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Oggi è l'anniversario della morte di Giovanni Falcone,della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta.
La vicenda umana e professionale di Giovanni Falcone si intreccia fortemente con tanti magistrati che prima e dopo di lui hanno avuto il coraggio e la capacità di strappare il velo dell'ipocrisia e dell' omertà che (ancor oggi) attanaglia il nostro paese e lo rende permeabile a corruzione e criminalità di ogni tipo.
Oggi,Falcone è il simbolo della legalità.Generazioni di studenti ne leggono e ne hanno letto la storia.Ma Giovanni Falcone,così come il suo "ispiratore",Rocco Chinnici,anche lui ucciso barbaramente,ha trovato tanti ostacoli.Anche fra i suoi colleghi.Vittima di invidie e maldicenze,la sua carriera rischiò di affogare in quel mare di meschinità.
Oggi,fuori da ogni ritualismo,voglio ricordarlo anche per quella vicenda,che nella sua "piccineria" mi sembra quanto mai attuale.
"L'attentato all’Addaura e la congiura del “corvo”"
Due anni dopo, nel 1989, una congiura di soggetti ancor oggi non tutti individuati, decide di screditare definitivamente Falcone. L’accusa è di aver fatto ritornare in Italia il pentito Salvatore Contorno, esponente della “mafia perdente”, al fine di uccidere dei rappresentanti della “mafia vincente”. Queste falsità aberranti vengono espresse in lettere anonime, dette lettere del “corvo” ed inviate a vari rappresentanti delle istituzioni. Il 20 giugno del 1989 Falcone sfugge all’agguato tesogli nella sua villa all’Addaura: un borsone con cinquantotto candelotti di dinamite posto sulla scogliera dove Falcone suole fare il bagno, viene trovato per caso da un agente della scorta. La bomba viene disinnescata e l’attentato fallisce. È lo stesso Falcone a spiegare il senso di quell’aggressione, una manovra ideata in maniera perfetta da “menti raffinatissime”, adatta a dar credito alle accuse delle lettere diffamatorie del Corvo: “Il contenuto delle accuse doveva essere il movente che aveva spinto la mafia a uccidermi. Sarei stato un giudice delegittimato perché scorretto, l’omicidio sarebbe stato giudicato quasi naturale”.
Dopo l’attentato dell’Addaura, per diretto interessamento del Presidente Francesco Cossiga, Falcone viene nominato dal Consiglio superiore della magistratura Procuratore aggiunto di Palermo. Qui altre lettere del “corvo” continuano ad avvelenare il clima del Palazzo di Giustizia, ma Falcone, sebbene avversato e ostacolato, riesce ugualmente a condurre intense attività di indagine. Già nel 1988 aveva collaborato con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, nell’operazione “Iron Tower” con cui venivano colpite due famiglie mafiose coinvolte nel traffico di eroina, quelle dei Gambino e degli Inzerillo; nel gennaio ’90 coordina un’ inchiesta che porterà all’arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani.
Tuttavia il clima ostile del Palazzo cresce ogni giorno di più e Falcone si rende presto conto di trovarsi isolato. Ma le massime incomprensioni gli derivano soprattutto dal confronto con il Procuratore Capo Piero Giammanco, che pure un tempo gli era stato a fianco. Questi ne ostacola sistematicamente il lavoro costringendolo a limiti angusti nella manovra delle indagini: Falcone avverte che in quel Palazzo, a Palermo, non riesce più a lavorare come vorrebbe e che i quotidiani dissensi lo logorano ogni giorno di più. Decide così di accogliere l’invito del Ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli a ricoprire il ruolo di Direttore degli Affari Penali al Ministero e qui prende servizio nel novembre 1991.
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