http://www.repubblica.it/economia/2016/05/30/news/classi_sociali-140893218/
Ilvo Diamanti, che alcuni anni fa scrisse quel pezzo molto interessante che per lungo tempo politologi e analisti citarono come chiave di lettura di quanto stava avvenendo (cfr. "Lo specchio rotto") mi pare centri ancora una volta il punto.
Quello che fu il ceto medio riflessivo, che già allora mostrava le proprie crepe e fratture, oggi si è completamente dissolto.
Nei fatti, perchè dall'analisi che Diamanti riporta, i dati economici sono assai preoccupanti: il 54% degli italiani si colloca nella fascia bassa o medio bassa (e sono il 12%in più rispetto al 2011). Specularmente, solo il 39% degli italiani si pone nel ceto medio -attenzione: non nella fascia alta! (ed è una cifra corrispondente all'11% in meno rispetto al 2011).
Accade, però, che anche sul piano della percezione (quella che chi parla bene chiama "sentiment"), gli italiani si sentano collocati in una fascia sociale inferiore a quella effettiva.
Quindi, in sostanza, emerge un quadro per cui la frattura sociale che nel Dopoguerra si era pian piano ridotta, da qualche anno si sta drammaticamente acuendo.
E gli italiani si rifugiano nelle reti sociali, nelle reti familiari, nella cosiddetta comunità. Che comunque saranno insufficienti a garantire la tenuta sociale. Pensiamo a quanto sta avvenendo, e sempre più prenderà forza, per esempio, sul tema delle pensioni, che da qui a qualche anno potrebbero, nella fragilizzazione del mercato del lavoro, essere fortemente travolte, per non parlare del calo demografico, e delle conseguenze endemiche che la mancanza della possibilità di progettare a lungo termine porta con sé.
Ed ancora, su un piano di cultura politica, e di cultura nel suo complesso, diventa difficilmente ipotizzabile che cosa avverrà nella capacità di elaborazione del pensiero politico del nostro Paese, se davvero verrà a mancare la forza propulsiva, sul piano produttivo, ma anche quella componente della società forse maggiormente in grado -da sempre nella storia- di guidare il processo di crescita nei Paesi occidentali.
Tutto ciò avviene in un momento nel quale la politica, impegnata ormai da troppo tempo in una narrazione non sempre (quasi mai) in linea con la realtà, assai preoccupante, che stiamo vivendo sembra guardare ad altro.
L'ottimismo proclamato, che è la molla che accompagna ogni ripartenza, rischia insomma di creare una sorta di "effetto ribound", e a trascinare nella sfiducia proprio coloro che, paragonando le proprie condizioni di vita al modello che viene propugnato ad ogni piè sospinto.
Credo che si debba tornare a riflettere sulle dinamiche che IIvo Diamanti pone alla nostra attenzione.
Altrimenti quella forbice, e non soltanto sul piano materiale, continuerà fatalmente ad allargarsi.
E dove regnano sfiducia e marginalità hanno gioco facile i populismi di ogni genere e matrice.
martedì 31 maggio 2016
lunedì 30 maggio 2016
Violenza sulle donne: i numeri dei femminicidi in Italia e nel mondo (Fonte:Repubblica)
www.repubblica.it/cronaca/2015/11/25/news/violenza _sulle_donne_femminicidi_in_italia_e_nel_mondo-128131159/
L'ennesimo caso di omicidio di una donna,oltre a rattristarmi e farmi arrabbiare per l'evento in sé,e per l'indifferenza con cui le grida disperate della giovane vittima (22 anni!),mi ha persuaso che una lettura approfondita della barbarie della violenza alle donne non possa che aiutare ad uscire indignazione personale (che è comunque salutare).
Allora,si scopre che i dati sono talmente alti che l'Assemblea Generale Onu parla della violenza alle donne come di "uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini".
I numeri fanno venire davvero il groppo in gola.
IL 35% DELLE DONNE NEL MONDO HA SUBITO UNA VIOLENZA FISICA O SESSUALE dal proprio partner o altra persona.
Due terzi delle vittime degli omicidi IN AMBITO FAMILIARE sono donne (con buona pace di chi crede che lo stupro arrivi da fuori -segnatamente dallo straniero).
In Italia,secondo i dati ISTAT di giugno 2015, 6 milioni e 788 mila donne hanno subito una violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita,ed aumenta la percentuale dei figli che assistono.
Nel 2014,152 sono le DONNE UCCISE IN ITALIA. Fra queste, 117 sono state UCCISE IN AMBITO FAMILIARE.
Cresce la percentuale dei femminicidi al nord,e cala al sud (con buona pace di chi crede in un nord più civile del sud -le mancate denunce non incidono,perché il dato è omologamente comparato all'anno precedente,ed in percentuale).
Purtroppo,la mia Toscana non brilla:al secondo posto insieme al Piemonte e dopo la Lombardia per numero di femminicidi.
Bisogna cominciare a ragionare in termini forse sociali di una piaga che non accenna a diminuire.
La legislazione sulla violenza sessuale è fra le più severe al mondo,sia in termini di pena edittale,che di definizione della fattispecie.
Da questo punto di vista,il problema è probabilmente di certezza della pena.
In termini di femminicidio,forse,siamo ancora più indietro.
Forse,il problema va affrontato in chiave criminologica,più che strettamente giudiziaria.
In ogni caso,decidiamoci ed affrontiamolo!
L'ennesimo caso di omicidio di una donna,oltre a rattristarmi e farmi arrabbiare per l'evento in sé,e per l'indifferenza con cui le grida disperate della giovane vittima (22 anni!),mi ha persuaso che una lettura approfondita della barbarie della violenza alle donne non possa che aiutare ad uscire indignazione personale (che è comunque salutare).
Allora,si scopre che i dati sono talmente alti che l'Assemblea Generale Onu parla della violenza alle donne come di "uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini".
I numeri fanno venire davvero il groppo in gola.
IL 35% DELLE DONNE NEL MONDO HA SUBITO UNA VIOLENZA FISICA O SESSUALE dal proprio partner o altra persona.
Due terzi delle vittime degli omicidi IN AMBITO FAMILIARE sono donne (con buona pace di chi crede che lo stupro arrivi da fuori -segnatamente dallo straniero).
In Italia,secondo i dati ISTAT di giugno 2015, 6 milioni e 788 mila donne hanno subito una violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita,ed aumenta la percentuale dei figli che assistono.
Nel 2014,152 sono le DONNE UCCISE IN ITALIA. Fra queste, 117 sono state UCCISE IN AMBITO FAMILIARE.
Cresce la percentuale dei femminicidi al nord,e cala al sud (con buona pace di chi crede in un nord più civile del sud -le mancate denunce non incidono,perché il dato è omologamente comparato all'anno precedente,ed in percentuale).
Purtroppo,la mia Toscana non brilla:al secondo posto insieme al Piemonte e dopo la Lombardia per numero di femminicidi.
Bisogna cominciare a ragionare in termini forse sociali di una piaga che non accenna a diminuire.
La legislazione sulla violenza sessuale è fra le più severe al mondo,sia in termini di pena edittale,che di definizione della fattispecie.
Da questo punto di vista,il problema è probabilmente di certezza della pena.
In termini di femminicidio,forse,siamo ancora più indietro.
Forse,il problema va affrontato in chiave criminologica,più che strettamente giudiziaria.
In ogni caso,decidiamoci ed affrontiamolo!
sabato 28 maggio 2016
Il calo del fatturato dell'industria e la (singolare) ricetta del Presidente di Confindustria. Ragionando sui numeri.
http://www.ansa.it/sito/videogallery/economia/2016/05/26/male-fatturato-industria-primo-calo-auto-dal-2013_b32e1b86-78a4-4ccc-80c5-efa9ca74f329.html
Questa settimana,mi hanno particolarmente colpito i dati ISTAT relativi al calo del fatturato dell'industria nei primi tre mesi del 2015, e alcune delle sollecitazioni giunte da Boccia, il Presidente di Confindustria.
Due premesse.
La prima: io non sono un'economista, quindi mi limito ad esprimere, su questo spazio, alcune opinioni cui voglio fornire una base statistica.
La seconda: questo non è un post contro gli industriali. Credo anzi che le realtà produttive italiane siano una gran bella realtà, quando si forniscono loro gli strumenti adeguati per crescere. Non so però se le idee di Confindustria -e del suo Presidente in particolare- siano davvero patrimonio condiviso.
I dati, che potete consultare al link che ho inserito sopra, sono i seguenti (qui un estratto di quelli che a mio avviso sono i più rilevanti).
I dati rispetto allo stesso mese dell'anno precedente:
Il calo complessivo del fatturato, destagionalizzato, è del 3,6%, ed è il peggiore dal 2013.
Il calo delle attività estrattive e della fabbricazione dei prodotti petroliferi si aggira intorno al 39%. Su questo dato, il mio pensiero è corso immediatamente al referendum sulle trivelle: non aveva forse ragione chi diceva che converrebbe investire sul mercato dell'energia verde, date le caratteristiche evidentemente non strategiche dell'estrazione e della trasformazione?
Il calo del tessile e dell'abbigliamento si aggira intorno al 10%, mentre quello della metallurgia intorno al 9%. Su questo secondo, influisce fortemente lo stallo della vicenda Ilva, mentre il primo mi preoccupa tanto, a livello locale, perchè il tessile è nella mia realtà un settore strategico, ed entrambi, perchè rappresenta un segmento fondamentale del Made in Italy.
Il mercato dell'auto registra, per la prima volta dal 2013, un calo del 6,5% -nonostante le decantate strategie salvifiche di Marchionne.
I dati su base congiunturale ci dicono invece che cala la domanda interna, e i beni strumentali, intermedi e di consumo.
A fronte di ciò, la crescita delle retribuzioni non è mai stata così bassa dal 1982.
Questi dati, che non devono far allarmare -gli allarmismi non fanno mai bene- tuttavia credo debbano far riflettere.
E' evidente che il nostro problema continua, in modo endemico, ad essere la domanda interna. Banalmente, se non si aumenta il potere di acquisto delle retribuzioni, se non si mettono le famiglie in condizione di acquistare, ogni sforzo anche in buona fede di semplificazione del mercato del lavoro, non produrrà risultati, e certo non risultati strutturali -che invece è esattamente ciò di cui avremmo bisogno.
Ora, di fronte ad un Paese che non cresce, che resta poco competitivo in termini di infrastrutture materiali ed immateriali per attrarre risorse, magari anche dall'estero, di fronte ad un Paese in cui continua a calare l'acquisto dei beni strumentali ed intermedi (il che indica un sistema poco vivace) e, ancora, dei beni di consumo, seppure più lieve, ho letto con una certa meraviglia la posizione del presidente di Confindustria.
Boccia, infatti, dopo aver affermato che è necessario ridurre le tasse sul lavoro, (verità sacrosanta, al punto che personalmente credo che sarebbe benvenuto un intervento che intervenisse strutturalmente sul cune fiscale, riducendo le tasse che gravano sull'impresa) ha aggiunto che a suo avviso le tasse andavano spostate sul prodotto, ossia sull'IVA.
Ecco, questa mi è sembrata una sbavatura piuttosto pesante.
Non crede il Presidente Boccia che aumentare ancora le tasse sul prodotto non farebbe che deprimere ulteriormente la domanda interna, già così fragile?
Non sarebbe meglio invece provare a ridurre le tasse sul lavoro, e contestualmente accrescere il potere d'acquisto delle retribuzioni (in questo senso, apprezzabili gli 80 euro al mese in più in busta paga, seppure con le mille storture del caso, e con la consapevolezza che non sono certo un intervento strategico).
Certo, sono interventi costosi, tuttavia non si può non cogliere la necessità di un cambio di passo.
Dove prendere i soldi?
Per esempio, si potrebbe pensare ad istituire una tassa piuttosto corposa sui beni di lusso (sì, via, con una parola: la patrimoniale), combattere con più efficacia evasione e corruzione, seguire alcune linee già dettate dai commissari alla spending review per ridurre la spesa pubblica improduttiva (che poi è il rilievo che ci fa la stessa Europa), dotarsi semmai di Uffici in grado di intercettare meglio le risorse europee, soprattutto quelle di investimento.
Ecco. La penso così. Da semplice osservatrice.
Questa settimana,mi hanno particolarmente colpito i dati ISTAT relativi al calo del fatturato dell'industria nei primi tre mesi del 2015, e alcune delle sollecitazioni giunte da Boccia, il Presidente di Confindustria.
Due premesse.
La prima: io non sono un'economista, quindi mi limito ad esprimere, su questo spazio, alcune opinioni cui voglio fornire una base statistica.
La seconda: questo non è un post contro gli industriali. Credo anzi che le realtà produttive italiane siano una gran bella realtà, quando si forniscono loro gli strumenti adeguati per crescere. Non so però se le idee di Confindustria -e del suo Presidente in particolare- siano davvero patrimonio condiviso.
I dati, che potete consultare al link che ho inserito sopra, sono i seguenti (qui un estratto di quelli che a mio avviso sono i più rilevanti).
I dati rispetto allo stesso mese dell'anno precedente:
Il calo complessivo del fatturato, destagionalizzato, è del 3,6%, ed è il peggiore dal 2013.
Il calo delle attività estrattive e della fabbricazione dei prodotti petroliferi si aggira intorno al 39%. Su questo dato, il mio pensiero è corso immediatamente al referendum sulle trivelle: non aveva forse ragione chi diceva che converrebbe investire sul mercato dell'energia verde, date le caratteristiche evidentemente non strategiche dell'estrazione e della trasformazione?
Il calo del tessile e dell'abbigliamento si aggira intorno al 10%, mentre quello della metallurgia intorno al 9%. Su questo secondo, influisce fortemente lo stallo della vicenda Ilva, mentre il primo mi preoccupa tanto, a livello locale, perchè il tessile è nella mia realtà un settore strategico, ed entrambi, perchè rappresenta un segmento fondamentale del Made in Italy.
Il mercato dell'auto registra, per la prima volta dal 2013, un calo del 6,5% -nonostante le decantate strategie salvifiche di Marchionne.
I dati su base congiunturale ci dicono invece che cala la domanda interna, e i beni strumentali, intermedi e di consumo.
A fronte di ciò, la crescita delle retribuzioni non è mai stata così bassa dal 1982.
Questi dati, che non devono far allarmare -gli allarmismi non fanno mai bene- tuttavia credo debbano far riflettere.
E' evidente che il nostro problema continua, in modo endemico, ad essere la domanda interna. Banalmente, se non si aumenta il potere di acquisto delle retribuzioni, se non si mettono le famiglie in condizione di acquistare, ogni sforzo anche in buona fede di semplificazione del mercato del lavoro, non produrrà risultati, e certo non risultati strutturali -che invece è esattamente ciò di cui avremmo bisogno.
Ora, di fronte ad un Paese che non cresce, che resta poco competitivo in termini di infrastrutture materiali ed immateriali per attrarre risorse, magari anche dall'estero, di fronte ad un Paese in cui continua a calare l'acquisto dei beni strumentali ed intermedi (il che indica un sistema poco vivace) e, ancora, dei beni di consumo, seppure più lieve, ho letto con una certa meraviglia la posizione del presidente di Confindustria.
Boccia, infatti, dopo aver affermato che è necessario ridurre le tasse sul lavoro, (verità sacrosanta, al punto che personalmente credo che sarebbe benvenuto un intervento che intervenisse strutturalmente sul cune fiscale, riducendo le tasse che gravano sull'impresa) ha aggiunto che a suo avviso le tasse andavano spostate sul prodotto, ossia sull'IVA.
Ecco, questa mi è sembrata una sbavatura piuttosto pesante.
Non crede il Presidente Boccia che aumentare ancora le tasse sul prodotto non farebbe che deprimere ulteriormente la domanda interna, già così fragile?
Non sarebbe meglio invece provare a ridurre le tasse sul lavoro, e contestualmente accrescere il potere d'acquisto delle retribuzioni (in questo senso, apprezzabili gli 80 euro al mese in più in busta paga, seppure con le mille storture del caso, e con la consapevolezza che non sono certo un intervento strategico).
Certo, sono interventi costosi, tuttavia non si può non cogliere la necessità di un cambio di passo.
Dove prendere i soldi?
Per esempio, si potrebbe pensare ad istituire una tassa piuttosto corposa sui beni di lusso (sì, via, con una parola: la patrimoniale), combattere con più efficacia evasione e corruzione, seguire alcune linee già dettate dai commissari alla spending review per ridurre la spesa pubblica improduttiva (che poi è il rilievo che ci fa la stessa Europa), dotarsi semmai di Uffici in grado di intercettare meglio le risorse europee, soprattutto quelle di investimento.
Ecco. La penso così. Da semplice osservatrice.
mercoledì 25 maggio 2016
La vita di Enrico Berlinguer (Fonte: Il Sito Enrico Berlinguer - Un Comunista Italiano)
www.enricoberlinguer.it
Quella che segue è, in estrema sintesi, la vita di Enrico Berlinguer, che oggi avrebbe compiuto 94 anni. Prima dei fatti, mi piace, su questo mio spazio, porgervi quello che non può essere un mio ricordo (avevo 7 anni quando Berlinguer morì), ma sicuramente il modo in cui ho vissuto il Berlinguer uomo e politico.
Prima, ragazzina già interessata alla politica, attraverso gli occhi di mio padre, e poi, più adulta, attraverso le mie letture e i miei stessi occhi.
Non è semplice descrivere ciò che per me rappresenta Enrico Berlinguer. E' facile farsi trasportare dalla retorica e dall'emotività più che dall'analisi, ma cercherò di non farlo, per rispetto a lui, che retorico non lo fu mai, ed ideologico solo a tratti (e solo nella prima fase della sua vita, necessariamente, come accadeva a quasi tutti i giovani comunisti che si affacciavano in quegli anni alla vita pubblica). Erano anni nei quali "il Partito" si accostava quasi ad una Fede, e rappresentava per molti uno spazio di riscatto sociale, una vera comunità.
Ed Enrico Berlinguer rappresentò tutto questo. Dette voce a chi non ne aveva. Ma fu anche il dirigente comunista che innovò profondamente il Partito, che lo condusse fuori dallo strapotere sovietico, che riuscì -lui, così piccolo fisicamente- a levare la propria voce di fronte ai dirigenti di tutti i Partiti Comunisti riuniti a Mosca. E, partendo dallo "strappo" con Mosca, riuscì a far diventare l' "anomalia italiana" ispirazione per molti dei Partiti Comunisti e delle Socialdemocrazie Europee a venire.
Fu il dirigente di quello che venne impropriamente chiamato "compromesso storico" (che di compromesso aveva davvero poco, e fu soprattutto alta sintesi dei migliori valori e culture democratiche dell'epoca), di quel bellissimo progetto che insieme ad Aldo Moro riuscì solo ad abbozzare, l'uomo che subì come una ferita profonda il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro, il politico che costruì l'Eurocomunismo, bellissima intuizioni poi dispersa con la sua morte.
E fu il Segretario che più di ogni altro innovò il linguaggio e i mezzi di comunicazione interni al Partito.
Certo, nella retorica non bisogna dimenticare che fu anche custode dei valori del PCI, con tutto ciò che da questo discendeva: così, è giusto ricordare l'emarginazione dei giovani del Manifesto, che, pure con sofferenza umana, Berlinguer da vicesegretario contribuì a portare fino alle estreme conseguenze dell'espulsione, come l'ortodossia del Partito richiedeva.
Un episodio che racconta della cultura di cui Berlinguer era portatore e in cui si era formato.
E poi fu l' uomo dell' austerity e della questione morale, che forse rappresenta il suo testamento ideale. L'uomo che, con una frase attualissima ebbe a dire: "I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela". Parole che oggi pesano come pietre. Ancora oggi, a più di trent'anni dalla sua morte. e fu sulla questione morale che nacque la spaccatura con Napolitano. Guarda caso. Perchè Berlinguer sosteneva che dovesse divenire questione identitaria, fondante del PCI. Napolitano no, perchè avrebbe condotto, diceva, il PCI all'isolamento. E d'accordo con Napolitano sarebbe stato, molti anni dopo, Walter Veltroni. Per fortuna, quel congresso lo vinse Berlinguer: per il PCI la questione morale non poteva che essere identitaria.
Enrico Berlinguer fu profondamente uomo DEL Partito e DI Partito. Fortemente ancorato alle sue strutture e ai corpi intermedi. Per questo non ho apprezzato il film di Walter Veltroni, che sembra quasi teorizzare che invece fosse il leader populista in senso tecnico, che vive in rapporto osmotico con il corpo elettorale, in quella che oggi chiamiamo la "disintermediazione".
Anche se, certamente, Enrico Berlinguer fu uomo profondamente amato dal "suo" popolo. Per la capacità di dare l'esempio, per la coerenza fra ciò che diceva e ciò che faceva. Perchè è stato il primo Segretario a portare il Partito Comunista a un passo dal governo del Paese, a superare gli steccati dell'ideologia senza abbandonare l'idea, avremmo detto poi, "che un altro mondo è possibile". L'uomo che portò il PCI alla guida di tante Amministrazioni. L'uomo che coniugò concretezza e visione.
io voglio bene ad Enrico Berlinguer. Mi commuovo al pensiero di ciò che è stato, e -certo- ogni tanto mi chiedo come sarebbe stato oggi il mio Paese se Moro non fosse stato ucciso, e se lui non fosse morto quando ancora aveva tanto da dare.
Ma oggi si ricorda la sua nascita, non la sua morte. E lui, per me, con la sua testimonianza e la sua storia è ancora qui con noi. Vive negli occhi di sua figlia, Bianca, che giustamente ne ha di recente denunciato la strumentalizzazione, negli occhi del suo autista, che nel reportage dedicato ai suoi funerali ne parla con tanto amore. E vive negli occhi di mio padre e di tanti compagni, di tutte le età. Per questo non è consegnato alla storia, come -di nuovo- il film di Veltroni vorrebbe farci credere.
E allora buon compleanno, Enrico!
LA VITA di ENRICO BERLINGUER
Enrico Berlinguer nasce il 25 maggio del 1922 a Sassari. Nella cittadina sarda trascorre l’infanzia e l’adolescenza, frequenta il liceo classico Azuni e nel 1940 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Nell’agosto del 1943 aderisce al PCI. Inizia allora il suo impegno politico con la partecipazione alle lotte antifasciste dell’Italia badogliana dove impera la guerra civile. Nel gennaio del 1944 viene arrestato con l’accusa di essere il principale istigatore delle manifestazioni per il pane, che si sono svolte nei mesi precedenti. Resta in carcere quattro mesi. A settembre si trasferisce a Roma con la famiglia, poi a Milano dove lavora nel Fronte della gioventù, il movimento politico fondato da Eugenio Curiel per coordinare l’arcipelago delle organizzazioni giovanili antifasciste.
La sua carriera politica nel PCI comincia nel gennaio del 1948, quando a ventisei anni entra nella direzione del partito e meno di un anno dopo diventa segretario generale della FGCI, la Federazione giovanile comunista. È un uomo instancabile che gli amici descrivono timido e introverso. Un giovane dirigente comunista, lontano dalla mondanità e dai clamori della politica, che nel 1956 lascia l’organizzazione giovanile e l’anno dopo sposa a Roma Letizia Laurenti.
Nel 1958 Berlinguer entra nella segreteria del partito per affiancare Luigi Longo, vicesegretario e responsabile dell’ufficio di segreteria. Da allora il rapporto fra Berlinguer e il segretario Togliatti diviene quotidiano. Togliatti si fida di questo giovane dirigente sardo, tanto che nel febbraio del 1960, al IX Congresso del PCI, lo vuole al posto di Giorgio Amendola come responsabile dell’organizzazione del partito e nel dicembre del 1961 chiede a Berlinguer di scrivere la relazione finale del comitato centrale del partito, dove proprio Amendola ha ripreso la polemica sui crimini stalinisti.
Fra il 1964 e il 1966 Berlinguer mostra la sua grande capacità di mediare gestendo un grosso scontro interno al partito. La destra del PCI, rappresentata da Amendola, sostiene la formazione di un unico partito socialista che unisca tutte le forze della sinistra italiana. L’ala radicale di Pietro Ingrao, invece, si batte affinché il PCI si allei con i gruppi della sinistra rivoluzionaria. All’XI Congresso, nel gennaio del 1966, Berlinguer si fa interprete delle esigenze di tutto il partito presentandosi come un mediatore di prima grandezza. È un successo personale, confermato due anni dopo dalle elezioni del 1968 in cui è capolista nel Lazio. Un successo che esplode e si diffonde dopo i fatti di Praga. Berlinguer condanna l’intervento sovietico in Cecoslovacchia e respinge «il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni». Lo strappo è senza precedenti. Nel 1969 a Mosca, alla conferenza internazionale dei partiti comunisti, dichiara apertamente il dissenso dei comunisti italiani nei confronti della politica stalinista.
Ormai è vicesegretario del PCI. Al congresso del 1969, Berlinguer appoggia la linea movimentista e introduce uno dei temi più importanti del suo progetto politico. Ai delegati presenta il partito come una forza centrale della società italiana, una forza fra le istituzioni e i cittadini, che deve essere coinvolta nella formazione e nella gestione dei processi democratici del paese perché ne è parte decisiva. Il PCI che vuole Berlinguer non è solo il partito della classe operaia: deve candidarsi a guidare il paese, ponendo fine alla conventio ad excludendum per cui i comunisti di fatto sono esclusi dal governo.
Nel 1972 Berlinguer diviene segretario del PCI e al XII congresso riprende la formula togliattiana della collaborazione fra le grandi forze popolari: comunista, socialista e cattolica. Ma c’è anche di più, non si tratta solo di ribadire la tesi che Togliatti espresse sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Con tre articoli su «Rinascita», fra il settembre e l’ottobre del 1973, Berlinguer propone la sua analisi della società moderna partendo dal colpo di Stato in Cile, che ha mostrato a cosa può andare incontro una democrazia fragile. Così scrive il 12 ottobre del 1973: «la gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano». Lo spiega chiaramente. L’Italia è una democrazia debole che ha bisogno di un’alternativa condivisa e costruita dai grandi partiti di massa.
Il grande successo elettorale, ottenuto dai comunisti italiani alle elezioni del 1975 e del 1976, conferma l’intuizione di Berlinguer e sconvolge il sistema politico, ormai da anni afflitto da un’endemica instabilità e bloccato dalla DC che è al centro dei governi e delle maggioranze parlamentari. I tempi sembrano maturi per un cambiamento radicale della politica italiana. Nel 1976 accanto alla proposta del compromesso storico, Berlinguer esplicita l’altro tema della sua politica di dirigente comunista: rompe con il Partito Comunista sovietico. A Mosca, davanti a 5 mila delegati Berlinguer parla del valore della democrazia e del pluralismo, sottolinea l’autonomia del PCI dall’URSS e condanna l’interferenza dei sovietici nelle questioni dei partiti socialisti e comunisti degli altri paesi. È l’eurocomunismo.
Con il compromesso storico e l’eurocomunismo, Berlinguer porta il PCI, dopo le elezioni del 1976, al primo governo della solidarietà nazionale. Si tratta di un monocolore democristiano che si regge sulla «non sfiducia», cioè sull’astensione dei vecchi partners di governo ai quali si aggiungono i comunisti. A sinistra, molti sottolineano che non è questa la ratio del compromesso storico e che il PCI non riuscirà ad ottenere ciò che ha chiesto ai democristiani in cambio della non sfiducia. E, infatti, le elezioni del 1977 non lo premiano. Nel gennaio 1978 Berlinguer incontra Aldo Moro, il leader democristiano con cui ha costruito il governo della solidarietà nazionale e gli chiede di agevolare l’entrata dei comunisti al governo. Ma ad opporsi sono in molti: la destra democristiana, il Vaticano, gli amici americani, la destra italiana. E intanto nel paese il terrorismo miete le sue vittime; due mesi dopo le BR rapiscono e uccidono Moro. È la fine della solidarietà nazionale e del progetto di Berlinguer. Il PCI torna all’opposizione.
Nel 1981, in un’intervista a Eugenio Scalfari, Berlinguer accusa la classe politica italiana di corruzione, sollevando la cosiddetta questione morale. Denuncia l’occupazione da parte dei partiti delle strutture dello Stato, delle istituzioni, dei centri di cultura, delle Università, della Rai, e sottolinea il rischio che la rabbia dei cittadini si trasformi in rifiuto della politica. È l’analisi di un grande leader politico che l’11 giugno del 1984 a Padova, mentre conclude la campagna elettorale per le elezioni europee, viene colpito da un ictus. Il suo funerale è stato il più imponente della storia d’Italia, dopo quello di Giovanni Paolo II. A Roma erano milioni i cittadini che lo salutarono l’ultima volta.
lunedì 23 maggio 2016
La vita di Giovanni Falcone e la "congiura del corvo"
http://www.fondazionefalcone.it/page.php?id_area=19&id_archivio=34
Oggi è l'anniversario della morte di Giovanni Falcone,della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta.
La vicenda umana e professionale di Giovanni Falcone si intreccia fortemente con tanti magistrati che prima e dopo di lui hanno avuto il coraggio e la capacità di strappare il velo dell'ipocrisia e dell' omertà che (ancor oggi) attanaglia il nostro paese e lo rende permeabile a corruzione e criminalità di ogni tipo.
Oggi,Falcone è il simbolo della legalità.Generazioni di studenti ne leggono e ne hanno letto la storia.Ma Giovanni Falcone,così come il suo "ispiratore",Rocco Chinnici,anche lui ucciso barbaramente,ha trovato tanti ostacoli.Anche fra i suoi colleghi.Vittima di invidie e maldicenze,la sua carriera rischiò di affogare in quel mare di meschinità.
Oggi,fuori da ogni ritualismo,voglio ricordarlo anche per quella vicenda,che nella sua "piccineria" mi sembra quanto mai attuale.
"L'attentato all’Addaura e la congiura del “corvo”"
Due anni dopo, nel 1989, una congiura di soggetti ancor oggi non tutti individuati, decide di screditare definitivamente Falcone. L’accusa è di aver fatto ritornare in Italia il pentito Salvatore Contorno, esponente della “mafia perdente”, al fine di uccidere dei rappresentanti della “mafia vincente”. Queste falsità aberranti vengono espresse in lettere anonime, dette lettere del “corvo” ed inviate a vari rappresentanti delle istituzioni. Il 20 giugno del 1989 Falcone sfugge all’agguato tesogli nella sua villa all’Addaura: un borsone con cinquantotto candelotti di dinamite posto sulla scogliera dove Falcone suole fare il bagno, viene trovato per caso da un agente della scorta. La bomba viene disinnescata e l’attentato fallisce. È lo stesso Falcone a spiegare il senso di quell’aggressione, una manovra ideata in maniera perfetta da “menti raffinatissime”, adatta a dar credito alle accuse delle lettere diffamatorie del Corvo: “Il contenuto delle accuse doveva essere il movente che aveva spinto la mafia a uccidermi. Sarei stato un giudice delegittimato perché scorretto, l’omicidio sarebbe stato giudicato quasi naturale”.
Dopo l’attentato dell’Addaura, per diretto interessamento del Presidente Francesco Cossiga, Falcone viene nominato dal Consiglio superiore della magistratura Procuratore aggiunto di Palermo. Qui altre lettere del “corvo” continuano ad avvelenare il clima del Palazzo di Giustizia, ma Falcone, sebbene avversato e ostacolato, riesce ugualmente a condurre intense attività di indagine. Già nel 1988 aveva collaborato con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, nell’operazione “Iron Tower” con cui venivano colpite due famiglie mafiose coinvolte nel traffico di eroina, quelle dei Gambino e degli Inzerillo; nel gennaio ’90 coordina un’ inchiesta che porterà all’arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani.
Tuttavia il clima ostile del Palazzo cresce ogni giorno di più e Falcone si rende presto conto di trovarsi isolato. Ma le massime incomprensioni gli derivano soprattutto dal confronto con il Procuratore Capo Piero Giammanco, che pure un tempo gli era stato a fianco. Questi ne ostacola sistematicamente il lavoro costringendolo a limiti angusti nella manovra delle indagini: Falcone avverte che in quel Palazzo, a Palermo, non riesce più a lavorare come vorrebbe e che i quotidiani dissensi lo logorano ogni giorno di più. Decide così di accogliere l’invito del Ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli a ricoprire il ruolo di Direttore degli Affari Penali al Ministero e qui prende servizio nel novembre 1991.
- See more at: http://www.fondazionefalcone.it/page.php?id_area=19&id_archivio=34#.dpuf
Oggi è l'anniversario della morte di Giovanni Falcone,della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta.
La vicenda umana e professionale di Giovanni Falcone si intreccia fortemente con tanti magistrati che prima e dopo di lui hanno avuto il coraggio e la capacità di strappare il velo dell'ipocrisia e dell' omertà che (ancor oggi) attanaglia il nostro paese e lo rende permeabile a corruzione e criminalità di ogni tipo.
Oggi,Falcone è il simbolo della legalità.Generazioni di studenti ne leggono e ne hanno letto la storia.Ma Giovanni Falcone,così come il suo "ispiratore",Rocco Chinnici,anche lui ucciso barbaramente,ha trovato tanti ostacoli.Anche fra i suoi colleghi.Vittima di invidie e maldicenze,la sua carriera rischiò di affogare in quel mare di meschinità.
Oggi,fuori da ogni ritualismo,voglio ricordarlo anche per quella vicenda,che nella sua "piccineria" mi sembra quanto mai attuale.
"L'attentato all’Addaura e la congiura del “corvo”"
Due anni dopo, nel 1989, una congiura di soggetti ancor oggi non tutti individuati, decide di screditare definitivamente Falcone. L’accusa è di aver fatto ritornare in Italia il pentito Salvatore Contorno, esponente della “mafia perdente”, al fine di uccidere dei rappresentanti della “mafia vincente”. Queste falsità aberranti vengono espresse in lettere anonime, dette lettere del “corvo” ed inviate a vari rappresentanti delle istituzioni. Il 20 giugno del 1989 Falcone sfugge all’agguato tesogli nella sua villa all’Addaura: un borsone con cinquantotto candelotti di dinamite posto sulla scogliera dove Falcone suole fare il bagno, viene trovato per caso da un agente della scorta. La bomba viene disinnescata e l’attentato fallisce. È lo stesso Falcone a spiegare il senso di quell’aggressione, una manovra ideata in maniera perfetta da “menti raffinatissime”, adatta a dar credito alle accuse delle lettere diffamatorie del Corvo: “Il contenuto delle accuse doveva essere il movente che aveva spinto la mafia a uccidermi. Sarei stato un giudice delegittimato perché scorretto, l’omicidio sarebbe stato giudicato quasi naturale”.
Dopo l’attentato dell’Addaura, per diretto interessamento del Presidente Francesco Cossiga, Falcone viene nominato dal Consiglio superiore della magistratura Procuratore aggiunto di Palermo. Qui altre lettere del “corvo” continuano ad avvelenare il clima del Palazzo di Giustizia, ma Falcone, sebbene avversato e ostacolato, riesce ugualmente a condurre intense attività di indagine. Già nel 1988 aveva collaborato con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, nell’operazione “Iron Tower” con cui venivano colpite due famiglie mafiose coinvolte nel traffico di eroina, quelle dei Gambino e degli Inzerillo; nel gennaio ’90 coordina un’ inchiesta che porterà all’arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani.
Tuttavia il clima ostile del Palazzo cresce ogni giorno di più e Falcone si rende presto conto di trovarsi isolato. Ma le massime incomprensioni gli derivano soprattutto dal confronto con il Procuratore Capo Piero Giammanco, che pure un tempo gli era stato a fianco. Questi ne ostacola sistematicamente il lavoro costringendolo a limiti angusti nella manovra delle indagini: Falcone avverte che in quel Palazzo, a Palermo, non riesce più a lavorare come vorrebbe e che i quotidiani dissensi lo logorano ogni giorno di più. Decide così di accogliere l’invito del Ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli a ricoprire il ruolo di Direttore degli Affari Penali al Ministero e qui prende servizio nel novembre 1991.
- See more at: http://www.fondazionefalcone.it/page.php?id_area=19&id_archivio=34#.dpuf
sabato 21 maggio 2016
Torna a funzionare l' orologio del Campanile (Fonte:Discover Pistoia - Il Blog)
http://www.discoverpistoia.it/it/the-blog/succede-a-pistoia/3709-l-orologio-del-campanile-tornera-a-scandire-le-ore-ai-pistoiesi.html
Una buona notizia per quanti, sempre più numerosi,chiedevano che l' orologio di uno dei monumenti più amati dai pistoiesi tornasse a segnare l'ora.
Sarà bello tornare a vedere le grandi lancette scorrere.A pochi mesi dall'anno sella Capitale della Cultura mi sembra davvero un bel segnale.
Grazie all'Amministrazione Comunale ma anche a tutti coloro che,mobilitandosi,avevano portato all'attenzione della Città questa istanza.
#Bellezzaecultura
venerdì 20 maggio 2016
L'archivio di Marco Vettori diventa consultabile
www.archiviovettori.it
Oggi è stata una bella emozione ascoltare i vari interventi che hanno riempito di senso ulteriore la bella idea e il bel progetto portato avanti dal Centro di Documentazione Marco Vettori e sostenuto da tante altre realtà.
Sarà bello poter "curiosare" fra i testi scritti o conservati da Marco. Anche per chi non si occupa di amianto,leggere quei documenti e reperirli con facilità significherà anche ricostruire e ricordare la storia di una fabbrica che era -e forse ancora in qualche misura è- così intimamente connesso col nostro territorio.
Consiglio a tutti questa operazione,che è semplice e al contempo piena di senso.
Oggi è stata una bella emozione ascoltare i vari interventi che hanno riempito di senso ulteriore la bella idea e il bel progetto portato avanti dal Centro di Documentazione Marco Vettori e sostenuto da tante altre realtà.
Sarà bello poter "curiosare" fra i testi scritti o conservati da Marco. Anche per chi non si occupa di amianto,leggere quei documenti e reperirli con facilità significherà anche ricostruire e ricordare la storia di una fabbrica che era -e forse ancora in qualche misura è- così intimamente connesso col nostro territorio.
Consiglio a tutti questa operazione,che è semplice e al contempo piena di senso.
mercoledì 18 maggio 2016
La Notte dei Musei a Pistoia. Gli eventi
Come ogni anno, il Comune di Pistoia aderisce all'iniziativa La Notte dei Musei. Qui tutti gli eventi.
giovedì 12 maggio 2016
Lettera delle donne e degli uomini della pastorale di Vicofaro con e per le persone LGBT
Siamo un gruppo di donne e di uomini cristiani omosessuali che da quattro anni hanno dato vita ad una esperienza pastorale presso la comunità parrocchiale di Vicofaro.
Con la guida di don Massimo ci incontriamo per camminare insieme, per conciliare due dimensioni fondamentali e irrinunciabili della nostra vita: la fede in Gesù Cristo e l’omosessualità.
Sollecitati e incoraggiati dal magistero di Papa Francesco e da una nuova stagione di apertura e dialogo della chiesa, vogliamo far giungere alla nostra comunità diocesana un appello: che tra i credenti e nelle comunità si compia uno sforzo per superare ataviche diffidenze, storici pregiudizi e talvolta atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone omosessuali ma soprattutto ci si impegni ad ascoltarle e accoglierle. Ai feriti e ai delusi dalla chiesa, come spesso si sentono le persone omosessuali, la comunità cristiana non offra semplicemente una “dottrina sull’omosessualità” ma prima di tutto disponibilità all'ascolto, misericordia e soprattutto la disponibilità a fare un cammino insieme.
Conosciamo molto bene ciò che le persone omosessuali vivono, in termini di frustrazioni e immotivati sensi di colpa, in rapporto alla vita nella chiesa e al personale cammino di fede. Comprendiamo anche che certe “durezze” di un insegnamento antico di secoli non può essere rivisto in un giorno. Accogliamo positivamente il recente appello dei padri sinodali e di papa Francesco, i quali ribadiscono «che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione». Anche questa è dottrina! Rimaniamo dunque convinti che la chiesa non cesserà mai di essere in cammino per raggiungere «verità sempre più grandi».
Vogliamo essere fratelli e sorelle attivi protagonisti in una chiesa che non sappia dire soltanto dei “no”, che non si chiuda dietro antiche sicurezze, paralizzata da tante paure trincerata dietro supposti “principii non negoziabili” ma che sappia invece leggere i “segni dei tempi”. Riteniamo doveroso chiedere che le nostre comunità si aprano ad una pastorale rivolta agli omosessuali e ai transessuali: ciò aiuterebbe molte persone a sentirsi finalmente accolte, per quello che sono, nella chiesa, abbattendo quel muro di diffidenza e incomprensione.
La nostra esperienza pastorale con e per le persone omosessuali si esprime come un gruppo aperto ed ecumenico. Molti di noi sono impegnati nella società e nella chiesa, alcuni come catechisti, operatori pastorali e della carità. Tutti siamo passati attraverso il dolore della solitudine, della incomprensione da parte delle persone più care, la paura di aprirsi, per condividere i propri sentimenti e le proprie angosce.
Rivolgiamo un appello alla nostra chiesa, al Vescovo, ai presbiteri, ai diaconi, alle religiose e ai religiosi, ai consigli pastorali, alle comunità parrocchiali: incontriamoci! Il dialogo e la conoscenza reciproca possono fare tanto per far crescere la nostra chiesa nel suo intento di condividere “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi”.
Spesso ci siamo detti o ci siamo sentiti dire: "tu non puoi essere così, Dio non può volere questo". Oggi dopo anni di sofferenze sappiamo che negare a se stessi o ad altri di essere ciò che nel profondo siamo, può fare più male di un’ingiusta discriminazione. Siamo certi che Dio ci ama così come siamo, come ama l’umanità intera e che siamo chiamati a mettere a frutto la nostra capacità di amare pienamente come persone. E’ con questo intento colmo di speranza nel futuro che continueremo a camminare insieme.
Le donne e gli uomini della pastorale
con e per le persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender)
della comunità parrocchiale di Vicofaro
mercoledì 11 maggio 2016
Felicia Impastato, la storia vera (Famiglia Cristiana)
«Io allora non ne capivo niente di mafia, altrimenti non avrei fatto questo passo». C’ è questa frase nel libro La mafia in casa mia, in cui Felicia Bartolotta Impastato raccontò la sua vita. E, unita all’ altra che ripeteva ai ragazzi che dopo la morte di Peppino andavano a chiedere di lui: «Studiate, ragazzi, tenete la testa alta e la schiena dritta», dice tante cose della sua eredità.
Il passo cui allude è il matrimonio con Luigi Impastato, che Felicia aveva sposato nel 1947. Luigi veniva da una famiglia legata alla mafia di Cinisi e nel 1947 Felicia l’ aveva sposato per amore, rifiutando un partito proposto dal padre. Da quell’ unione erano nati Giuseppe (Peppino nel 1948), Giovanni (nel 1952 morto bambino) e l’ altro Giovanni (nel 1953).
Nella vita di Felicia, in poco tempo, cambia tutto. E la vita di moglie e di madre cambia Felicia, le apre gli occhi. Il cognato, marito della sorella di Luigi, è Cesare Manzella capomafia del paese. Felicia respira l’ aria che tira dentro casa e comincia a capire, prendendone progressiva distanza, le cose di cui prima “non capiva niente”. Il matrimonio è burrascoso da subito: «Appena mi sono sposata ci fu l’ inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: ‘Stai attento, perché gente dentro [casa] non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre».
Nel 1963 Manzella muore in un attentato, durante la guerra di mafia, Peppino ne è scosso: ha quindici anni e si fa domande sulle cose che ha sentito in casa dal padre e dallo zio, alla madre ripete “Veramente delinquenti sono”. Peppino cresce e si impegna in politica, si schiera contro la mafia, Felicia si preoccupa e in quel momento i contrasti con il marito crescono, anche perché, come ricorda Anna Puglisi autrice con Umberto Santino del libro intervista La mafia in casa mia, l’ amicizia di lui con Tano Badalamenti lei proprio non la digerisce. Difende Peppino dal padre, che lo caccia di casa. Quando Luigi muore, in un misterioso incidente stradale, Felicia ha imparato molte cose, capisce anche che ora Peppino è solo, ha le spalle scoperte, e rischia molto più di quando il padre era vivo.
Negli ultimi otto mesi di vita di Peppino, quelli che dividono il suo assassinio dalla morte del padre, Felicia, da madre, prova a difendere anche suo figlio da sé stesso, dai rischi che si prende: cerca di fermare il ciclostile sul quale Peppino ha scritto che “la mafia è merda”, prova a convincerlo a lasciar perdere, ai suoi comizi non va per timore di quello che può dire, di quello che gli potrebbe accadere. Lo guardavo e dicevo: figlio chissà come ti finisce”.
Se lo sente, Felicia, che ormai ha capito tutto. Se lo sente che finirà a brandelli. Accade il 9 maggio 1978. A quel punto Felicia che non ha più da perdere nemmeno un figlio, invita l’ altro, Giovanni, a lasciar parlare lei e si schiera. Diventa la prima donna in Italia a costituirsi parte civile, rompe con i parenti del marito, si mette con gli ex compagni di Peppino. Apre la casa a tutti i ragazzi che vogliono sapere: «Mi piace parlarci, perché la cosa di mio figlio si allarga, capiscono che cosa significa la mafia. E ne vengono, e con tanto piacere per quelli che vengono! Loro si immaginano: ‘Questa è siciliana e tiene la bocca chiusa’ . Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise«. Un figlio che: «… glielo diceva in faccia a suo padre: ‘Mi fanno schifo, ribrezzo, non li sopporto… Fanno abusi, si approfittano di tutti, al Municipio comandano loro’ … Si fece ammazzare per non sopportare tutto questo».
Al processo accusa Badalamenti di essere il mandante dell’ omicidio di suo figlio. Il magistrato Franca Imbergamo ricorderà così quel momento: nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. «Era un momento storico perché abbiamo assistito al riconoscimento da parte di una madre coraggio e la capacità delle istituzioni di darle una risposta. Era commovente ed emozionante perché Felicia portava con se il dolore più grande per una donna, quello di avere ucciso un figlio. E poi c'era in collegamento dagli Stati Uniti, in video, Gaetano Badalamenti, che la osservava. Insomma, abbiamo scritto secondo me una pagina di storia, della storia della lotta alla mafia».
Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si costituisce un Comitato sul caso Impastato, che il 6 dicembre del 2000 approva una relazione sulle responsabilità dei rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Nel 2001 la Corte d’ Assise di Palermo condanna Vito Palazzolo a 30 anni di reclusione e Gaetano Badalamenti all'ergastolo.
Nel 2011 la Procura di Palermo riapre le indagini sul depistaggio. Felicia fa in tempo ad assistere alla condanna di Badalamenti, non a sapere che dalla relazione della Commissione antimafia che le aveva ridato l’ altro pezzo di verità che cercava sono scaturite nuove indagini: muore il 6 dicembre 2004.
lunedì 9 maggio 2016
La Biografia di Peppino Impastato (Fonte:wwww.peppinoimpastato.com)
Nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La famiglia Impastato è bene inserita negli ambienti mafiosi locali: si noti che una sorella di Luigi ha sposato il capomafia Cesare Manzella, considerato uno dei boss che individuarono nei traffici di droga il nuovo terreno di accumulazione di denaro. Frequenta il Liceo Classico di Partinico ed appartiene a quegli anni il suo avvicinamento alla politica, particolarmente al PSIUP, formazione politica nata dopo l'ingresso del PSI nei governi di centro-sinistra. Assieme ad altri giovani fonda un giornale, "L'Idea socialista" che, dopo alcuni numeri, sarà sequestrato: di particolare interesse un servizio di Peppino sulla "Marcia della protesta e della pace" organizzata da Danilo Dolci nel marzo del 1967: il rapporto con Danilo, sia pure episodico, lascia un notevole segno nella formazione politica di Peppino. In una breve nota biografica Peppino scrive:
"Arrivai alla politica nel lontano novembre del '65, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare ormai divenuta insostenibile. Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una civiltà tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale. E' riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva e compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività. Approdai al PSIUP con la rabbia e la disperazione di chi, al tempo stesso, vuole rompere tutto e cerca protezione. Creammo un forte nucleo giovanile, fondammo un giornale e un movimento d'opinione, finimmo in tribunale e su tutti i giornali. Lasciai il PSIUP due anni dopo, quando d'autorità fu sciolta la Federazione Giovanile. Erano i tempi della rivoluzione culturale e del "Che". Il '68 mi prese quasi alla sprovvista. Partecipai disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. Poi l'adesione, ancora na volta su un piano più emozionale che politico, alle tesi di uno dei tanti gruppi marxisti-leninisti, la Lega. Le lotte di Punta Raisi e lo straordinario movimento di massa che si è riusciti a costruirvi attorno. E' stato anche un periodo, delle dispute sul partito e sulla concezione e costruzione del partito: un momento di straordinario e affascinante processo di approfondimento teorico. Alla fine di quell'anno l'adesione ad uno dei due tronconi, quello maggioritario, del PCD'I ml.- il bisogno di un minimo di struttura organizzativa alle spalle (bisogno di protezione ), è stato molto forte. Passavo, con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d'opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano lì a dimostrarlo. Ma io mi allontanavo sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi caratterizzava sempre più una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all'altro, da una settimana all'altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia. E mi beccai i primi ammonimenti e la prima sospensione dal partito. Fui anche trasferito in un. altro posto a svolgere attività, ma non riuscii a resistere per più di una settimana: mi fu anche proposto di trasferirmi a Palermo, al Cantiere Navale: un pò di vicinanza con la Classe mi avrebbe giovato. Avevano ragione, ma rifiutai.
Mi trascinai in seguito, per qualche mese, in preda all'alcool, sino alla primavera del '72 ( assassinio di Feltrinelli e campagna per le elezioni politiche anticipate ). Aderii, con l'entusiasmo che mi ha sempre caratterizzato, alla proposta del gruppo del "Manifesto": sentivo il bisogno di garanzie istituzionali: mi beccai soltanto la cocente delusione della sconfitta elettorale. Furono mesi di delusione e disimpegno: mi trovavo, di fatto, fuori dalla politica. Autunno '72. Inizia la sua attività il Circolo Ottobre a Palermo, vi aderisco e do il mio contributo.Mi avvicino a "Lotta Continua" e al suo processo di revisione critica delle precedenti posizioni spontaneistiche, particolarmente in rapporto ai consigli: una problematico che mi aveva particolarmente affascinato nelle tesi del "Manifesto" Conosco Mauro Rostagno : è un episodio centrale nella mia vita degli ultimi anni. Aderisco a "Lotta Continua" nell'estate del '73, partecipo a quasi tutte le riunioni di scuola-quadri dell'organizzazione, stringo sempre più o rapporti con Rostagno: rappresenta per me un compagno che mi dà garanzie e sicurezza: comincio ad aprirmi alle sue posizioni libertarie, mi avvicino alla problematica renudista. Si riparte con l'iniziativa politica a Cinisi, si apre una sede e si dà luogo a quella meravigliosa, anche se molto parziale, esperienza di organizzazione degli edili. L'inverno è freddo, la mia disperazione è tiepida. Parto militare: è quel periodo, peraltro molto breve, il termometro del mio stato emozionale: vivo 110 giorni di continuo stato di angoscia e in preda alla più incredibile mania di persecuzione"
Nel 1975 organizza il Circolo "Musica e Cultura", un'associazione che promuove attività culturali e musicali e che diventa il principale punto di riferimento por i giovani di Cinisi. All'interno del Circolo trovano particolare spazio ìl "Collettivo Femminista" e il "Collettivo Antinucleare" Il tentativo di superare la crisi complessiva dei gruppi che si ispiravano alle idee della sinistra "rivoluzionaria" , verificatasi intorno al 1977 porta Giuseppe Impastato e il suo gruppo alla realizzazione di Radio Aut, un'emittente autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Nel 1978 partecipa con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria, alle elezioni comunali a Cinisi. Viene assassinato il 9 maggio 1978, qualche giorno prima delle elezioni e qualche giorno dopo l'esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo è dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani. Le indagini sono, in un primo tempo orientate sull'ipotesi di un attentato terroristico consumato dallo stesso Impastato, o, in subordine, di un suicidio "eclatante".
Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei “corleonesi”. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia alla udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell’udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.
Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.
Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo. Badalamenti e Palazzolo sono successivamente deceduti.
Il 7 dicembre 2004 è morta Felicia Bartolotta, madre di Peppino.
domenica 1 maggio 2016
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