Ieri ho partecipato alla presentazione del libro: "Amico Museo. Per una museografia dell'accoglienza", che raccoglie gli scritti di Claudio Rosati, maturati nel corso della sua lunga, intensa e prolifica esperienza professionale (ed ora di volontariato) nel campo della cultura, con particolare riferimento al settore museografico.
Poche parole per Claudio Rosati, che è persona che stimo, ed un concittadino con cui sono orgogliosa di aver condiviso un pezzo della mia esperienza amministrativa, e non solo. Claudio è stato davvero un grande punto di riferimento, in grado di intercettare quel cambiamento di cui c'era bisogno, innanzitutto nel modo di intendere gli istituti culturali. Cambiamento vero, agito, non proclamato, come sua abitudine fare.
Suo l'impegno nel rendere prassi amministrativa consolidata il cosiddetto museo diffuso, concetto grazie al quale anche le piccole comunità possono aspirare a farsi grandi, a trasformare l'identità locale in esperienza culturale di alto livello.
Il Museo che esce da se stesso per con-fondersi con la realtà che lo circonda, arricchendosi di essa e in essa in un rapporto osmotico di crescita. Mi piace dirlo così.
E questo impegno, già presente in nuce fin dai primi anni di attività di Claudio nella pubblica amministrazione, ha consentito, con la "complicità" di Amministratori davvero illuminati come l'allora Assessore Provinciale alla Cultura, Simonetta Pecini, di radicare sul territorio l' Ecomuseo della Montagna Pistoiese, al quale ho avuto il grande privilegio di lavorare, assai modestamente, come Assessore. Ma anche a ripensare il Museo Civico, e le altre realtà pistoiesi, innervandole nel tessuto educativo e sociale della nostra Città, anche in questo caso rendendo il Museo protagonista dei percorsi didattici, assorbendo "dal basso" quelle istanze di riorganizzazione necessarie ad adempiere meglio a quella funzione pedagogica che, ben lontana dall'intenzione didascalica, i Musei cittadini fino appunto dagli anni Ottanta hanno assunto a Pistoia.
Un cambio di prospettiva, quasi un'interpretazione teleologica, si direbbe in linguaggio giuridico, che in quegli anni fu impressa al modo di declinare gli Istituti Culturali nel loro complesso.
Questa interconnessione così profonda fra i Musei ed il territorio è stata, ed è tuttora, terreno di coltura fertilissimo per chiunque immagini che la cultura possa rappresentare oggi la più solida, e non improvvisata, base per la crescita sociale ancor prima che economica dei nostri territori, ed in ultima analisi del nostro Paese che, se è il Paese dei cento Campanili è anche quello delle mille associazioni culturali. Che hanno bisogno, a Pistoia forse più che altrove, di (ri)costruire quell' idem sentire che fa di un insieme di cittadini una vera e propria comunità.
Mi pare allora che questa opera di ricostruzione materiale ed immateriale possa partire anche da giornate come quella di ieri, nelle quali si intende, nel ripercorrere l'impegno di una vita, ragionare anche attorno alle prospettive future, sul limine di quello che sarà l'anno più intenso, e più sfidante per la nostra Pistoia. Prospettive che, inverando questo concetto di intima connessione, non possono che ripartire dalla costituzione materiale della città stessa, financo ragionando attorno alla configurazione urbanistica della città dentro e fuori dalle mura.
Un terreno, quello urbanistico, al quale non oso nemmeno affacciarmi, non avendo la minima competenza per farlo. E tuttavia riflettendo sul legame, strettissimo, fra urbanistica e cultura, stimolata anche dai ragionamenti ascoltati ieri, ho pensato all'opera di Italo Calvino che sto leggendo (colpevolmente con tanto ritardo), proprio in questi giorni: "Le città invisibili".
Nei racconti di Marco Polo a Kublai Kan, non c'è forse la consapevolezza del rapporto osmotico, quasi fino alla completa sovrapposizione, fra gli spazi urbani ed il carattere dei cittadini, e viceversa. La città che trasforma i secondi, e questi che trasformano, talvolta fino a deformarla nel loro immaginario, e talatra addirittura fisicamente, la città.
E il carattere dei cittadini, non è esso stesso formato (a volte deformato) dalla cultura di QUELLA specifica città, e viceversa?
Mi pare allora che la sfida, in termini programmatici, che l'esperienza di Claudio, trasferita in quest'opera, ci propone, stia tutta qui: nella capacità di spingere verso l'alto i rami, almeno con la stessa intensità e forza con cui continuiamo a far crescere verso il basso le nostre radici.
In un rapporto nel quale basso ed alto non rappresentano interpretazioni valoriali, e possono addirittura essere ribaltati, un po' come avviene per la Bersabea calviniana.
Vi posto qui sotto il racconto che Marco Polo fa della città di Maurilia, perchè non senza qualche sorriso, vi ho ritrovato il carattere di diversi nostri concittadini.
"A Maurilia , il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com'era prima: la stessa identica piazza con una gallina al posto della stazione degli autobus, il chiosco della musica al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica di esplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro le regole precise: riconoscendo che la magnificenza e prosperità di Maurilia diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d'una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta soltanto adesso nelle vecchie cartoline mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era. Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome , nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l'accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. E' vano chiedersi se essi sono migliori o peggiori degli antichi, dato che non esiste tra loro alcun rapporto, così come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com'era, ma un'altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa."
P.S. Chi era presente, non pensi che il richiamo a Italo Calvino sia il frutto di una riverenza al Sindaco...
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