martedì 27 novembre 2018

Se il cielo stellato è grande, ma la legge morale lo è di più...




Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.
(I. Kant, Critica della ragion pratica)



Questo spazio privato, che molte persone mi fanno l'onore di leggere regolarmente, ospita pensieri che intrecciano la dimensione individuale e quella collettiva, come capita a chi -per ventura e per inclinazione- difficilmente scinde la prima dalla seconda.

E questi ultimi anni sono spesso, sempre più spesso, occasione per riflettere. 
Tanto, ed intensamente.

E' una riflessione che a volte fa male, che sempre interroga, profondamente, e che, sempre più, comporta la messa in discussione di interi pezzi di vita, affinché questi non confliggano, irrimediabilmente, con i principi sulla cui base siamo stati  formati ed a cui ci siamo volutamente, conformati.
E', a livello personale, quello che Zagebrelsky ha efficacemente descritto, in un suo recente intervento, come il rapporto fra la Costituzione formale e il sistema di valori sostanziale su cui essa si innesta.

Io sono davvero molto stanca.
Perché mi trovo a ripetere le stesse cose da anni.
Perché chi dovrebbe avere orecchie attente per ascoltare, sceglie di turarsele.
E continua a suonare, come sul Titanic.
E mette in pratica atteggiamenti e scelte profondamente divergenti dalle parole che dovrebbe pronunciare, o che addirittura pronuncia.


Non mi sono mai aspettata niente dalla destra, non posso aspettarmi niente da chi ha sempre, orgogliosamente, affermato di non essere né di destra, né di sinistra, o che destra e sinistra addirittura non esistono.


Ma sì, pretend(ev)o maggiore maturità da chi ha costruito la propria strada -o pezzi di essa- in un alveo ben preciso, ottenendo la fiducia di tanti e tanti Compagni ed Amici. 
Compagni ed Amici che hanno passato la propria vita credendo in un'idea, in un progetto, in una comunità.

Idea, progetto, comunità che stanno declinando pericolosamente verso il nulla (il gerundio è un eccesso di ottimismo gramsciano) sul piano elettorale, politico e culturale.


Sono tutti uguali?
No, non l'ho mai pensato e non lo penso ora.
Nemmeno i peggiori atteggiamenti -alcuni dei quali ho avuto modo di conoscere molto, molto da vicino- mi vedranno imbarbarita al punto da pronunciare frasi simili.

E' evidente che ci sono persone che hanno condotto con onore e dignità (cit.) la propria vita pubblica, e che oltre a ciò hanno vissuto tale vita restando coerenti con la cultura politica da cui provengono.

E sì, sto parlando -per esempio ma non solo- di Nicola Zingaretti.

Tuttavia, questo non basta.

Serve di più, a sinistra.
La politica va rifondata.
Dall'interno ed in profondità.

Le relazioni all'interno del sistema politico, all'interno dei territori, all'interno della classe politica tutta vanno riorientate.

Vanno riorientate al rispetto.

Al rispetto reciproco, delle regole, della coerenza fra ciò che si dice e ciò che si fa, ed ancor prima fra ciò che si pensa e ciò che si dice.

Non lo so che forma avrà, questo "nuovo Rinascimento" (lasciatemi usare questa formula apodittica e molto presuntuosa, che mi gratifica in una giornata in cui ho dovuto rimettere in discussione molto -ed altre simili mi attenderanno).
Sinceramente, le formule organizzative -che pure in politica non sono mai neutre, né tantomeno irrilevanti- vengono davvero per me, in questo momento non solo un secondo, ma anche un'ora dopo.

Chi mi conosce, chi mi frequenta, chi legge questo blog, chi ha avuto modo di parlare con me, sa da quanto io sia, silenziosamente, in movimento.

Sono piccoli passi per l'uomo, ma grandi passi per la #ChiaraInnocenti (cit.).


Di sicuro, il mio punto di allunaggio non sarà lontano dai principi a cui sono stata educata ed a cui mi è stato naturale conformarmi.
E di sicuro, non sarà lontano dal territorio. Anzi, sarà molto, molto vicino ad esso.

Perché di grandi petizioni di principio costruite sui massimi sistemi, che poi cadono quando vengono declinati sulla carne viva delle persone, ne ho piene le tasche. 
Ed è un peso che vale mille volte di più dei sassi che Jovanotti porta con sé mentre aspetta la sua Francesca "davanti alla scuola".

E perché quel cielo stellato sopra di me è grande.
Ma quella legge morale in me-per quanto io ora od in futuro sia fragile- continuerà ad essere sempre più grande.

martedì 11 settembre 2018

11 settembre 1973. Muore il Sogno di Salvador Allende. Perché i giovani sappiano





L' 11 settembre ricorda a molti l' attentato alle Torri Gemelle.

È stata una data che ha cambiato l' occidente e il mondo intero, che ha sconvolto la vita di migliaia e migliaia di persone, e svelato una verità fino ad allora inconfessabile: gli Stati Uniti non erano più l' intoccabile "gendarme del mondo".

Erano fragili.

Come tutto il resto del mondo.

Chi ha visitato Ground Zero, quell'oasi di silenzio nel cuore del feroce frastuono di New York, e ha visto la voragine in cui si getta l' acqua, dopo aver accarezzato i nomi, le migliaia di nomi incisi sul marmo, non lo dimenticherà mai.


L' 11 settembre, però, per una strana cabala della storia, è anche la data del colpo di stato nazionalista  in Cile, che costò la vita a Salvador Allende.

Una data, l' 11 settembre 1973, che non tutti ricordano -probabilmente non la ricordano i più giovani.

Per loro -ce ne sono molti fra le persone che frequentano abitualmente questo luogo virtuale- vorrei ricordare, per lo spazio che mi consente questo blog, proprio la figura di Salvador Allende, che quel maledetto 11 settembre 1973 ci ha portato via.


Nato nel 1908, fu fra i fondatori del Partito Socialista Cileno nel 1933.

Dopo aver ricoperto vari incarichi, fra cui quello di Deputato, Ministro della Sanità, Senatore e Presidente del Senato, divenne Presidente del suo Paese nel 1970, con una coalizione, "Unidad Popolar", che riuniva Socialisti, Radicali ed altre forze di Sinistra.
Il programma su cui Allende fu eletto era di stampo marcatamente  socialista: nazionalizzazione delle banche, riforma agraria, aumento dei salari, espropriazione del capitale straniero (principalmente statunitense) che controllava le miniere di rame, fondamentale risorsa del Paese.
Questi erano i capisaldi della sua presidenza, ferocemente ostacolata dagli Stati Uniti, che addirittura fecero pressioni su una parte del Congresso affinché l' elezione di Allende non venisse ratificata.

Fu principalmente l' attacco al capitale USA a scatenare la violenta reazione americana, e tramite le interferenze statunitensi sull'economia cilena, una crisi sociale ed economica pesantissima, su cui si innestò nel biennio 1972-73, l' azione della destra interna, decisa a riportare "ordine" nel Paese, non disdegnando per far ciò di usare la forza.

Pinochet divenne nell'agosto del 1973 capo di stato maggiore.

Da lì, un vero e proprio "piano inclinato", che vide la destra orchestrare una campagna volta a rafforzare il clima di scontro sociale, cui Unidad Popular di Allende rispose con manifestazioni di piazza.
 L'epilogo, avvenne proprio l'11 settembre. L'esercito dichiarò illegittimo il governo e destituì il Presidente, assediando e poi conquistando con le armi il "Palacio de La Moneda".
Fu nel corso di quella stessa giornata che Allende trovò la morte, dopo aver rifiutato di usufruire del salvacondotto militare.

Con la fine del governo di Allende, iniziò la tremenda dittatura di Pinochet.


Queste poche righe non rendono affatto giustizia a Salvador Allende, né all'uomo, né al politico. Sono solo poche notizie, che spero stimoleranno qualcuno a leggere, la sua storia e le sue parole.

Con la morte di Allende tramontava un sogno.
Finiva l'Utopia che aveva portato un marxista al potere, con la promessa di liberare un popolo, il suo popolo,  dall'oppressione del Capitale straniero, e di restituire dignità ai più poveri.

Salvador Allende era un simbolo, per un'intera generazione.
Per quello che aveva fatto, per quello che rappresentava, e per la sua specchiata moralità, esempio di rigore politico ed umano.
Salvador Allende sarebbe piaciuto anche ai giovani di oggi, che incontro ogni giorno.

Più di queste mie poche e superficiali parole, potrà lui rappresentare se stesso.

Lascio quindi a lui la parola, con il suo ultimo discorso:

"Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi. La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes. Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno. Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri. Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo. E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli.
Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece. In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi.
Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini. Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta. Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere.
Erano d’accordo. La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento."
(Santiago del Cile, 11 Settembre 1973).

sabato 25 agosto 2018

Il coraggio dei penultimi. Il dovere dei cittadini.

(Foto: Immagine tratta da Internet)




'La Procura di Agrigento, al termine dell'attività istruttoria compiuta a Roma, ha deciso di passare a noti il fascicolo, iscrivendo due indagati, un ministro e un capo di gabinetto, e trasmettendo doverosamente i relativi atti alla competente Procura di Palermo per il successivo inoltro al tribunale dei ministri del capoluogo'. (Fonte: ANSA)



Con queste poche righe, contenute nel comunicato ufficiale, la Procura di Agrigento pone fine alla girandola di voci che avevano accompagnato queste ultime ore, qui sulla terraferma, mentre i migranti dalla nave Diciotti, assieme all'equipaggio, cercavano di capire cosa ne sarebbe stato di loro.

Io penso che in questo momento ci si debba sforzare di essere più razionali che emotivi.

Chi legge questo blog conosce la mia posizione sulle politiche migratorie.

Conosce il disprezzo profondo che nutro sul piano politico, culturale e perfino umano per tutti coloro che avendo responsabilità politiche di massimo rilievo continuano a soffiare sul fuoco ed invece di lavorare per garantire la coesione e l'ordine pubblico, sobillano l'odio dei penultimi verso gli ultimi.
Distraendo tutti noi dal fatto che questo governo non ha fatto niente di tutto ciò che aveva promesso.

Questo governo aveva alcune priorità.
Cose su cui aveva detto di voler lavorare da subito.

L'abolizione della legge Fornero.
L'espulsione di 600.000 CLANDESTINI.
L'abolizione delle accise sulla benzina.
La flat tax.
Il reddito di cittadinanza.
L'abolizione del jobs act.

Questo governo non ha nemmeno iniziato a lavorare a tutto ciò.
La condizione di nessuno di noi è minimamente migliorata, e non sono state poste le basi perché migliori a breve.

Ma non possiamo e non dobbiamo illuderci.

Perché questo governo probabilmente ha il plauso di una larga fetta del paese. 
Sicuramente dei penultimi. 
Ed oggi i penultimi sono tanti.

Quindi l'atto della Procura di Agrigento, è un atto, a mio avviso sacrosanto, che può avere conseguenze paradossali per molti di noi -sicuramente per tanti come me- ma assolutamente naturali per tutti quei penultimi che oggi, non avendo gli strumenti, e non volendoli avere, per rifarsela con i veri potenti, scelgono i migranti.

Salvini ha già cominciato a gridare al complotto, a sollevare il suo popolo, ad attaccare la magistratura, a mettere insieme la vicenda di Genova con quella della Diciotti ("per Genova non c'è neanche un indagato, mentre indagano un Ministro che fa gli interessi degli italiani", ha gridato senza spiegare ovviamente in quale modo gli interessi degli italiani sarebbero tutelati tenendo a bordo, ormeggiati a poche miglia dalla nostra costa, su una nave italiana, uomini con sospetta polmonite, sospetta tubercolosi, con la scabbia, ed undici donne violentate ed in condizioni igieniche che facilmente possiamo immaginare).
Salvini si è intestato il fatto che l'Albania e l'Irlanda hanno accettato di accogliere 20 MIGRANTI (sic!) ciascuna e che la Chiesa accoglierà, se non erro, 100 migranti. Dimenticando forse di essere lo stesso Salvini che ha offeso pesantemente chi, anche su questo territorio e da sacerdote, fa accoglienza ogni giorno.

E' assai probabile che Salvini, con la forza della retorica dell'odio, della semplificazione, della paura, riesca nel suo intento. E che punti a diventare, paradossalmente, lui stesso una vittima. Dopo aver vittimizzato senza alcun tentennamento minori, donne e uomini, prima con l'Aquarius, poi con la Diciotti, ed ogni giorno con le parole e la subcultura dell'odio. 
Che prima di distruggere quei migranti sta distruggendo noi.

Sarebbe facile reagire emotivamente.
Sarebbe facile accusare Salvini di atteggiamenti fascisti e squadristi.

Sarebbe facile e secondo me aderente al vero.

Ma voglio scegliere diversamente.

Voglio ricordare a tutti quei penultimi che scagliarsi contro i migranti non ha migliorato e non migliorerà la loro vita (la nostra, perché fra quei penultimi, in quel trenta per cento a rischio di scivolare nella povertà ci sono anch'io).

Voglio consigliare a tutti noi di giudicare oggettivamente l'azione di governo.
Di pretendere da questo, che dovrebbe essere il governo del cambiamento, ciò che colpevolmente non è stato fatto prima.
Forse, anche dai governi che sono stati guidati dal Partito a cui sono stata finora iscritta.

Accetto questa sfida.
Perché se in tanti siamo penultimi, non può essere colpa di chi sta peggio di noi.

Su Salvini giudicherà il Tribunale competente, che sarà composto di tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o qualifica superiore. 

Punto.

A noi onere ed onore di valutare le cose per come stanno.
I risultati per come vengono conseguiti.

Alla magistratura l'onere e l'onore di decidere.
Il Capo del CSM è Sergio Mattarella. 

E io del Presidente Mattarella mi fido.

lunedì 9 luglio 2018

Riprendere la navigazione... Altri appunti sparsi - “Per menare il remo bisogna che le cinque dita della mano si aiutino l’un l’altro.” - Giovanni Verga




Sono passati oltre quattro mesi dal disastro delle elezioni politiche.
Abbiamo intanto perso le elezioni amministrative, con il "caso Toscana", che ha visto altri tre Comuni Capoluogo passare al (centro?)destra.
Massa.
Pisa.
Siena.

Un crescendo rossiniano.
Città governate dal Centrosinistra, nelle sue varie forme, per lunghi anni, in alcuni casi ininterrottamente dal Dopoguerra ad oggi.

Quindi, se fossimo in un quadro normale, qualcuno potrebbe dire che è l'alternanza, che la democrazia si realizza, specialmente in questi tempi liquidi, anche in questo modo.
Però, non siamo in un quadro ordinario.
Perché non è accaduto -basta guardare i flussi elettorali- che improvvisamente la Toscana si sia svegliata di (centro?)destra.
Basta guardare i flussi elettorali, e basta vivere il territorio.
Vivere da cittadini "normali", fra cittadini "normali".
Prendere il treno tutti i giorni, per esempio, può essere un modo utile per "sentire" il territorio.
C'erano tutti i segnali.

C'era una partecipazione sempre inferiore alle elezioni.
Ogni anno, ad ogni elezione, dal 2014 in poi, cresce l'esercito dei cittadini senza casa.

All'indomani delle elezioni dell'Emilia Romagna, dopo i fasti del 40% conquistato dal Pd alle elezioni europee, solo il 30% dei cittadini andò a votare.
Ma il centro(sinistra?) aveva vinto, e solo in pochi ci curammo di quell'esercito di scomparsi. Solo in pochi avvertimmo che un granellino di sabbia si stava infilando nell'ingranaggio.

Ma fu un florilegio di "gufi, rosiconi, sciacalli"...

E intanto, io che viaggiavo in treno sentivo la parabola del nuovo Pd, quello tutto giovani&storytelling, che era sempre più al centro delle osservazioni perplesse dei frequentatori di quel treno che ogni mattina continuavo e continuo a prendere.

E poi le elezioni del 2015, le regionali della Toscana, con la Lega che si affermava già come secondo Partito, al 20%.
Ma anche allora vincemmo, e quindi andava bene.

E abbiamo (hanno) continuato, fra una narrazione e una partita alla Playstation, a festeggiare.
Perché le primarie andavano sempre nello stesso modo.
La sinistra interna perdeva e quindi aveva torto.

Ma le secondarie andavano anch'esse sempre nello stesso modo.
Perdevamo.
Ma siccome c'era ancora lo storytelling e si diceva le elezioni amministrative non possono avere valore politico, andava bene così.

E giù botte contro la Cgil, e via foto con Marchionne, che diventava punto di riferimento, perché "ha fatto lavorare più gente lui del Sindacato".

E poi venne il momento del referendum costituzionale.
I nemici erano, come sempre, la Cgil e i "professoroni".
Tutti "nemici del popolo", ombre contro "il Sol dell'Avvenire".
Ma nel frattempo io continuavo a viaggiare in treno, e i fasti del 2014 si allontanavano sempre di più, mentre sui territori -su TUTTI i territori- i gruppi dirigenti erano sempre più convinti che non si poteva che vincere.

Ma il 40%, stavolta, lo presero gli "altri".
I "professoroni", la Cgil, la vituperata intelligentia del mondo dello spettacolo -i giornalisti di Repubblica, invece, andavano bene: quella era intelligentia buona, che usava l'I-pad, mica il telefono a gettoni!

Eppure anche lì, anche allora, vi giuro che ho sentito con le mie orecchie Compagni dirmi che avevamo vinto, perché pur avendo tutti contro avevamo, da soli, preso il 40%.
Questa era la parola d'ordine.
L'hanno detto davvero.


Il resto è storia più recente.
La scissione, che oggi è diventata il centro di tutte le colpe.
Con i Compagni dei territori sempre più lontani.
E non parlo solo dei gruppi dirigenti.
Perché a Pistoia, per esempio, pochi hanno fatto la scelta di uscire dal Pd.
Eppure abbiamo perso.

Abbiamo perso nel 2017, e abbiamo perso alle politiche del 2018.
Non parlo di Pescia, perchè casomai ne parlerò in Direzione Provinciale: io sono ancora abituata così: prima gli organismi dirigenti.
Mi sarebbe piaciuto che tanti importanti rappresentanti del mio Partito avessero fatto altrettanto nel 2017, ma lasciamo stare...

Questi sono i fatti.

Chi ha voluto aver orecchie per ascoltare le persone con cui ora ci è presa la smania di andare a parlare, avrebbe ascoltato tutto questo.
Ammirazione.
Poi speranza.
Poi perplessità.
Poi delusione.

Ed ora odio.

Perché la verità è che oggi la maggior parte delle persone, soprattutto quelle che dovremmo rappresentare, ci ha in odio.

Perché?
Davvero c'è chi ancora pensa che questo sentimento nasca dal fatto che "siamo litigiosi"?
Che "siamo stati poco sui social"?
Che "non abbiamo saputo raccontare tutte le cose buone che avevamo fatto?

Non sarà invece che le persone ci hanno in odio perché oggi ci sono cinque milioni di poveri?
O perché oltre duemilioniesettecentomila (leggetela tutto d'un fiato, fa effetto) persone non riescono a mangiare due volte al giorno, se non ci fosse (ancora) una sana rete di welfare locale, e che di queste ben quattrocentocinquantacinquemila (tutto d'un fiato) sono bambini al di sotto dei quindici anni?
O perché invece di aumentare le tutele, le abbiamo tolte a chi le aveva, con una furia ideologica, che neanche Berlusconi era riuscito a perseguire?
O perché le ore lavorate si riducono di anno in anno?
O -per i più accorti- perché fai una commissione d'inchiesta sulle banche, nella quale si parla anche e soprattutto di noi, e la si affida a Perferdinando (tutto d'un fiato) Casini, che poi candidi (a Bologna)?


Così, a occhio, io credo che i motivi stiano sostanzialmente qui.
Perché le cose sono più semplici di quanto appaiano: se le persone stanno meglio, non ti voltano le spalle. Se stanno peggio, sì.
Specialmente se, mentre non fai nulla per loro (ed il REI, provvedimento sacrosanto, ma troppo ridotto negli importi, e soprattutto fatto troppo tardi, non poteva bastare), magari offendi anche chi ancora li tutela, e magari ti portava anche i voti.

E invece, le nostre analisi, se e quando le facciamo, si avvitano ancora attorno ai nomi, ai vittimismi, alle fake news.

E c'è ancora chi si chiude in una stanza, e pensa di fare il gioco delle tre carte.
A decidere chi farà cosa e quando.
Come se ancora le secondarie corrispondessero perfettamente alle primarie.
Come quando c'era IL PARTITO.che ha
Quel Partito che, complice qualcuno che era nella FGCI "Quando c'era Berlinguer", avete voluto liquido, ormai rarefatto, ed oggi è talmente rarefatto da essere completamente inesistente nella società, mentre sui territori riesce ormai a parlare pressoché soltanto di formule organizzative.
E ovviamente, parla solo a se stesso.

Ma nel frattempo, mentre c'è chi gioca alle tre carte, le persone, quelle che io sul treno sentivo e sento, hanno fatto saltare il banco.

Rien ne va plus. 
Non si gioca più, signori.

Saremo giudicati per ciò che faremo, non per come lo racconteremo.
Saremo giudicati per la nostra credibilità.
Per la nostra coerenza. Per ciò che sappiamo rappresentare.

Bisogna prendere coscienza dello tsunami che ha investito il Partito Democratico,  ma non basta dirlo, ripeterlo ad ogni piè sospinto, se poi quegli stessi che lo ripetono continuano ad usare gli stessi metodi, dalla cooptazione in giù.

Per questo, dico, non sarà sufficiente nemmeno l'ennesimo congresso, soprattutto se sarà l'ennesima manfrina che risponde al nome di primarie.
Perchè sappiamo già che vincerle (che brutto quel "perderete ancora") non serve assolutamente più a niente, se non ad accarezzare qualche ego e rafforzare qualche conventicola.

Per questo, o sarà congresso vero, o non servirà assolutamente a niente, se non a rafforzare quei paletti che alcuni hanno piantato fra noi e il nostro popolo (no, meglio: voi e il nostro popolo, perchè io non ho piantato alcuna staccionata).

Quindi, aspetto di capire regole e soprattutto percorso.
Perchè da qui a febbraio può essere un tempo lungo, o brevissimo.

Io so quello che c'è fuori.
Vedo un popolo, un centrosinistra sociale e civico colmo di persone che hanno abbandonato soprattutto il Pd perchè non sono state più rappresentate.
Niente più, e niente meno.

Persone che vengono dal cattolicesimo progressista, dal mondo del terzo settore, dalla cooperazione sociale, dalla sinistra sociale.
Persone che conosco, che frequento, che ho frequentato, e con cui ho condiviso tratti di strada importanti.
Persone che non aspettano altro che un cenno dal Pd.
Un cenno vero, però, non un'operazione di restaurazione, in un potere fine a se stesso che sa solo riprodursi ed autotutelarsi.

E' il momento di dire basta a tutto questo.

O ci saranno segnali chiari di voler fare tutto ciò, o sarà inutile anche iniziare un finto congresso.
Perchè chiunque lo vinca -anche fosse un esponente che sento più affine- si troverà invischiato in un blob informe, che nulla di diverso potrà produrre.

E' il momento di tornare a scommettere su tutti quei segmenti di società che non ci (vi) sono interessati ormai da tempo.
Che tornavano ad essere "ascoltati" solo in occasione di una qualche tornata elettorale, e che giustamente hanno cercato la protezione sociale di cui avevano bisogno altrove. Mentre altri, hanno rinunciato a votare.

Si spiega così, assai semplicemente.

Io, con quel mondo lì non ho mai interrotto il dialogo, perchè sono persone che fanno parte di me, del mio percorso di vita.
E sceglierò di scegliere loro, stavolta.

Credo, quindi, che da settembre sarebbe bene cominciare a tornare a parlare con loro, con queste persone, senza simboli di partito, che ormai non dicono più nulla a nessuno.

E quanto costa scrivere queste parole, a me che sono nata e cresciuta dentro un Partito!
Quanto mi costa, dopo aver rinunciato a un pezzo di vita e ad una cultura politica per fondare un nuovo progetto.

Quel progetto, così come lo avevamo fondato, non esiste più.
In una società divisa, atomizzata, frammentata, ci sarebbe stato bisogno di quel bel progetto!
Ma il tempo sta scadendo, non possiamo più fingere di essere in un tempo ordinario.

E siccome non viviamo in un tempo ordinario, la mia risposta non sarà né ordinaria, né scontata.

Non ci sarò a prescindere, non ci sarò con tutti.
Riprendo la navigazione.

Chissà dove mi porterà?

lunedì 26 marzo 2018

Appunti sparsi dal territorio...




"Ci chiederanno se siamo stati credibili, non credenti", scriveva il giudice Livatino pochi giorni prima di essere ucciso.

Noi abbiamo chiesto agli elettori di credere ad una narrazione che descriveva un Paese che non c'era. Abbiamo chiesto agli elettori di turarsi il naso, ma il Paese è fatto di persone che vivono con la testa sott'acqua, e che hanno bisogno di respirare, non di turarsi il naso.

E così ci hanno creduto gli elettori più anziani, che votano per appartenenza, e le elite.
Non ci hanno creduto i disoccupati, i giovani e -soprattutto- i ceti popolari, che sono andati verso il Movimento 5 Stelle (il 14% di chi nel 2013 aveva votato Bersani) o addirittura alla Lega (il 7% della stessa platea), e molti altri invece hanno scelto l' astensionismo.

Ci hanno creduto, cioè, coloro che non sono affatto interessati al cambiamento.
Un fallimento culturale, prima che politico ed elettorale, per chi sull'onda di quel cambiamento si era candidato a guidare il Partito e il Paese.

Non ci hanno votato coloro che dovremmo rappresentare.
Gli ultimi, certo, ma nemmeno quello che era il ceto medio riflessivo -per esempio i dipendenti pubblici, e fra questi sicuramente gli insegnanti.

Perché LeU, dunque, non ha ottenuto un buon risultato, pur proponendosi di rappresentare esattamente quelle istanze?
Perché a mio avviso è stata un'operazione corta nei tempi, non sufficiente, per come è nata, ad assolvere al compito importante che si era proposta.

Il rinnovamento che il Partito Democratico ha messo in atto, si è esaurito nella sostituzione di interi pezzi di classe dirigente, ed è apparso, fin dai primi tempi dopo i fasti del 2014, più orientato alla ricerca del consenso, che non alla creazione di esso.

L' operazione più interessante e culturalmente avanzata, il REI, è giunta a fine legislatura, ed è adeguata a coprire poco più di un terzo delle necessità.
Secondo l' Alleanza contro la povertà erano necessari circa 7 miliardi all' anno per coprire l' intero fabbisogno.
Circa un terzo del Jobs Act, che è costato molto e ha prodotto un mercato del lavoro drogato nei numeri, e dipendente dalla decontribuzione, come ci dimostrano i dati, che evidenziano il crollo delle assunzioni a tempo indeterminato e il perdurare nel lungo termine di un lavoro di bassa qualità, a tempo determinato per circa il cinquanta per cento ed in gran parte part time.
Una riforma che ha finito sostanzialmente, per togliere certezze a chi poteva averle, monetizzando il diritto al lavoro.


Abbiamo prodotto riforme importanti sui diritti civili, ma non abbiamo tenuto insieme la dimensione dei diritti civili e quella dei diritti sociali.

Abbiamo prodotto riforme "a dispetto dei Santi", come la Buona Scuola, portata avanti nonostante l' opposizione di insegnanti e studenti, o la riforma delle Province, che non ha aiutato i nostri amministratori e ha disperso un patrimonio di competenze cresciute in quei luoghi -io posso dirlo perché quelle stanze ho continuato a frequentarle anche dopo il 2012.

Abbiamo in sostanza prodotto un distacco fortissimo dal Paese reale.

Un fallimento politico, culturale, ed elettorale che non si spiega con il generico richiamo al fallimento dei Partiti Socialisti, perché perdono i Partiti del Socialismo Europeo che guardano al centro, ma ottiene buoni risultati Corbyn con il Labour Party, che tocca il 40%, e raddoppia le iscrizioni al Partito.

Abbiamo perso per le politiche messe in atto e per i messaggi che abbiamo dato al Paese e soprattutto al nostro popolo.
Mentre alcuni gridavano "fuori, fuori", sono usciti più gli elettori che i dirigenti.


Altro che turarsi il naso!
C'è bisogno di aria nuova, di riscrivere un patto con il Sindacato, con il cattolicesimo progressista, con le forze sane del Paese che, trovatesi senza più casa politica, si sono rifugiate dove potevano.

Mentre eravamo impegnati a difenderci da D'Alema e Bersani, Di Maio parlava al nostro popolo.
Mentre conquistavamo i centri urbani (e solo nel centro del Paese, insidiati perfino in Emilia Romagna) perdevamo le periferie urbane, le periferie geografiche (il Sud) e le periferie dell'anima.

Ed allora c'è da ricostruire la connessione sentimentale col nostro popolo.

Come?

Andare fra la gente non basta.
Bisogna sapere cosa dire, prima.
E -per inciso- a Pistoia credibilità impone, come ha dichiarato il Segretario Comunale, di dire no al ritorno di chi è stato determinante nella sconfitta del Centrosinistra nel Comune Capoluogo.

E allora basta con la narrazione.
Bisogna dire la VERITÀ.
Perché il Paese è fatto di venti-trentenni che vivono di stage, tirocini, "esperienze" (prevalentemente a titolo gratuito).
Il Paese è fatto di quarantenni per bene, che impiegano due anni per aprire una propria attività.
Di donne ancora costrette a scegliere fra lavoro e famiglia.
Sono tre esempi non casuali, ma che mutuo dalla vita di ogni giorno.
Perché io non ho bisogno di tornare fra la gente comune:lo sono io stessa.

Allora si deve parlare di povertà -sia essa assoluta o relativa- di precarietà, di working poor.
E si deve rigenerare dalle fondamenta questo Partito, SE lo si può ancora fare.

Per questo, niente formule precostituite, anche da noi, perché il 4 marzo ha travolto tutte le logiche che conoscevamo, a partire da maggioranze e minoranze formatesi prima dello tsunami che ci ha investito.

Quindi, sì alla collegialità, purché questa non sia riproposizione di alchimie ormai scadute.

Con un orizzonte che sia il congresso, con tempi certi, ma soprattutto preceduto da un'operazione verità.
Un'operazione che non può esaurirsi con le dimissioni di Matteo Renzi ma che chiede un passo indietro ad un' intera classe dirigente, perché se è vero che la responsabilità non poggia mai sulle spalle di una sola persona, è altrettanto vero che in politica le responsabilità devono essere sempre chiare. E c'è stato chi in questi anni, inascoltato quando non dileggiato o emarginato, ha provato a evidenziare quanto stava accadendo.


Un' operazione verità necessaria ovunque.
Perché per essere credibili, come chiedeva il giudice Livatino, bisogna essere sinceri.
Soprattutto con se stessi.

sabato 10 marzo 2018

Della (necessaria) rigenerazione della Sinistra

https://www.ipsos.com/sites/default/files/ct/news/documents/2018-03/elezioni_politiche_2018_-_analisi_post-voto_ipsos-twig_0.pdf

Sono giorni ed ore complessi.
Momenti in cui ciascuno di noi prova a leggere ciò che il voto del 4 marzo ci consegna.

Leggo alcune prese di posizione che tentano perfino di piegare i risultati delle elezioni politiche a logiche locali, proponendo, sulla base di quel tentativo, improbabili approcci unitari con chi, lo scoro anno, ha contribuito a quella sconfitta.

Credo che il quadro che ci troviamo di fronte sia troppo difficile per consentire a chiunque di anteporre logiche correntizie o di parte ad una spietata analisi, che deve concentrarsi prima sul dato elettorale, e poi sulle ragioni che ci hanno condotto fin qui, ed infine -soltanto infine- sulle prospettive politiche.
Mi pare invece che alcuni scelgano la strada inversa.

Non ho apprezzato i toni di chi sta tentando, a vari livelli, prove muscolari, a volte "mettendo insieme le pere con le mele".
Questa è un' inversione del ragionamento logico che deriva dal fatto di aver visto nel Partito non il luogo del confronto, della composizione, della sintesi, ma il luogo della conquista, dell' affermazione di gruppi più o meno ristretti, e dell' emarginazione di altri.
E se un partito smarrisce il senso di comunità, ciò che lo tiene insieme possono essere solo o i reciproci interessi o le reciproche rivalità.
E non so quale delle due ipotesi sia la peggiore.

Allora, invece di ardite ricostruzioni sui flussi elettorali, che conducono là dove si voleva arrivare, partiamo da ciò che c' è.

E il quadro che abbiamo davanti, paragonando l'unico dato paragonabile, ossia il voto del 4 marzo con quello del 2013, è il seguente (dati Ipsos).
Oltre il 20% degli elettori della coalizione Bersani 2013 ha deciso di astenersi.
Circa il 14% di quegli elettori del 2013 ha votato Movimento 5 Stelle, e solo il 7% ha votato Leu.
Quindi meno della metà degli elettori di area vota PD e solo poco più della metà torna a votare la coalizione.

Il Centro destra conferma invece praticamente tutti i suoi elettori, mutando solo, in quell' area, la composizione qualitativa del voto (sostanzialmente i voti passano da Forza Italia alla Lega).
Solo l' 8% degli ex elettori del Centro destra passa al Movimento 5 Stelle, che cede pochissimo ad astensionismo e Lega, attraendo, oltre che elettori del Centrosinistra -di cui ho già detto- il 13% degli elettori centristi e il 20% degli elettori di piccole liste.

L' analisi sociale del voto è ancora più drammatica.
Restano al PD, solo gli elettori più anziani.
La lista Bonino ottiene buoni risultati tra studenti, laureati, ceti elevati e ceti medi.

La Lega tende a diventare un partito trasversale, acquisendo il voto tradizionalmente forzista (soprattutto quello delle casalinghe), e soprattutto il voto degli operai (ha ragione la Camusso, quando dice che l' operaio della Cgil vota Lega).
Il Partito più trasversale è però il Movimento 5 Stelle, che non ha particolari blocchi sociali di riferimento, se non -udite, udite- i dipendenti pubblici, prima punto di riferimento del PD.

Volendo semplificare, gli operai ci hanno abbandonato per la Lega, i dipendenti pubblici per il Movimento Cinque Stelle.


Questo il quadro.

Un quadro che non consente di dire semplicemente che il Movimento 5 Stelle è il partito dei disperati e degli emarginati (che semmai si rifugiano nella Lega).
Invece, è il partito votato dal ceto medio riflessivo.
Tutti coloro (me compresa) che si sono cullati nella semplificazione secondo cui l' uso criminale del reddito di cittadinanza come grimaldello per attrarre gli emarginati è la ragione principale del successo pentastellato, dunque, sbagliano.
C' è quell' elemento -e bisogna combattere con tutte le nostre forze l' impianto culturale di quella falsa promessa- ma non è il solo, e non è il più forte, stando all' analisi sociale del voto.

Allora, credo, la sfida sta tutta qui.
Il Partito Democratico può tornare a parlare a quel ceto medio, recuperando lo spirito originario su cui si è formato.
Abbandonando le prove muscolari, il potere per il potere, l' autoconservazione.
Abbiamo bisogno di tornare a parlare con quel ceto medio, e con l' operaio.
Ricostruendo, finalmente, un campo largo di forze del Centrosinistra, dando di nuovo casa ad un popolo che abbiamo costretto a votare perfino la Lega.

Bene allora le dimissioni del Segretario, ma non può essere il solo.
E il problema non si può risolvere neppure nei e con i gruppi dirigenti.
Bisogna alzare ed allungare lo sguardo, fuori dalle correnti, e "persino" tornando a parlare (invero, io non ho mai smesso) con i compagni di Leu, che abbiamo accusato (invero, io no) delle peggiori colpe.
Ed invece, è grazie a loro e al fatto di non avere in coalizione forze non chiaramente riconducibili alla sinistra, che Zingaretti ha riconquistato il Lazio.

E quindi ben vengano gli "autoconvocati" dell' iniziativa di oggi a Pisa, che si collocano fuori da ogni corrente, e che lavorano, come lavoreremo domenica a Roma all' iniziativa di Sinistradem, per rigenerare la Sinistra.

Chissà che non ci si riesca davvero...




martedì 6 marzo 2018

L' obbedienza non è più una virtù

Indegnamente, prendo a prestito il titolo che Don Milani scelse per uno dei suoi scritti più conosciuti, mai sufficientemente approfonditi.

Lo faccio, perché si addice molto al sentimento e alle riflessioni che mi attraversano mente e cuore in queste ore.
La sensazione che sia necessario -che anzi, sia eticamente dovuto- uscire dagli schemi e dai recinti che alcuni di noi, per un malinteso senso di responsabilità a volte sconfinante nell' autocensura hanno costruito attorno a se stessi. Mi riferisco non tanto a chi l' ha fatto per opportunismo,mancanza di coraggio (che tanto, "chi non ce l'ha non se lo può dare"), congenita doppiezza e via e via.
Mi riferisco ai tanti che, formatisi e cresciuti nell' idea della collettività, del vincolo di maggioranza, del "Partito", hanno per anni avvertito chiunque che l' emorragia di voti, il distacco dai nostri blocchi sociali di riferimento (gli insegnanti, i lavoratori, il Sindacato...) avrebbero portato ad un disastro in termini prima politici e poi elettorali.

Come Cassandra, tutte queste persone -o molte di loro- si sono autoemarginate, hanno gridato in silenzio, vedendo quanto accadeva, consapevoli che non sarebbero stati ascoltati.

Non è bello, né facile, decidere di non scendere da una macchina che si percepisce lanciata a tutta velocità contro un muro, mentre urlano"fuori, fuori", a te e a quelli come te.
Mentre vedi scendere Compagni che rispetti, apprezzi, a cui vuoi bene.

Eppure siamo rimasti a bordo.

Ecco, ora credo che, come dice Don Milani, sia nostro preciso dovere mettere in campo una sana "disobbedienza civile".

Assumersi una responsabilità.
Assumersi LA responsabilità.

Tornare ad essere più uguali a se stessi.
E soprattutto più uguali a chi la nostra storia politica, i documenti fondativi del Pd, la nostra sensibilità ci dicono che dovremmo e avremmo dovuto dare risposte.

Ora basta!

Basta tatticismi.
Basta silenzi che da responsabili rischiano di diventare complici.

Le analisi sul voto, che tutti noi stiamo -collettivamente o individualmente- svolgendo troveranno altri spazi ed altri tempi.
Ma non è necessario essere fini analisti per dire che il risultato del Centrosinistra (eppure con Lorenzin e Casini dentro mi sembra stonata persino questa parola) e Sinistra (a me il 3,3% di Leu ha straziato il cuore non meno del 19% del Pd, e fatevene una ragione) sono un disastro.

Un disastro perché il nostro popolo si è ritrovato a votare Movimento Cinque Stelle e perfino Lega.
Fa sanguinare le orecchie o gli occhi, ascoltarlo o leggerlo, ma è così.
E la colpa è nostra.

Non di tutti (come qualcuno con un rasoio di Occam un po' troppo deciso fra le mie conoscenze ha detto) e non con le stesse tonalità, ma di sicuro è colpa nostra.

E allora?
E allora è troppo facile, come ha fatto ieri il mio segretario, pensare di assolvere il proprio compito dicendo semplicemente che abbiamo perso nettamente.

Ed è irresponsabile contemporaneamente lanciare il congresso (congresso? diciamo primarie) e rimandare sine die il momento delle proprie dimissioni.

Ho apprezzato il gesto del mio segretario provinciale, come ho apprezzato il gesto di Debora Serracchiani.
Perché -hanno ragione Cuperlo, Zanda, Finocchiaro, Orlando- le dimissioni si danno, non si annunciano.

Perché non si cercano responsabili nel Presidente della Repubblica ("dovevamo votare nel 2017", come se, fra l' altro, un anno di Gentiloni fosse stata una sciagura -e secondo me senza il Governo Gentiloni avremmo avuto un risultato anche peggiore), né ci si dimette autonominandosi garanti di e in una fase così complessa.

Abbiamo fatto La Buona Scuola, il Jobs Act, abbiamo rotto con i corpi intermedi (a partire da quei gufi della Cgil), non abbiamo fatto la legge sullo Ius Soli, sempre guardando al centro, nell' illusione che al centro si vincesse.
Nonostante, pervicacemente, i numeri (che "hanno la testa dura") ci dicessero di fermarci, di pensare un attimo, almeno di interrogarci.

Certo, abbiamo approvato il testamento biologico e un abbozzo (seppur timido) di unioni civili.
Ma se non tieni insieme diritti sociali e diritti civili, in un tempo difficile come quello attuale, è tutto inutile.
Il disegno è troppo incompleto.

Se le nostre città sono insicure perché non parliamo di riqualificazione urbana ed ambiente, se lasciamo i sindaci soli a fronteggiare l' urgenza dell' accoglienza, se precarietà è ancora la parola d'ordine per giovani e meno giovani, come pensiamo di parlare a un popolo che è sfinito?

Se raccontiamo un Paese che esiste solo in parte, ed intanto con la politica dei bonus a pioggia facciamo parti uguali fra disuguali (tanto per citare ancora Don Milani) perdiamo la nostra identità politica, financo la nostra ragion d'essere, tradiamo i nostri documenti fondativi, e lasciamo i cittadini (che sono cittadini prima di essere elettori) alla mercé di uomini forti o soluzioni semplici.

E allora?
Allora dimettersi (magari non sine die) è importante, necessario e dignitoso, ma ancor più necessario è "rigenerare il Centrosinistra", come ha avuto a dire l' unico che ci ha portato in dote una vittoria:Nicola Zingaretti (si, quello che ha vinto con LeU e senza la Lorenzin).

Allora torniamo a disobbedire, a studiare, ad organizzarci -qui c'è Gramsci- per dare nuova dignità a quel popolo che abbiamo abbandonato e tradito.

Scriviamo un nuovo Patto.
Apriamo una Costituente.

Ovunque, a partire dai territori.

E se ci chiudono le stanze, o come ha detto Giannini, ci sequestrano la sala delle riunioni, noi apriamo la nostra Sala della Pallacorda.
E stringiamo un nuovo Patto.

Con noi stessi, con il nostro popolo, con chi (per ragioni politiche, non personali) se n'è andato.

Fuori dalle opacità, una nuova Costituente.