fatto politiche migratorie adeguate?No.
Abbiamo lavorato per una maggiore equità sociale?No.
Abbiamo lavorato per valorizzare in positivo le specificità e le eccellenze dei singoli Stati senza metterle in conflitto con l'Europa dei territori?No.


In sostanza,parafrasando il segretario nazionale del mio Partito,l'Europa non ha fatto l'Europa.
Non ha davvero lavorato per unire,ma per affermare l' egemonia franco -tedesca.
Non ha lavorato per colmare le disparità sociali,ma per arricchire finanzieri e burocrati.
E,dove ha avuto governi inadeguati ad affrontare i problemi,ha costruito muri invece di abbattere confini.


Di fronte a tutto questo,non penso ci sia da meravigliarsi se i più fragili hanno scelto di "proteggersi".
Credo ci sia poi da comprendere gli errori fatti e imprimere una torsione forte all"Europa.
Appunto,l' Europa dei popoli.Non quella dei burocrati.


Io penso che ci siano alcuni rischi legati a questo voto.
Penso che se non diamo risposte immediate,questo voto apra la strada al peggiore dei populismi nazionalistici.Che sono politiche legittime,ma secondo me rischiose per lo sviluppo economico,sociale e culturale.
Pensiamo per esempio a cosa sarebbe successo se al momenti degli attentati di Parigi ci fosse stata una presidenza Trump,invece di Obama.
Penso poi che il rischio dell' effetto emulativo sia concreto,e che possa condurre ad una lenta e annichilente dissoluzione dell' Unione Europea.
E credo che l'unico antidoto a questa tendenza sia riempire di senso l' Europa,per spuntare le armi a chi semina odio e paura.
Perché se odio e paura vincono,la responsabilità non è di chi li semina,ma di chi a paura e odio non sa rispondere col coraggio e con la politica.
E pensare che nel Manifesto di Ventotene c'era già tutto:
"[... ... ...] La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale".

giovedì 23 giugno 2016

Da Claudio Rosati a Italo Calvino. Quando i libri e i percorsi personali fanno davvero riflettere.


Ieri ho partecipato alla presentazione del libro: "Amico Museo. Per una museografia dell'accoglienza", che raccoglie gli scritti di Claudio Rosati, maturati nel corso della sua lunga, intensa e prolifica esperienza professionale (ed ora di volontariato) nel campo della cultura, con particolare riferimento al settore museografico.

Poche parole per Claudio Rosati, che è persona che stimo, ed un concittadino con cui sono orgogliosa di aver condiviso un pezzo della mia esperienza amministrativa, e non solo. Claudio è stato davvero un grande punto di riferimento, in grado di intercettare quel cambiamento di cui c'era bisogno, innanzitutto nel modo di intendere gli istituti culturali. Cambiamento vero, agito, non proclamato, come sua abitudine fare.
Suo l'impegno nel rendere prassi amministrativa consolidata il cosiddetto museo diffuso, concetto grazie al quale anche le piccole comunità possono aspirare a farsi grandi, a trasformare l'identità locale in esperienza culturale di alto livello.
Il Museo che esce da se stesso per con-fondersi con la realtà che lo circonda, arricchendosi di essa e in essa in un rapporto osmotico di crescita. Mi piace dirlo così.
E questo impegno, già presente in nuce fin dai primi anni di attività di Claudio nella pubblica amministrazione, ha consentito, con la "complicità" di Amministratori  davvero illuminati come l'allora Assessore Provinciale alla Cultura, Simonetta Pecini, di radicare sul territorio l' Ecomuseo della Montagna Pistoiese, al quale ho avuto il grande privilegio di lavorare, assai modestamente, come Assessore. Ma anche a ripensare il Museo Civico, e le altre realtà pistoiesi, innervandole nel tessuto educativo e sociale della nostra Città, anche in questo caso rendendo il Museo protagonista dei percorsi didattici, assorbendo "dal basso" quelle istanze di riorganizzazione necessarie ad adempiere meglio a quella funzione pedagogica che, ben lontana dall'intenzione didascalica, i Musei cittadini fino appunto dagli anni Ottanta hanno assunto a Pistoia.

Un cambio di prospettiva, quasi un'interpretazione teleologica, si direbbe in linguaggio giuridico, che in quegli anni fu impressa al modo di declinare gli Istituti Culturali nel loro complesso.
Questa interconnessione così profonda fra i Musei ed il territorio è stata, ed è tuttora, terreno di coltura fertilissimo per chiunque immagini che la cultura possa rappresentare oggi la più solida, e non improvvisata, base per la crescita sociale ancor prima che economica dei nostri territori, ed in ultima analisi del nostro Paese che, se è il Paese dei cento Campanili è anche quello delle mille associazioni culturali. Che hanno bisogno, a Pistoia forse più che altrove, di (ri)costruire quell' idem sentire che fa di un insieme di cittadini una vera e propria comunità.

Mi pare allora che questa opera di ricostruzione materiale ed immateriale possa partire anche da giornate come quella di ieri, nelle quali si intende, nel ripercorrere l'impegno di una vita, ragionare anche attorno alle prospettive future, sul limine di quello che sarà l'anno più intenso, e più sfidante per la nostra Pistoia. Prospettive che, inverando questo concetto di intima connessione, non possono che ripartire dalla costituzione materiale della città stessa, financo ragionando attorno alla configurazione urbanistica della città dentro e fuori dalle mura.
Un terreno, quello urbanistico, al quale non oso nemmeno affacciarmi, non avendo la minima competenza per farlo. E tuttavia riflettendo sul legame, strettissimo, fra urbanistica e cultura, stimolata anche dai ragionamenti ascoltati ieri, ho pensato all'opera di Italo Calvino che sto leggendo (colpevolmente con tanto ritardo), proprio in questi giorni: "Le città invisibili".

Nei racconti di Marco Polo a Kublai Kan, non c'è forse la consapevolezza del rapporto osmotico, quasi fino alla completa sovrapposizione, fra gli spazi urbani ed il carattere dei cittadini, e viceversa. La città che trasforma i secondi, e questi che trasformano, talvolta fino a deformarla nel loro immaginario, e talatra addirittura fisicamente, la città.
E il carattere dei cittadini, non è esso stesso formato (a volte deformato) dalla cultura di QUELLA specifica città, e viceversa?


Mi pare allora che la sfida, in termini programmatici, che l'esperienza di Claudio, trasferita in quest'opera, ci propone, stia tutta qui: nella capacità di spingere verso l'alto i rami, almeno con la stessa intensità e forza con cui continuiamo a far crescere verso il basso le nostre radici.
In un rapporto nel quale basso ed alto non rappresentano interpretazioni valoriali, e possono addirittura essere ribaltati, un po' come avviene per la Bersabea calviniana.

Vi posto qui sotto il racconto che Marco Polo fa della città di Maurilia, perchè non senza qualche sorriso, vi ho ritrovato il carattere di diversi nostri concittadini.

"A Maurilia , il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com'era prima: la stessa identica piazza con una gallina al posto della stazione degli autobus, il chiosco della musica al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica di esplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro le regole precise: riconoscendo che la magnificenza e prosperità di Maurilia diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d'una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta soltanto adesso nelle vecchie cartoline mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era. Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome , nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l'accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. E' vano chiedersi se essi sono migliori o peggiori degli antichi, dato che non esiste tra loro alcun rapporto, così come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com'era, ma un'altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa."

P.S. Chi era presente, non pensi che il richiamo a Italo Calvino sia il frutto di una riverenza al Sindaco...

lunedì 20 giugno 2016

Alcune prime riflessioni sul voto (dati alla mano)


Come mia abitudine, ho atteso di avere i dati ufficiali per buttare giù alcune prime riflessioni sulla tornata amministrativa conclusasi coi ballottaggi di ieri.
Poi, ovviamente, sarà bene riflettere ancora, ma in politica conta anche l'impressione che si ricava all'indomani del voto.

Prima i dati.
L'affluenza fra il primo e il secondo turno ha una flessione di oltre 9 punti percentuali.
E già al primo turno il dato non era esaltante.

Fra i Comuni capoluogo che sono andati al ballottaggio, il PD conferma Milano, Bologna e Ravenna, e strappa ad altri schieramenti soltanto Caserta e Varese.
Non riusciamo a conquistare Napoli (dove eravamo fuori dal ballottaggio)
Perdiamo invece Roma, Torino, Trieste, Latina (dove stravince la Sinistra), Novara, Brindisi, Grosseto, Savona, Benevento, Olbia, Pordenone, Carbonia, Isernia.
Tutte, eccetto Carbonia, cedute al centrodestra (a volte, come nel caso di Isernia, addirittura il ballottaggio è avvenuto fra schieramenti di destra e centrodestra).

Guardando a tutti i Comuni Capoluogo -compresi quelli che hanno eletto al primo turno- il Centrosinistra passa dai 21 Comuni del 2011 agli 8 Comuni del 2016, mentre il Centrodestra passa dai 4 Comuni del 2011 ai 3 Comuni della Destra nel 2016 (più uno di Centro). Il Movimento 5 Stelle, non presente nel 2011, conquista 3 Comuni Capoluogo (Roma, Torino e Carbonia), mentre la Sinistra conquista un Comune Capoluogo (Latina). Gli altri due comuni vanno a Liste civiche.

Guardando ai comuni con più di 15.000 abitanti -compresi quelli che hanno eletto al primo turno- il Centrosinistra passa dai 70 Comuni del 2011 ai 42 Comuni del 2016, mentre il Centrodestra passa dai 27 Comuni del 2011 ai 20 Comuni del 2016. Crescono le Liste civiche, che passano dai 17 Comuni del 2011 ai 29 Comuni del 2016. La Lega passa dai 5 Comuni del 2011 ai 2 Comuni del 2016. La Sinistra più o meno stabile. passa dai 3 Comuni del 2011, ai 4 del 2016. Il Movimento 5 Stelle, non presente nel 2011, conquista ben 17 Comuni.


Prima di passare al voto toscano -che tratterò a parte per varie ragioni- alcune considerazioni del tutto personali.

La sconfitta di Roma, che pure era preventivata, non la immaginavo con queste proporzioni. La Raggi ha più che doppiato Giachetti. e d'altronde questo dato non è che il "perfezionamento" di quello già registrato al primo turno, quando la geografia del voto romano ci diceva che il PD otteneva un buon risultato nelle zone abitate dal ceto medio-alto, e franava nelle periferie.
Un dato non dissimile da quello di Milano, dove vinciamo, ma nelle cui periferie siamo stati in grado di perdere diversi Municipi, dissipando il risultato del buon governo di Pisapia. Mi chiedo quindi quanto abbia pagato la scelta di rimuovere Marino, peraltro senza passare dalla sede istituzionale. Mi pare che qui non sia un problema di "volti", ma di politica. Di risposte che mancano. Di totale distacco fra il Partito e coloro ai quali dovremmo dare risposte. Il ceto medio-basso, gli ultimi, gli emarginati. Che si rifugiano nel voto ai Cinque Stelle. Può non piacerci, ma i numeri ci dicono questo.
E che ci sia una buona dose di voto "politico", ce lo dice Torino. Dove Fassino, pur avendo tutto sommato governato bene, cede il passo alla Appendino. E se le ragioni non sono locali, sono soprattutto nazionali. E non è un caso che Fassino, e come lui Sala e Merola, abbiano cercato di far prevalere i temi locali. Certo, non lo hanno aiutato le uscite dei nostri leader nazionali sulla Città della Salute, che hanno spostato il tiro dal locale al nazionale.
Su Napoli, non resta che stendere un velo pietoso. Per quanto istrionica e complessa sia la personalità di De Magistris, davvero è convenuto al PD rompere quella alleanza? A me pare di no. Soprattutto se, come è accaduto, facciamo finta di niente di fronte a primarie truccate (la Liguria non ci ha insegnato nulla?) e rendiamo strutturale l'alleanza con Verdini.
A Bologna vinciamo, per fortuna. Perchè sarebbe stato un colpo al cuore vederla nelle mani della Lega. Ma vinciamo con un Sindaco autonomo, che ha espresso la sua autonomia, per esempio firmando i referendum sociali promossi dal Sindacato. Ecco una prova tangibile che il rapporto coi corpi intermedi, quando è positivo e coinvolgente (e certo non dettato da subalternità)  funziona ancora. Prova, oltre a Bologna, ne sono Cagliari e Caserta, insieme a Milano. Tutte città dove il Pd "torna alle origini", con un modello di sviluppo, urbano e sociale ben chiaro, e radicato sul territorio. Ed infatti il sindaco Merola ha già dichiarato che i problemi nazionali ci sono eccome.
Anche la sconfitta di Carbonia, ad appannaggio del Movimento Cinque Stelle, seppure poco significativa sul piano generale, ci dice una cosa: nelle zone "povere" d'Italia non abbiamo più alcun punto di riferimento.

Sul piano generale, mi pare che questa tornata abbia definitivamente segnato il tramonto del bipolarismo. Proprio alla vigilia dell'entrata in vigore di una Legge Elettorale ipermaggioritaria come l'Italicum. Bel tempismo!
Mi pare che il Movimento Cinque Stelle, con il passo indietro di Grillo e alcune candidature come quella di Appendino e Raggi -che parlano a un popolo più ampio, spesso "rubandoci" una parte di elettorato- stia uscendo dall'improvvisazione. Se invece di essere ciechi riuscissimo ad essere razionali e maturi, potremmo utilizzare questo scatto per costruire in Parlamento nuove alleanze, svincolandoci dai voti (che abbiamo visto essere inesistenti sul territorio) di Verdini.
Il Centrodestra praticamente scompare dalle grandi città, ma attenzione: non dai Comuni Capoluogo, né dai Comuni con più di 15.000 abitanti, e forse ha trovato un nuovo leader: Stefano Parisi, uomo equilibrato, intelligente e dal linguaggio democratico. Vediamo cosa succederà.
Il Partito Democratico perde. Perde tanti Comuni. perde ovunque. Rispetto al 2011 e al 2013. Del 2014 meglio non parlare. Io credo che ciò che dovremmo fare è smettere di parlare del referendum almeno per un po' (ora che il Pd a guida renziana ha mostrato qualche cedimento, i Cinque Stelle vorranno, grazie alla svolta personalistica che il Premier ha voluto imprimere, "dare il colpo di grazia" e spingere: le parti si sono invertite), chiedere scusa, sinceramente, a tutti coloro che non siamo riusciti a rappresentare (abbiamo visto fra l'altro che i nostri elettori ci vogliono talmente bene che non votano per il Centrodestra: al massimo votano per i Cinque Stelle, o -nella maggior parte dei casi- non vanno a votare), e cercare di ritirare le fila, unendo invece di dividere, a partire da quella Sinistra che ancora -nonostante tutto- continua a voler bene a questo Partito. Mettere da parte i lanciafiamme, insomma.
Mi preoccupano invece le prime dichiarazioni. Che dicono che bisogna rottamare di più, rinnovare, abbattere la vecchia guardia. Dove sia la vecchia guardia non lo so, visto che al Partito e al Governo i quarantenni sono in netta maggioranza, e i meno giovani sono quelli che hanno sposato la "rottamazione", loro malgrado. Un nome su tutti: Piero Fassino. E' come dire che trovandosi sull'orlo del baratro (ci siamo), abbiamo proseguito, facendo un passo avanti (stile Willy Coyote!)

Il voto toscano.
Ecco, nel deprimente quadro nazionale, il voto toscano rappresenta una specificità.
A parte il caso di Altopascio, negli altri 5 Comuni al ballottaggio perdiamo. A Sesto Fiorentino, il caso più eclatante, perchè nel cuore dell'area metropolitana da cui Matteo Renzi ha iniziato a costruire la sua leadership, perdiamo contro la Sinistra, dopo che la frattura, cresciuta tutta nel Pd del governo cittadino, ha dato i suoi frutti. Negli altri casi, perdiamo, malissimo, dal centrodestra. Soprattutto, fa male -almeno a me- il caso di Cascina, ceduta a una leghista.
Nel cuore della toscana rossa, una bruttissima macchia. Che tuttavia, purtroppo, non è isolata, se pensiamo ai vari Comuni toscani persi al primo turno, e agli altri quattro persi al ballottaggio.
E se pensiamo alle brutte sconfitte di Sansepolcro, dove il Centrodestra prende più del 68%, Montevarchi, dove il Centrodestra supera il 59%, e Grosseto, dove non andiamo oltre al 45% (e spiccioli.
Spero che il Partito Regionale voglia prendere atto di questa sconfitta, pesante e brutta, e decida di aprire davvero una discussione, che deve riguardare non solo i gruppi dirigenti, ma tutto il corpo del Partito, e il campo della Sinistra e del Centrosinistra. Magari lavorando su quel campo aperto che da tempo alcuni vanno proponendo.
Dire, come ho sentito e letto qua e là, che il voto è solo un voto locale, che perdiamo perchè il centrodestra ha votato il Movimento Cinque Stelle (argomento pretestuoso, sia perchè questo accade generalmente nei ballottaggi, e perchè è il risultato di una politica muscolare, che abbiamo voluto imprimere con l'autosufficienza veltroniana, e rafforzato, fino a spingerla alle estreme conseguenze, in questi ultimi anni) mi sembra assai riduttivo.

Ripartire?
Si può. In politica non esiste mai l'ultima spiaggia.
Basta fare qualche passo indietro, dimostrare umiltà, perseguire l'unità davvero, riportare al centro del dibattito una visione del mondo che ci consenta di tornare a parlare a chi non ha più rappresentanza e rendere onore ai documenti fondativi del Partito.
Basta volerlo. Basta la politica. Basta voler fare politica.

lunedì 13 giugno 2016

Due passi sul Campanile di Pistoia (Notizie tratte dal sito www.turismo.intoscana.it e dal sito www.informagiovani-italia.com)

Ieri ho visitato il Campanile di Piazza del duomo.
E' stata un'esperienza davvero molto bella, più bella di quanto potessi immaginare. E' vero che ogni città è bella se vista dall'altro..ma la "mia" Pistoia ha davvero qualcosa in più.
Forse perchè così bella non l'ho vista mai, forse perchè le nostre colline circondano come un grande abbraccio questa nostra città, che diventa quasi un diamante incastonato nella terra. O forse perchè noi pistoiesi raramente ci fermiamo  a guardarla. 

Ed è stato inevitabile, da lassù, col vento che tirava forte, ritrovare quello spirito pistoiese che tende a farci isolare, che ci fa sentire meglio quando stiamo con noi stessi.
Penso che la  forza di questo monumento sia esattamente questa. Come i pistoiesi del tempo che fu (non così dissimili da quelli di oggi), il Campanile si erge altero, isolato ma con cento occhi (come si rendeva necessario all'epoca, quando ci dovevamo guardare da Pisa, Lucca e Firenze (e solo un tradimento, ed un assedio lunghissimo ci piegarono), ed è facile fermarsi a riflettere, seduti sulla dura pietra, mentre lo sguardo accarezza i tetti, gode finalmente dei "giardini nascosti" che si celano fra le mura dei Palazzi del centro, e poi spingerlo ancora in avanti fino a sfiorare Firenze, e perdersi fra le colline -fortunatamente in gran parte salve dall' inurbazione feroce e disorganizzata, che negli anni -purtroppo- ha caratterizzato alcune zone della città.



Qualche notizia  
(Fonti: www.turismo.intoscana.it/site/it/elemento-di-interesse/Il-rintocco-del-campano-di-Pistoia/  www.informagiovani-italia.com/duomo_pistoia_cattedrale_san_zeno.htm )

Alcune fonti lo citano come "guardingo" poco prima del Mille, ed infatti il primo nucleo sembra poggiasse su un'antica costruzione di origine longobarda, ma la ricostruzione completa risale al XII secolo, periodo cui si fa risalire l'inizio della costruzione.
Si pensa che l’edificazione abbia seguito le fasi della costruzione della Cattedrale di San Zeno a cui il campanile è perfettamente allineato sul fronte ovest. 
Prima di raggiungere le forme e l’altezza attuale il campanile si elevava su due piani scanditi dalla grandi bifore, incorniciate dai marmi bianchi e neri. 
Nel Trecento l’edificio venne elevato con l’aggiunta di logge sovrapposte ed arcate a tutto sesto, rivestite con marmi bicromi, a richiamare le coeve architetture pisane. Infine nel Cinquecento venne realizzata la cella campanaria e la cuspide che sovrasta il campanile, che completavano un progetto che si inseriva perfettamente nel contesto urbanistico e architettonico della piazza del Duomo.
Più volte, dopo i terremoti che colpirono la città in epoca tardo medievale (tre, i terremoti documentati dopo il Mille), furono necessari interventi di ricostruzione.

Punto di riferimento visivo per la cittadinanza e i visitatori, il campanile venne dotato nel 1548 di un quadrante per segnare le ore. Più volte ristrutturato e consolidato dopo eventi catastrofici (ben tre, i terremoti documentati dopo il Mille, che determinarono tra l’altro la chiusura delle bifore per un lungo periodo) il campanile di Pistoia non ha più cambiato il suo aspetto da quando negli anni '60 del Novecento, furono rimosse le volte della navata centrale e gli intonaci ottocenteschi dalle pareti laterali, e ripristinate monofore e bifore, e chiuse le finestre seicentesche.

Il Campanile, alto 67 metri, e considerato fra i più belli d'Italia, è oggi proprietà del Comune e della Cattedrale.


Ricordo a tutti che nel corso del 2017, in occasione di Pistoia Capitale della Cultura 2017, l'orologio sarà riattivato, e riprenderà a funzionare. 

Per le visite, contattare gli Uffici indicati al seguente link: http://www.comune.pistoia.it/cgi-bin/scheda_pistoia_informa_uffici_2006.cgi?id=218