giovedì 24 agosto 2017

Contro la marea di minacce e divisione non si può essere timidi. Soprattutto quando si giverna una comunità.

A Pistoia sta accadendo qualcosa di molto grave.

Comunque la si pensi su immigrazione, accoglienza, e ruolo della religione, siamo di fronte ad una sequenza di fatti che vanno oltre la destra e la sinistra, e che stanno mettendo a rischio la tenuta democratica della nostra comunità.

Forse chi non è pistoiese non può comprendere la gravità di quanto sta avvenendo, perché il clima di odio, minaccia e violenza che sta dilagando non è diverso da quello che attraversa il nostro Paese.
Ma questa città, la nostra città, pensavo avesse anticorpi democratici più forti.
Pensavo avesse una capacità di coesione sociale molto più forte.

Dallo scorso fine settimana, l' argine si è rotto.

E le offese ad un prete che accoglie diversi profughi e diverse persone non straniere (ma a che giova questa distinzione, oggi, in un mondo sempre più piccolo, e soprattutto per chi compie una missione evangelica?) sono diventate una marea sempre più invasiva.

Una marea che fra stanotte ed oggi ha raggiunto il suo apice, prima con lo striscione davanti al SeminarioVescovile, contro l' accoglienza, e poi con il comunicato di Forza Nuova, delirante nei toni (vigileremo sulla "cattolicità" di Biancalani, domenica alla messa) e pericoloso nell' obiettivo, che è evidentemente quello di gettare benzina sul fuoco.

In tutto questo, fragile, fragilissima, e inesistente nelle ultime ore -proprio quando la marea più si alzava- ho sentito la voce del Sindaco.

Il Sindaco, che io conosco personalmente, e che non ho mai attaccato frontalmente, perché non voglio in alcun modo essere tacciata di strumentalità, non può continuare a tacere.

Non più.
Non ora.

Dopo un comunicato assai blando -certo più apprezzabile delle invettive o dei silenzi di molti dei suoi sostenitori- è seguito il silenzio.

Mentre Pistoia passa da Capitale della Cultura a capitale dell' odio razziale, mentre la marea delle invettive sfocia nelle minacce di Forza Nuova e nello striscione provocatorio di CasaPound, il nostro Sindaco -che è il punto di riferimento di tutta la comunità civile pistoiese- intende continuare a tacere?

Dobbiamo pensare che vada bene così?

Abbiamo passato la campagna elettorale a sentirci dire che il fascismo era finito e che dovevamo guardare avanti.
Oggi abbiamo la prova che toni fascisti e squadristi non sono passati.

Sono qui.

Oggi più forti di ieri.

E chiedo, da cittadina, una parola chiara al mio Sindaco: va davvero bene così?

Va bene una comunità divisa, toni violenti, un prete che deve essere sorvegliato mentre dice la messa?

No.
Non va bene.

E destra e sinistra non c' entrano nulla.

Si sceglie fra fascismo e democrazia.
Fra politica e minaccia.

E come questo Sindaco è stato democraticamente eletto, pretendo che tuteli la democrazia di questa nostra comunità.
Perché non c'è democrazia se ci sono minaccia e violenza.

giovedì 3 agosto 2017

Le stragi nel Paese che ricorda, senza memoria

Il nostro è un Paese strano.

È un Paese abituato a celebrare il ricordo, ma con la memoria corta.

Che vuol dire non dimenticare (Falcone, Borsellino, Moro, le stragi), ma relegare in una teca quel momento in cui non si dimentica, farne celebrazione -magari anche sentita- ma che dura lo spazio di un giorno, forse due.
Senza fare opera di approfondimento, senza interrogarsi su come i fatti siano avvenuti, sul perché siano accaduti, e sul perché spesso conosciamo gli esecutori materiali e assai raramente chi ha ideato e costruito queste morti, che siano individuali o stragi che hanno causato decine e decine di vittime.

Ieri abbiamo ricordato la strage di Bologna, e nessuna rete televisiva generalista mi pare abbia dedicato spazio ai fatti che convolsero la civilissima Bologna e scossero tutto il Paese.

Quanto ne sanno i giovani?
Non hanno diritto, i nostri ragazzi, di sapere perché quell'orologio è fermo alle 10.25?

Perché questa sorta di rimozione collettiva, che sembra quasi aver trascinato dietro una nebbia opaca le vittime, le loro storie, e il dramma di una città il cui tratto distintivo è da sempre il civismo?

Ho pensato molto, in questi giorni, a quei fatti.

Ci ho pensato senza avere la competenza dello storico, ma solo la conoscenza che la mia generazione e quelle precedenti hanno dello stragismo.

Come ha avuto a dire qualcuno, il tempo si è fermato agli esecutori.

E questo non è normale.
Non siamo normali noi, che ci accontentiamo dei nomi di Mambro e Fioravanti, e che narriamo semplicemente, quasi fosse un fatto ineluttabile, del ruolo che P2, mafia e servizi segreti deviati ebbero nel depistare, cancellare, proteggere.

Forse perché prendo il treno ogni giorno, forse perché come molti di noi conosco persone che si sono salvate per un caso, per il destino o per chissà cosa (Toscana e Emilia hanno solo quel crinale che più che dividerle, per tante ragioni, le unisce) per me la strage di Bologna ha una portata emotiva fortissima.

Ma non basta.
Non è solo con l' emotività, che questo Paese può andare avanti.
Perché è l' emotività che trasforma la memoria in ricordo, e così facendo degrada gli eventi da fatto collettivo a fatto individuale.
E da qui all' addormentamento della mente il passo è breve.
Ci emozioniamo per un giorno, massimo due, e ci dimentichiamo di fare le domande che dovremmo fare.

Non così i parenti delle vittime.
Che sanno bene, quali sono le domande giuste.
Quelle senza risposta.

I parenti delle vittime, che con la loro dignità, in un Paese che quando va bene protesta, ma quasi mai si indigna, due anni fa ebbero a fischiare i politici.
Così come fecero i parenti delle vittime delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio durante i funerali.

La politica che ha dovuto inchinarsi di fronte a quegli occhi che non si accontentano di sapere chi mise la bomba e la fece esplodere.
La politica che ha giocato con il dolore, quando a più riprese ha dichiarato che avrebbe detto basta al segreto sugli atti (a più riprese vuol dire non solo due anni fa, ma anche durante il governo dell' Ulivo) e invece niente è accaduto.

Tutti sappiamo, ma nessuno sa davvero.
Tutti ricordiamo, ma sono in pochi a fare memoria.

È questa l' opacità a cui facevo riferimento commentando la strage di Via D' Amelio alcuni giorni fa.
Siamo tutti talmente immersi in questa opacità, che capita spesso, commentando le stragi, di sussurrare:"Eh, i servizi segreti deviati, la massoneria (confondendo fra l' altro P2 e massoneria), la mafia...".
Però poi siamo noi che abbiamo avuto Presidenti della Repubblica, Presidenti del Consiglio e importanti esponenti politici i cui legami con questi mondi sono emersi persino in maniera ufficiale -in taluni casi persino come verità processuali.
Ed altrettanti politici uccisi o emarginati da quelle stesse forze (perché per fortuna la politica ha anche tanti esempi positivi).

Questo non sarà mai un Paese pacificato.

Non lo sarà, almeno, fin quando non accetteremo una verità scomoda:lo stragismo, sopratutto quello nero, è stato usato per tenere sotto scacco gli italiani, e inchiodarli alla conservazione.

E dobbiamo riconoscere che per decine e decine di anni questa strategia ha funzionato.

Finché non è arrivata Mani Pulite.

Anche -probabilmente- per quell' ondata emotiva che travolse il Paese dopo le morti di Falcone, Borsellino e delle loro scorte.

E ci salvò il civismo.
E ci salvarono i giovani.

Quello stesso civismo e quegli stessi giovani che ci salvarono dalle Brigate Rosse, quando fu colpito Guido Rossa.

Come racconta bene Giancarlo Caselli nel suo libro di alcuni anni fa, "Le due guerre".

Ma questa è un' altra storia.

O forse no.

martedì 13 giugno 2017

Di destra e sinistra. E del perché sosterrò con ancora più determinazione Samuele Bertinelli

Ha creato molti consensi e un po' di scandalo un mio post su fb relativo alla scelta che i pistoiesi dovranno compiere il 25 giugno:la scelta fra destra e sinistra.
Perché di questo si tratta, oserei dire finalmente.
Una contrapposizione chiara.

Questo post ha destato un po' di "scandalo" a mio avviso per varie ragioni.
Intanto perché abbiamo perso dimestichezza con l' uso delle parole dal contenuto chiaro:nella società della liquidità, tutto tende ad essere edulcorato, come se tutto fosse interscambiabile, fungibile.
E poi perché nel tempo dell' approssimazione, si tende a bollare come ideologico ciò che semplicemente rappresenta un' idea.

Allora, quando chiedo ai pistoiesi di scegliere fra la destra di Tomasi e la sinistra di Bertinelli, chiedo in realtà di aderire ad un' idea, ad un sistema valoriale, che è -vivaddio- diverso.
Non nei valori individuali (onestà, integrità, solidarietà e via, via), che caratterizzano i due candidati, entrambe persone per bene -ed io fra l' altro ho lavorato anche bene con Alessandro quando ero Assessore.

Ma l' idea di città che Samuele e Alessandro rappresentano è necessariamente diversa.
E questa diversità discende dalla loro cultura politica.

E chi sostiene Alessandro, così come chi sostiene Samuele, deve e può rivendicare questa diversità.
Non dobbiamo averne paura.

In un tempo liquido, i cittadini hanno diritto a qualche punto di riferimento, e noi dobbiamo darglielo.

Ecco i miei.

Sostengo Samuele perché risanare il bilancio -o meglio, ridurre sensibilmente il debito consolidato di circa 36 milioni di euro, e portare da -10.000.000 a +613.000 euro la parte corrente- è stata una scelta di responsabilità e rigore. E oggi c'è bisogno dell' una e dell' altro.

Sostengo Samuele perché ha aumentato di 800.000 euro la spesa per il sociale, e ha continuato a investire in cultura più del doppio della media nazionale. Perché Samuele pensa che del welfare debba farsene carico il pubblico, semmai in un rapporto con il privato, e che la cultura sia centrale. Samuele non pensa che "con la cultura non si mangia" (e questo lo disse un politico di destra).

Sostengo Samuele perché ha fatto di accoglienza e integrazione un modello non a parole, ma coi fatti.
Facendo di Pistoia la quarta città per capacità di integrazione. E ha fatto dell' integrazione un modello di sviluppo, perché questo riconoscimento ci ha portato 200.000 euro di contributi ministeriali, che sono stati reinvestiti nelle politiche sociali per i pistoiesi.

Sostengo Samuele perché non pensa che ambiente e sviluppo siano in contrasto, e pensa che pedonalizzare le piazze del centro storico aiuti la città, e non ostacoli il commercio. E ha ridotto di un ettaro all' anno il consumo di suolo, restituendolo alla collettività. E anche questo ha a che fare con la sua cultura politica.

Sostengo Samuele perché la mobilità sostenibile non deve essere solo tema da salotto radical chic, ma va praticata e messa in atto con provvedimenti concreti. E l' ha fatto, assieme al consiglio comunale. Con un piano innovativo, che fa scelte chiare.

Sostengo Samuele perché sa dire "Ho sbagliato". In politica non è facile, e non è facile dirlo a Pistoia, dove la vis polemica è spesso fin troppo sopra le righe. Questo, sì, non c' entra niente con destra e sinistra.

Sostengo Samuele perché conosce Pistoia a fondo, e non  da ora. Conosce ogni vicolo, ogni via, ogni frazione. E la città voglio affidarla a chi la conosce bene, per averla amministrata per molti anni, e con ruoli diversi. E questo gli consente di avere una visione d' insieme.

Sostengo Samuele perché è sostenuto da una coalizione larga, di centrosinistra.
Mentre Alessandro è sostenuto da Lega Nord, Fratelli d'Italia, Forza Italia... Mi pare di capire Casa Pound...
E come cantava Cocciante... "Se stanno insieme ci sarà un perché..."



mercoledì 7 giugno 2017

Appunti -neanche tanto sparsi- sulla cultura

Nella vita di ciascuno di noi ci sono esperienze che cambiano il modo di percepire ciò che ci sta intorno.
Il mio incontro con la Cultura pistoiese è stato così.

Intrecciare la mia vita con quella degli istituti culturali del mio territorio è  stata un' esperienza unica, totalizzante.
Perché la cultura pistoiese è davvero una rete bellissima, composta di fili sottili eppure forti, come la seta.

Costruire legami con il mondo della cultura pistoiese è difficile e bellissimo al tempo stesso, e una volta costruiti sono legami che hanno le caratteristiche della nostra città: tenaci e immutabili.

Parto da qui per dire due cose sulle scelte che l' Amministrazione uscente ha compiuto, e che il programma del Centrosinistra conferma e rafforza.

Partiamo da una posizione "privilegiata":il riconoscimento di Pistoia Capitale Italiana della Cultura.
Per quella capacità tutta pistoiese che, come in una delle città ideali di Italo Calvino, riesce a rovesciare ogni cosa, si corre il rischio che lo storytelling in salsa cercerata (leggasi del piatto tipico mostrano, non di Santa Caterina in Brana) riduca questo bel punto di partenza in un match in cui qualcuno ci dice che "si vabbè la cultura, ma intanto le buche nelle strade..".

Allora, forse è il caso di ricordare che con la cultura non solo si mangia, ma addirittura la cultura è la "madia" (da leggere con l' accento sulla "a", per distinguere il mobile delle nonne dal ministro della pubblica amministrazione) in cui le nostre nonne conservavano non solo il lievito (ormai celeberrima la frase del nostro Sindaco sulla cultura come lievito della società) ma addirittura la pasta madre, che è anche più nobile del lievito.
Più densa di storia, e in grado di conservare, più a lungo del moderno lievito, il prodotto finito.

Gli istituti culturali pistoiesi, con cui ho stretto relazioni bellissime, che ho scoperto essere rimaste tali, anche al di là dei luoghi -è il caso del Moica e del Museo del Ricamo, nei cui luoghi ho avuto il privilegio di partecipare ad una visita del Sindaco- sono stati negli anni punto di riferimento essenziale per chi si è trovato ad amministrare.
E non sono molti i territori che possono dire di trovare nel sistema cultura un tale punto di riferimento, dato che spesso la cultura è la cenerentola della politica.

Non a Pistoia, dove si investe più del doppio della media nazionale, e dove si è continuato a farlo nonostante i tagli del governo centrale.
Non era scontato.

Veniamo da qui.
Io vengo da qui, la cultura sarà sempre parte di me, e Pistoia ce l' ha nel proprio DNA.

Ma ci sono ancora alcune scommesse da giocare e vincere.
La prima e più difficile:dobbiamo ancora creare IL sistema cultura, superando la frammentazione da cui siamo ancora affetti.
Su questo punto, devo dire che il riconoscimento di Pistoia Capitale ha già prodotto alcuni risultati, ma non basta.
La proposta del Centrosinistra è quella di proseguire nel cammino già iniziato, ed individuare nell' ATP il livello ottimale per la gestione di alcuni settori (spettacolo, musica, etc...).
A questa ne aggiungo una mia personale:individuare uno strumento, anche informatico, che consenta di coordinare la programmazione degli eventi e l' attività degli istituti culturali.
Dialogare significa anche tenere insieme aspetti diversi.
In questo senso, riprendendo il concetto immaginato da Claudio Rosati del "museo diffuso", la rigenerazione del Ceppo offre importanti occasioni, e diventa in un certo senso una porta di accesso immaginaria alla Città della Cultura, con spazi dedicati a Giovanni Michelucci, con il Museo dei ferri chirurgici, e così vicina al Polo dell' Arte Contemporanea, che vede il proprio luogo simbolo in Palazzo Fabroni.
Perché a Pistoia passato, presente e futuro dialogano:ecco perché La luna nel pozzo sta bene esattamente dove si trova ora:davanti al Fregio Robbiano (o cosiddetto Robbiano).
Interessante, parlando di sistema, è la proposta di rafforzare ancora il sistema delle biblioteche, cresciuto negli anni grazie alla sapiente guida della Biblioteca San Giorgio (ricordo che nei Piani Cultura avevamo sempre importanti riconoscimenti grazie al sistema delle biblioteche) stringendo legami con le biblioteche di quartiere.

Altro grande tema è quello del coinvolgimento dei cittadini nel sistema culturale:troppi sono i pistoiesi che ancora non si sentono parte di questa meravigliosa comunità culturale.
Le proposte del Centrosinistra, oltre a continuare ad investire sulle esperienze già fatte (da "I dialoghi sull' uomo" a "Leggere la città", a "Pistoia è la mia casa") sono in questo senso assolutamente in linea con il tema:si propone dunque di proseguire con i bandi rivolti alle associazioni del territorio, con un occhio di riguardo ai giovani artisti, e di far ricorso ai patti di collaborazione -il cui regolamento è stato approvato nel novembre del 2016 dal consiglio comunale- per far diventare patrimonio comune i luoghi della cultura.
Dalla San Giorgio, alla Biblioteca Febroniana, al Pantheon

Infine, cultura è anche consapevolezza delle proprie radici.
La nostra montagna è parte integrante di queste radici.
E la scelta di entrare nell' Ecomuseo ha esattamente questo significato.
Ecco, se dovessi scegliere un risultato che sento mio è stato quello di aver salvato l' Ecomuseo dallo tsunami che ha travolto la Provincia, grazie alla nascita Fondazione, affidata alle amorevoli cure di Manuela Geri.

Penso che sarebbe bello anche pensare di ritrovare in qualche modo l' esperienza del Centro di Documentazione, che tanto aveva lavorato sul Novecento Pistoiese, e rilanciare alcune esperienze come quella della Brigata del Leoncino.
Perché la Scuola Pistoiese, da Giuseppe Gavazzi in poi, è una delle esperienze più belle che ho incontrato.

Chiudo con una nota autobiografica.
Quando mi hanno gentilmente comunicato che la mia esperienza da amministratrice era conclusa, due sono stati i dolori più grandi:perdere Albachiara (che infatti è stata lasciata morire) e perdere gli amici che avevo incontrato sul mio cammino.
Il secondo era un timore infondato:quegli amici sono ancora lì, e mi hanno aiutato tanto.
Perché il cuore, la passione e il lavoro contano più di ogni altra cosa, e come ho già detto non li cancelli per decreto.

venerdì 2 giugno 2017

Appunti sparsi sullo sport

In questi ultimi giorni di campagna elettorale, non ho voluto tirarmi indietro rispetto ad un tema nn semplice, eppure troppo importante per non essere affrontato:lo sport.

Ho parlato e sto parlando con le persone che sono sul campo (o in piscina) ogni giorno, perché volevo vedere con i miei occhi, ed ascoltare direttamente, al di là di quello che si legge sui giornali.
Ho incontrato persone che si occupano di nuoto ed altre di pallavolo.

Intanto premetto che ho trovato persone gradevoli, interessate davvero ai problemi, e determinate, senza tuttavia quell' atteggiamento ostile verso l' Amministrazione, che a volte taluni mezzi di comunicazione hanno inteso far trapelare.

I problemi ci sono, ovviamente.
Ma mi sembra di capire che si possano trovare anche le soluzioni.

Altra premessa:ho scelto di interloquire con gli sport cosiddetti (impropriamente) "minori".
Quelli meno patinati, che non vanno sui quotidiani tutti i giorni, che non hanno filiere di riguardo, ma che non sono meno importanti.
Alcuni di questi, per esempio il nuoto, hanno fatto grande il nome di Pistoia a livello nazionale e internazionale.
Altri, penso alla pallavolo, consentono anche a chi è troppo piccolo per stare in squadra, di maneggiare un bel pallone, stare insieme ai propri coetanei, e imparare a rispettare le regole.

Perché lo sport è anche e soprattutto questo:rispetto delle regole e socialità.

Fatta questa ulteriore premessa, il merito.
Il programma del Centrosinistra, che Samuele Bertinelli ha presentato alla città, contiene alcune affermazioni importanti.

La prima, sul tema degli impianti.
L' obiettivo è quello di dotare ogni sport di impianti nei quali sia possibile far crescere i nostri giovani.
La seconda, più di approccio, riguarda la proposta di stringere un patto per lo sport, tornando a valorizzarne il ruolo di fattore aggregante e socializzante.

Con Massimiliano Lombardi ci siamo a lungo intrattenuti sul primo tema, perché il nuoto ha davvero bisogno di un impianto, che non può più essere la piscina Fedi, di proprietà della Provincia, e ad oggi inagibile.
La sistemazione dei nostri atleti del nuoto alla piscina del Boario (che emozione, tornare lì dove facevo educazione fisica!) non può, secondo quanto mi è stato detto, essere una soluzione a lungo termine, in quanto le tubature e gli impianti interni sono di svariati decenni fa.
Sarà quindi necessario -nel mentre che atleti e dilettanti continuano ad allenarsi, o seguono i corsi al Boario- pensare per il futuro a soluzioni diverse.
Ovviamente, la soluzione del Boario, rispetto alla quale si sono predisposte misure di tamponamento di alcune infrastrutture, è stata comunque in grado di "salvare" il nuoto dall' inattività, in conseguenza dell' inutilizzabilità della Fedi.
Altrettanto, rispetto alla palestra del Boario, che il Volley del Bottegone ha condiviso per un po' di tempo anche con altre realtà scolastiche, o con squadre di adulti. Condividendo gli spogliatoi anche con la piscina -soluzione non ottimale sul piano igienico.

Nei prossimi anni sarà necessario nuovo slancio, e dare centralità al tema degli impianti è un primo segnale.
Il segnale di una nuova consapevolezza del problema.
Che è sempre il primo passo per affrontare i problemi.
E rispetto a questo problema, il progetto del Bottegone, fornirà risposte importanti, con riguardo agli spazi sportivi.


Un tema su tutti, quando si parla di impianti, è quello delle risorse.
Non ci siamo nascosti, in questi nostri incontri, che non sarà facile.
Tuttavia, una prima considerazione credo possa essere questa:aver fatto un' attenta opera di riduzione del disequilibrio di bilancio (con un attivo sulla parte corrente, e una fortissima riduzione del debito assestato) era la precondizione necessaria per poter anche solo pensare di intervenire su nuovi impianti.
Ora la precondizione tecnico -finanziaria inizia ad esserci:la rotta è stata tracciata.
Ed infatti, sul finire del mandato, si è dato un primo segnale importante anche in termini di allocazione delle risorse, investendo su alcuni interventi qualificanti.


Serve un' altra condizione,che è quella che più si confà a chi, come noi, crede che la politica sia un' arte difficile, ma bellissima:serve un nuovo patto.

Un patto con l' associazionismo sportivo -non quello patinato, che grida, che prende posizioni politiche, che fa capolino dalle pagine dei quotidiani, o che frequenta i salotti buoni.
No, serve un patto con chi lavora, duramente, ogni giorno.
Lontano dalle cronache locali, ma molto più vicino alla quotidianità.


Serve una rappresentanza forte, che ragioni con autorevolezza, e come dice spesso Samuele, non dica solo sì, ma dica sì che sono sì, e no che sono no, evangelicamente.
E che, quando dice no, lo argomenti.
Perché davanti ha persone in grado di comprendere, e disponibili a metterci del proprio, in termini di tempo, di impegno e di risorse.


Serve, poi, creata questa rete, un lavoro di lunga lena, per reperire le risorse.
Come è stato fatto per l' area del Ceppo, come è staro fatto per la rigenerazione urbana del Bottegone.
Significa che le carte in regola, l' Amministrazione può averle.
Quindi, niente di nuovo deve essere inventato.


E quando il Sindaco, pubblicamente, dice che cambierà ciò che deve essere cambiato, possiamo dargli fiducia.
Chi conosce Samuele, sa che non sempre dice ciò che si vorrebbe sentire, ma quando dice qualcosa, ci crede davvero.

Sì, ci sono alcune cose da cambiare.
E lo sport è fra queste.

Lo sport vero, che è anche quello senza gli sponsor di rilievo, senza giornalisti a seguito, e con poca voce.
Io ho cercato questo sport, ed anche a questo il programma del Centrosinistra guarda con attenzione, e con occhi nuovi.

domenica 14 maggio 2017

A proposito di... Chiara e Pistoia

Per una volta parlo di me.

Per una volta questo è un post che riguarda me stessa, le mie scelte, le mie motivazioni.
Perché mi candido.

Credo che l' abbiate sentito dire -o lo sentirete dire- circa seicento volte, tante quante sono i candidati.
Ecco, questa è la seicentounesima volta, e siete quindi legittimati a sospendere la lettura e dedicarmi ad altro.

Ma mi è venuta voglia di raccontarvelo.
Perché in questo passaggio ci sto mettendo il cuore, che vale ben più della faccia, dato che di facce in giro ce ne sono molte -qualcuno ne ha anche tre o quattro- ma di cuori ce ne sono sempre di meno.

Metterci il cuore significa occuparsi della cosa pubblica anche quando non si è direttamente coinvolti, sottrarre tempo e denaro alla propria vita quotidiana -fino a trascurare anche gli affetti più cari- perché senti che c'è un bene comune, un interesse da tutelare, qualcosa per cui combattere, che merita questo impegno.
Metterci il cuore significa anche sentire che la Città nella quale sei nata e cresciuta, e la comunità che vi risiede  vive un momento bello di crescita e cambiamento, e merita che questo processo prosegua, confermando le scelte già compiute, e correggendo il tiro laddove questo sia necessario.

Perché Pistoia può e deve essere grande.

E allora non era il momento di "rifluire nel privato", non era il momento del disimpegno, o del disinteresse, come invece sul piano privato sarebbe stato per me più semplice e forse consigliabile.

L' idea di Città che ho in mente è una città inclusiva, che guarda agli ultimi, è moderna e non dimentica le proprie radici, quelle antifasciste e democratiche che sono anche nella mia storia e la mia stessa storia.

La Città che vorrei fra cinque anni è una città rigenerata, a partire dal Ceppo fino alle Periferie, quelle urbane e quelle collinari e montane.
Una città in cui le distanze materiali e quelle immateriali sono ridotte.
Una città in cui le piazze siano libere dalle auto, e la mobilità sia sostenibile, con collegamenti ciclopedonali e un piano della mobilità dolce che, grazie anche alle dimensioni ridotte della città, consenta di essere il baricentro della mobilità nel suo complesso.

Vorrei poi una città in cui si continui ad investire in cultura come si è fatto finora, mettendo a capitale l' importante riconoscimento conseguito.
E investendo in cultura si possa costruire un sistema di relazioni in cui il cittadino sia al centro, e sia messo in condizione di fruire in maniera ampia dell' offerta culturale ampia che è nel DNA di Pistoia.
Connettere fra loro i vari sistemi, farli dialogare, intrecciare nodi e creare sinergie:la Casa Comune che diventa costruttrice di relazioni.
Un sistema di relazioni che sia rafforzato e rilanciato anche col mondo dello sport e dell' associazionismo sportivo.

Io voglio bene a Pistoia.
Le voglio bene davvero, perché è casa mia, da qui vengono i miei genitori, i miei nonni, i nonni dei miei nonni, fino a tempo immemore.

Ho iniziato ad impegnarmi venti anni fa nella collettività.
Venti anni esatti.

Era il momento giusto per chiudere questo cerchio.
Era il momento di fare #unasceltaChiara.
Ho scelto Pistoia, di nuovo.








sabato 8 aprile 2017

Di Bartoli, del Pd, dei sorrisi e delle risate





Questa settimana ho lavorato talmente tanto da non riuscire nemmeno ad articolare un pensiero sufficientemente compiuto da essere trasferito in parola scritta rispetto alle vicende della politica pistoiese.
Lo faccio stamani, con la calma del sabato mattina, mentre mi preparo per immergermi in Leggere la Città -una delle tante cose malefiche messe in campo da questa Amministrazione.

Scrive il Segretario dell' Unione Comunale Alessandro Giovannelli che il Partito non è un autobus.
Ha ragione, Alessandro -che come sempre ha la mia stima incondizionata come persona oltre che come Segretario del mio Partito.
Giova ricordarlo, perché Roberto -assieme ad altri- era uscito alcuni anni fa, dal Partito Democratico, anche in maniera piuttosto plateale. Poi, rientrato, ha ricoperto incarichi importanti, come forse era giusto, data la sua competenza, specialmente in alcuni settori.

Poi, questa nuova uscita, che mi auguro -voglio pensarlo- sarà quella definitiva. Perché c'è una cosa, chiamata etica della politica, che dovrebbe imporre a chi fa politica a tutti i livelli di misurare sempre le proprie azioni, e di comportarsi non secondo un disegno personale, ma secondo coerenza.

Alcuni si sono dispiaciuti, di questa uscita.
Vi stupirò:a me non dispiace affatto. Perché la chiarezza in politica aiuta sempre, e il nostro Partito, come ogni comunità umana soffre di un certo (elevato) tasso di ipocrisia. Bene, abbiamo strappato il velo di Maya.

Ci sono poi quelli che tentano di spiegare -pur non condividendola, e a tratti condannandola- questa scelta (legittima forse nell' esito, ma meno legittima nel processo, visto che si è sviluppata frequentando nel silenzio le stanze del Partito contro il cui Sindaco oggi Roberto si candida) come una sorta di reazione alle insufficienze dell' amministrazione Bertinelli.
Ecco, questo argomento mi fa venire l' orticaria.
Perché se l' Amministrazione espressione del tuo Partito compie degli errori (sì, ci sono stati degli errori, perché anche Samuele è fallibile come tutti noi), questo non legittima ad uscire dal Partito.
Legittima, semmai, una battaglia interna, anche aspra (siamo abituati), fino a candidarsi alle primarie.
Eppure, niente di questo è successo.

Perché, Roberto, non ti sei candidato alle primarie, portando una tua piattaforma programmatica?

Questa, sarebbe stata la logica conseguenza di una critica serrata all' azione amministrativa.
Allora, io lo dico, sono stanca anche di tutti i "signornì" di questo Partito, ossia di quelli che hanno la faccia del "sì" davanti, e quella del "no" dietro le spalle del proprio interlocutore. E quanto più è carismatico l' interlocutore, tanto più è ossequioso il sì e rivendicativo il no.

Vorrei vedere tanta chiarezza.
Vorrei leggere tante dichiarazioni nette, anche da chi -soprattutto da chi- è stato tirato in ballo pubblicamente, nel mio Partito, in questa vicenda.

Chissà se arriveranno. Me lo auguro.

So che abbiamo bisogno di volare alto.
Ci sono sfide importanti che ci attendono.
Più che un sorriso, temo che un' enorme risata ci travolgerà, se la politica tutta si avvolge su se stessa.

Per questo, io, Alessandro e tutti i compagni della Segreteria Comunale, lavoreremo tanto nelle prossime settimane con i nostri Segretari di Circolo, per affrontare i temi su cui l' azione amministrativa poteva essere più incisiva, ma anche per rivendicare, ampliare e mettere a sistema i tanti risultati raggiunti.

Pistoia Capitale della Cultura, un bilancio in forte risanamento, alcune sfide importanti che potranno portare Pistoia al centro dell' attenzione internazionale, la proposta lanciata da Samuele sul Comune unico...

I temi non mancano, il lavoro da fare mancherà anche meno.

Io ci sarò.
Non sono una "signornì", e nemmeno una "signorsì". State tranquilli, che da me sapete cosa aspettarvi. Sempre.

Perché le cose le dico prima di farle, non dopo che sono già maturate.



domenica 26 marzo 2017

Della Provincia, e del perché deve funzionare...





Ho seguito la protesta delle Province, che ha visto i Presidenti denunciare lo stato in cui versa un Ente che, ad oggi, la nostra Costituzione continua a prevedere.
Dico qualcosa, perché io questo Ente lo conosco, ne conosco il funzionamento, e conosco le persone che tuttora ci lavorano. E non mi sembrava giusto tacere.

Bisogna -ahimé- fare una premessa, in questo Paese nel quale esprimere una posizione sembra preludere al fatto che si sta dalla parte di questo o di quello.
Io sto dalla parte dei territori.
Di tutti i territori, compreso il mio, e dei cittadini, che hanno diritto ad avere servizi sufficienti.

E credo che le istanze poste dalle Province, compresa la nostra, siano istanze giuste.
Perché il referendum del 4 dicembre ci ha consegnato -ci piaccia o meno- un quadro nel quale le Province continuano ad esistere, come Ente di rango costituzionale, cui la legge Delrio e le leggi regionali continuano ad attribuire funzioni importanti.
Funzioni che incidono sulle scuole, sulle strade, sull' assetto del territorio.
Funzioni che incidono fortemente sulla qualità della vita quotidiana dei cittadini, e che devono essere necessariamente esercitate.

È quindi opportuno svolgere una riflessione seria sull' architettura istituzionale del nostro Paese, e mettere in condizione gli Enti di svolgere appieno le proprie funzioni. Verificando come reindirizzare le risorse, stringendo un patto forte con i territori, svincolando le risorse laddove esse sono disponibili.
In questo senso, ho apprezzato molto la proposta dei dirigenti scolastici, rispetto alle risorse della scuole.

Ma è importante prima di tutto fare un' operazione di ascolto importante, stringere un patto con i nostri Amministratori, a partire da coloro che si sono assunti l' onere di guidare le Province, e di sedere nei Consigli Provinciali.
Amministratori che sono anche Sindaci, che conoscono il territorio, e sono portatori non dei loro interessi particolari, ma di quelli dei cittadini che sono chiamati a rappresentare.

Mi pare che questa dovrebbe essere l'ottica da assumere. Ascolto reciproco, e pragmatica volontà di individuare soluzioni concrete non per gli amministratori, ma per i cittadini, che ci chiedono di avere servizi adeguati alle tasse che pagano.

Il problema riguarda tutti noi. Non solo i Presidenti, non solo i consiglieri, non solo il ceto politico, il cui linguaggio i cittadini comprendono sempre meno, ma tutti coloro che si impegnano -a prescindere dal proprio ruolo- per il territorio.
Che è il bene più prezioso che abbiamo.

Ho vissuto in questi anni il travaglio dei dipendenti della Provincia, frustrati non per il proprio interesse personale, ma per non poter dare ai cittadini le risposte che chiedevano.
E ho visto competenze importanti rischiare di perdersi. Non per responsabilità di qualcuno, ma per un contesto complessivo non adeguato alla situazione in cui ci troviamo.
Un contesto che non è quello che come Partito Democratico avremmo voluto.
Ma che è quello che gli italiani ci hanno consegnato.

Per tutte queste ragioni credo che le istanze poste dai Presidenti delle Province siano legittime, e che dovremmo con spirito costruttivo interpretare e capitalizzare.

lunedì 20 marzo 2017

Don Peppe Diana, l' attualità del suo messaggio e il 21 marzo



http://www.caritasitaliana.it/caritasitaliana/allegati/1230/Materiali_donGiuseppe_Diana.pdf
Ieri ricorreva l' anniversario dell' omicidio di don Peppe Diana, e domani si celebra la giornata in ricordo delle vittime di tutte le mafie.

Mi pareva giusto scrivere di don Diana, perché non tutti conoscono la figura di questo prete di campagna, che pure ha lasciato con il suo esempio concreto una traccia indelebile in uno dei territori probabilmente più sfregiati dalla camorra: Casal di Principe.
Ho inserito un link all' inizio di questa mia riflessione, che contiene il documento che don Diana aveva dedicato al suo popolo. Leggetelo:è breve, e molto bello!

Andiamo per ordine.
Don Diana aveva avuto la classica formazione teologica, era un parroco colto, laureato in teologia e filosofia, cui alla fine degli anni '80 fu assegnata una parrocchia in una terra difficile, in cui la camorra non solo era presente, ma controllava il territorio.
Lo controllava socialmente, tanto da diventare un punto di riferimento per la popolazione locale, lo controllava economicamente, dopo essersi legata all' imprenditoria del luogo, e lo controllava politicamente, arrivando a fondersi con il potere politico locale.
Insomma, la camorra di Casal di Principe aveva portato a compimento il percorso che consente alle mafie di conquistare tutti i livelli del potere, e quindi di governare il territorio.

In questo contesto, fin dall'inizio, don Diana diventa elemento di disturbo. Perché inizia a lavorare alacremente sul territorio, soprattutto con i bambini e i ragazzi. Un lavoro pericoloso per la camorra, perché i giovanissimi, non ancora completamente avviluppati nella rete della camorra, potevano rappresentare quel detonatore, quel fattore di cambiamento che è l' unica arma contro un controllo così stringente come quello che la camorra aveva costruito sulla comunità casalese.

E don Diana educò bambini, ragazzi e poi adulti.

Pronunciò parole nuove, invitò a leggere, a studiare, a guardarsi intorno.
Invitò i casalesi ad alzare la testa, a capire che la camorra poteva non essere l' unica alternativa.
E che, mentre dava l' illusione di dare lavoro, frenava lo sviluppo, perché il primo interesse era arricchire se stessa, non i casalesi.

E don Diana dava fastidio perché queste cose le diceva in chiesa, con la forza conferita dall' altare, in una terra nella quale non sempre la Chiesa era stata all' altezza del compito evangelico.

Era quindi rapidamente diventato elemento di rottura di quegli equilibri, apparentemente immutabili, di cui tutte le mafie si nutrono.
Equilibri che garantivano i poteri locali, quelli economici e quelli politici, consentendo loro di autotutelarsi ed autoriprodursi, purché si accettasse di stare all' ombra della camorra.
Uno schema che appare a noi che lo osserviamo da fuori talmente classico da scadere nella banalità.
Ma proviamo a metterci nei panni di un giovane casalese che non trova lavoro.
O proviamo a chiederci se sui nostri territori non abbiamo davvero mai avuto la sensazione che sia accaduto o stia accadendo qualcosa di simile -magari non con omicidi o spargimento di sangue.
Attenzione, perché i meccanismi sono sempre più sottili di quanto appaiano.

Insomma, l' evangelizzazione di don Diana si fa sempre più pericolosa.
Le maglie della rete camorristica si fragilizzano, anche per ragioni interne di potere, e la soluzione resta solo una: uccidere.

Uccidere un prete era un atto rischioso, perché avrebbe scosso la comunità e indebolito il controllo sociale, ma non si trovò altra soluzione: don Diana doveva morire.
E così fu. Il 19 marzo 1994 gli spararono, mentre si preparava a dire la messa, con nel cuore probabilmente altre parole per i casalesi e contro la camorra.
Parole che quella pistola gli soffocò in gola.

Ma la testimonianza, quella laica, e quella evangelica, era stata troppo forte, e l' eco di quello sparo travalicò i confini della provincia ed ebbe, anche negli anni a venire, ampio risalto in tutto il Paese, tanto da fare di don Diana un simbolo di libertà, di coraggio, di cultura e di amore viscerale per il territorio.

Casal di Principe forse non si è ancora liberato delle catene invisibili ma fortissime della camorra, così come tante altre zone del nostro Paese -e stolto sarebbe chi pensasse che la criminalità organizzata riguarda solo il Sud.
Ma di certo ha preso coscienza di sé.

E il peggior nemico delle mafie -di tutte le mafie- è la cultura della legalità, la denuncia costante, la testimonianza infaticabile.
Per questo, domani è importante essere accanto a Libera -se potete, con la presenza- e a tutte le altre associazioni che lavorano ogni giorno per fare della cultura dell' antimafia uno dei tratti centrali dell'educazione dei nostri giovani.
Nei giorni in cui la primavera vince sull' inverno, testimoniare per la libertà, contro l' oppressione del crimine, è un bellissimo dovere civico.
E chi non potrà esserci fisicamente, magariperché ha un lavoro da cui non può assentarsi, si avvicini a queste associazioni.
Troverà un mondo di persone bellissime, impegnate, concrete ed accoglienti.
Perché poche cose uniscono come la cultura della legalità.

Buona primavera Libera a tutti!

domenica 5 marzo 2017

Del perchè ancora Pd, e del perchè con Andrea Orlando





Ho riflettuto a lungo se fosse il caso di scrivere qualcosa di articolato sul congresso.
Per la prima volta da quando ho aperto questo blog, c' erano sullo schermo quattro diverse bozze di post che avevo iniziato e mai concluso.
Perchè?
Perchè non sono giorni facili, e per chi vive la politica come una passione forte, ma essenziale e non ama indulgere nella retorica, è difficile fermare cuore e cervello e farlo in maniera costruttiva.

Oggi, ho deciso che sì, era giunto il momento di fissare qualche concetto.

E allora, eccomi qua.
Sarà un post lungo, e molto autobiografico, quindi se vi piacciono i tweet e le conte, eccovi serviti: resto nel Pd, e voterò Andrea Orlando, impegnandomi per lui in questo congresso.

Serviti gli impazienti, e i centometristi, si prosegue per i maratoneti.

Le radici di queste scelte iniziano da lontano.
Iniziano, come per tanti, in quel congresso del 2007, a Firenze.
Quando una storia si chiudeva ed un'altra se ne apriva.

Io ai Democratici di Sinistra ho voluto un bene dell' anima.
Quello non è stato il mio primo Partito (ho vissuto un anno nel Pds), ma sono stati il Partito nel quale sono cresciuta, e nel quale ho vissuto le prime vittorie e le prime sconfitte.
Tutte collettive, anche quando la candidata ero io.
Sempre, sempre insieme, con i Compagni e le Compagne di una vita.
I più grandi, che mai ci saremmo sognati di rottamare, di chiamare sciacalli -anche quando un po' lo erano- ma verso cui nella battaglia politica c' era anzi un grande rispetto.

Nel 2007 scegliemmo, in molti con una gran pena nel cuore.
E quando si sceglie con la pena nel cuore, è perchè si lascia qualcosa di molto importante e si vuole costruire qualcosa di ancora più importante.
Già all'epoca c' erano i prodromi di quanto sta avvenendo oggi.
Ho visto Compagni ed Amici di tutte le età scegliere con un po' troppa leggerezza, all' epoca.
Una leggerezza sospetta, che poi ho visto spiegarsi e disvelarsi le proprie ragioni.

Gli anni sono passati, le delusioni, individuali (alcune cocenti) e collettive non sono mancate, così come non è mancata qualche soddisfazione (sempre meno, inutile nascondermelo e nascondervelo).
E quando parlo di delusioni, non parlo di sconfitte congressuali, alle primarie o alle elezioni.
No, parlo di posizionamenti e riposizionamenti sempre volti a tutelare se stessi più che la collettività, e di una comunità che si è andata via via sfaldando.
Con un dibattito sempre più sottile.

Il Partito liquido, insomma.
Quello teorizzato da Veltroni, e concretizzato negli ultimi anni (sì, sotto la segreteria di Renzi, ma siccome per me la politica non è mai un fatto individuale, non lo è nemmeno la responsabilità, seppure è il momento di farla finita di dire che "tutti i gatti sono bigi": non è così e qualcuno, come recita il titolo di un libro di Da Milano, "ha sbagliato più forte").

Questo non è il "mio" Partito, e lo sgomento nel vedere Compagni e Compagne, ma anche Amici ed Amiche che se ne vanno è forte, fortissimo, mentre da questa parte a fianco a me, c'è chi "è un peccato",ma rapidamente "se ne farà una ragione".
E però a fianco di questo sgomento c'è stato un sentimento, che poi è diventato ragionamento politico, che si è rafforzato in me.
Qui, a Pistoia, su questo territorio, fra i miei Compagni, i nostri segretari di Circolo, era davvero scaduto il tempo?
Davvero avrei lasciato a qualcuno la soddisfazione di allargare le braccia e dire "ce ne faremo una ragione"?
Davvero le lacrime c versate nel 2007, quando ero già più che adulta, erano lacrime sprecate?
Davvero avevo lasciato una grande storia, per vederne morire un' altra?
No.
La risposta è stata un sonoro: NO!

No, per i nostri Circoli,
No, per il mio territorio.
No, per una coalizione che in questi cinque anni ha avuto IN QUESTO Partito Democratico un punto di riferimento forte, fortissimo.
No, perchè il Partito Democratico ha anche il nostro volto. Il volto delle tante persone che sui territori in questi anni hanno lavorato duro.

Intendiamoci subito.
Chiunque dirà che chi se n' è andato, l'ha fatto "per la data del congresso, perchè non sopporta Renzi o perchè vuole le poltrone" troverà sempre in me una feroce oppositrice.
Molti di quei Compagni li conosco, e le loro lacrime non meritano solo rispetto, ma il silenzio che chi vive di social e tweet probabilmente non sarà mai in grado di avere o di dare a qualcun altro.
Ci sono ragioni profonde, politiche, personali e di cultura politica. Motivazioni nate e cresciute negli anni, spesso nel travaglio personale e collettivo.
I cori "fuori, fuori" li abbiamo sentiti tutti.
Gli epiteti, che hanno percorso tutte le categorie zoologiche, le abbiamo sentiti con altrettanta chiarezza.
Quindi, farebbe meglio a tacere chi ha ordito quella trama.

In me, però, si fa strada ancora un' idea, che è quella di provare a continuare a lavorare, perchè mi pare che il mio, e il tempo di quanti credono nel Pd per come è nato non sia ancora scaduto.
Vedo e sento tanti compagni che quattro anni fa fecero una scelta diversa dalla mia, interrogarsi profondamente.
Li osservo, e li ascolto mentre si compie una parabola, con un' accelerazione fortissima dal 4 dicembre in poi.
Li sento, mentre lamentano l' assenza di una vera analisi sulla sconfitta al referendum, e prima ancora sulle sconfitte alle ultime tornate amministrative.
Sconfitte via via sempre più forti, sempre più deflagranti.
Guardo queste persone, che quattro anni fa si sono affidate (errore gravissimo, in politica) al sogno del condottiero solitario, e della rottamazione e che ora, con onestà, si chiedono se davvero era questo il risultato a cui guardare.

Mi sembra che il mito dell' uomo solo al comando stia disvelando e rivelando tutta la sua essenza fallace.

E allora, ho messo insieme i pezzi, come in un puzzle che va via via ricomponendosi, e mi sono chiesta se non fosse possibile provare a giocare una nuova partita, per dare una risposta agli uni e agli altri.
E mi sono risposta di sì.

Da lì, da quel momento è stato tutto più semplice.
C' era una sola candidatura che aveva, ed ha, queste caratteristiche: quella di Andrea Orlando.
Sì, lo so.
So benissimo che negli anni trascorsi fra i banchi del Governo, non una sola volta la sua voce si è levata mentre si assumevano decisioni per molti di noi insostenibili.
E tuttavia, Andrea Orlando non ha compiuto la scelta più facile per i suoi destini personali come invece altri componenti della sua corrente hanno fatto.

E invece no.
Ha scelto di impegnarsi, per tentare di tenere insieme questa comunità così sfilacciata.
Avrebbe potuto far sentir prima la sua voce? Sì, inutile nasconderlo.
Ma l' ha fatta sentire nel momento più difficile e più importante, dando così una casa ai tanti che oggi sono spaesati. A partire da tanti Giovani Democratici, che numerosi saranno con noi in questa battaglia.

Sarà l' ultima?
Non lo so.
Di sicuro è la più importante.

Per provare a trasformare quelle lacrime di dieci anni fa in un sorriso.
Un sorriso incerto, tirato con qualche ruga in più.
Ma comunque un sorriso.

sabato 28 gennaio 2017

"In viaggio" - La forza della parola in un vagone in Piazza San Francesco






Stamani io e Francesco abbiamo visitato l'installazione "In viaggio", allestita all' interno di un vecchio vagone ferroviario posizionato in Piazza San Francesco.
L'idea in sé è semplice: all' interno del vagone una serie di pannelli racconta stralci di testimonianze di deportati, che raccontano il "viaggio" verso i campi di lavoro o di sterminio. Un pannello centrale illustra invece la geografia dei campi.

L' idea è semplice, dicevo, ma proprio per questa sua semplicità è decisamente d' impatto.

Non ci sono suoni, immagini, filmati.
C' è solo l' essenzialità dell' ambientazione, e la forza dirompente della parola.
Parole che raccontano quei giorni sospesi, fra la normalità della vita da cui si viene, e l'orrore della "vita" (ma è la parola giusta?) verso cui si va, ma senza sapere nulla del punto di approdo di questo viaggio.

Sono storie di paura, racconti di un tempo che quasi non c'è. Storie di escrementi, di lacrime, di morte, di sudore. Che strappano la Shoah da quel quadro quasi agiografico in cui i grandi film hanno relegato nei decenni questa storia.
C'è l'umanità profonda, che ci ricorda che siamo fatti anche di materia. C'è il controllo reciproco fra i prigionieri, e quella lotta tutta umana per stare il più possibile vicino alla grata, unico legame con l' esterno, unico ristoro dal fetore e dal terrore.

Ma c'è poi chi racconta della preghiera, che alcuni dei prigionieri riuscivano ad intonare.
La Speranza che cresce, nonostante tutto e più forte di tutto. L' uomo, fatto di materia, sudore, urina ed escrementi, e che tuttavia, anche nella situazione più bassa e disumanizzante riesce a ritrovare se stesso.

E poi c'è la storia della ragazza che in tutto questo si preoccupa soprattutto di una cosa:salvare i propri quaderni, che ha nascosto nelle scarpe, e che porterà con sé nel campo.
Quaderni su cui trasferirà se stessa durante tutta la prigionia.
Incurante dei rischi, della stanchezza, della sofferenza.
Perché la parola, lo scritto, erano la sua unica arma.

Per ricordare, quando tutto l' orrore sarebbe finito. Per raccontare a chi sarebbe venuto dopo.
E per non farsi uccidere dalle sue stesse emozioni.

Questa storia mi ha colpito perché anche per me la parola è questo: la salvezza dell'uomo, anche là dove tutto sembra perduto.

Sono uscita piangendo -non me ne vergogno- con l'ossessiva domanda: "Come è stato possibile?"
Guardavo la mia Pistoia da quelle grate, e mi chiedevo come e perché tutto questo sia stato possibile.

Ma, in questo tempo, buio e difficile, con i razzismi e i muri che sembrano risorgere, credo sia un bel segnale di speranza che la Capitale della Cultura  scelga questo evento nel primo mese del 2017.
E c'è speranza perché da ieri è stato un flusso continuo di visitatori.
Li ho osservati, e ho visto persone turbate, commosse, che leggevano le storie e si soffermavano.

Soprattutto, ho visto i ragazzi, entrare con la leggerezza dei loro quindici anni, e farsi via via più seri e gravi, riflessivi.
Ragazzi che erano lì per scelta, non accompagnati da insegnanti, e dopo la scuola.

Ecco, quando ho rivisto Pistoia fuori, e sono uscita nel sole, ho pensato che questi cittadini, se vogliamo, possono essere le nostre sentinelle.
Andate a vederla!
Portateci i vostri ragazzi, se avete figli!

Perché non accada mai più.

Un ringraziamento all' Istituto Storico della Resistenza e alla Comunità Ebraica, che hanno reso possibile tutto questo.

domenica 15 gennaio 2017

De "L'unità" che chiude, di Dandini, Guzzanti e dell' essere di Sinistra


Ci sono simboli che pesano nella vita di ognuno di noi.
Nella mia, come in quella di tanti Compagni (uso questa parola in senso ampio), "L'unità" è uno di questi simboli, così come lo è un modo di fare televisione che imperava fra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio.
Questi simboli, che erano non solo strumenti di comunicazione, ma veri e propri modi d'essere, si sono stranamente intrecciati, per uno di quei casi che il destino costruisce, proprio in questi giorni (stasera, grazie a Gigi Proietti ho finalmente rivisto insieme Serena Dandini e Corrado Guzzanti)

L' Unità, glorioso giornale fondato da Gramsci, e per lunghi decenni organo ufficiale del Partito, nelle sue varie declinazioni (per me dal PCI al PD, il Partito è declinato al singolare e con l'iniziale maiuscola -ogni tanto, lo confesso mi manca il cuore di mettere questa lettera maiuscola) annuncia licenziamenti di massa, unilateralmente decisi.

Credo che ogni volta che un giornale annuncia il proprio fallimento, qualunque sia la linea editoriale, sia una sconfitta. In questo caso, per me, vale doppio.

Io a "L'unità" ho voluto bene davvero.

L'ho letta con orgoglio, l'ho anche venduta, quando il Pds cercava la propria anima rispolverando i totem del passato glorioso
La portavamo alle manifestazioni, e la leggevamo in treno, quando da Pistoia andavamo a Roma. Insieme alle bandiere c'era lei.
Certo, Repubblica, Il Manifesto... Ma quando un compagno chiedeva il giornale, gli porgevi L'unità.
Perché chi vive "a sinistra" è anche tendenzialmente un romantico, pervicacemente legato ai propri simboli.

Quell' Unità è morta da tempo.
E, prima che qualcuno pensi che questa sia un'accusa all'attuale dirigenza del PD, aggiungo che era già morta prima dell' ultimo congresso.
Perché aveva già perso questo tratto identitario.

Certo, i cortigiani di questi ultimi anni, con l'apoteosi di Rondolino e Staino (ormai, quest' ultimo, lontano anni luce dall' artista dissacrante e irriverente che faceva tremare i potenti) hanno a mio avviso contribuito a indebolire un giornale già ben distante da ciò che esso stesso era stato.
E le baruffe che stanno accompagnando la probabile chiusura del giornale sono tristi quanto l'idea di un giornale che fallisce, con i conseguenti licenziamenti di tanti professionisti.
Le accuse al Segretario di aver deluso (come se si trattasse di un affaire amoroso, e non già di una vicenda politica e occupazionale) dicono tanto della differenza fra questo tipo di direzione del giornale e quella, che so, di D'Alema o Veltroni. Due esponenti politici decisamente agli antipodi, e che tuttavia faticheremmo a vedere lanciare accuse simili, e con questi toni.

La Sinistra è dignità, è capacità e bisogno di immaginare modelli nuovi di società, è parlare di "noi" e mai di "io".
Questa non è L'unità che si porta alle manifestazioni. Questa è "L'unità" "duepuntozero", che non scalda i cuori, e che quindi i Compagni non comprano più, perché non ci si riconoscono.
E -ahimè- a sinistra c'è sempre stato quel maledetto bisogno di essere convinti, di sentirsi parte di qualcosa di più grande, per mettersi in gioco.

Per esempio, c'era bisogno di sapere che Corrado Guzzanti ci avrebbe detto che la risposta era dentro di noi, ma era sbagliata!
E mentre L'Ulivo compiva la sua parabola, Berlusconi impazzava, e tutto era impegno e partecipazione, era bello ritrovarsi in quell'ironia graffiante de "L' Ottavo Nano", con le imitazioni di Neri Marcorè, l'improbabile Vulvia che ci parlava di "'mbuti", e una galleria di personaggi nella quale si colpiva a destra come a sinistra (qualcuno ricorderà la Guzzanti con D'Alema finto comunista).

Forse era solo una bella stagione della mia vita, ero giovane e sembrava che Prodi fosse in grado di tenere insieme modernità ed identità, di condurci oltre noi stessi.
C'era l'orgoglio di poter rappresentare un cambiamento nato dal basso e cresciuto però dentro ai Partiti, da questi -forse per la prima volta- compreso ed incoraggiato.

Era un momento strano.
Da lì a poco sarebbero arrivate delusioni cocenti.

Ma in quegli anni avevamo ancora L'unità, e la grandiosa manifestazione al Circo Massimo avveniva ancora sotto quella stella.

Sarebbe bello, anche se sono passati quasi venti anni, ritrovare quella stella.
Ritrovare un' identità sufficiente a spazzar via i cortigiani e le piccinerie.
I servilismi d'accatto e i piccoli cabotaggi.

Ritrovare il sorriso, salvare L'unità non solo perché è un giornale, ma IL giornale che passi al Compagno se te lo chiede.
Mentre andate insieme ad una manifestazione a tutela dei diritti dei lavoratori, e non c'è timore a prendere in giro anche il Segretario.
Perché quello che tiene insieme tu ed il tuo Segretario non è l'interesse, né il servilismo.
Ma la convinzione che insieme vale più che da soli.
E che essere di Sinistra significa lottare per i diritti, non per toglierli.

venerdì 6 gennaio 2017

Della cultura, della luce e.... di Star Wars!




Scrivo di notte, come spesso mi capita, perché il silenzio è foriero di riflessione, e aiuta a il pensiero a spingersi sempre un po' più in là, oltre il confine dell' ovvio e dell' essenziale.

Scrivo mentre da poco si è spento nel cielo pistoiese il fascio di luce che ci accompagnerà dal 1 all' 8 gennaio, ma poi per tutto l'anno di Pistoia Capitale.

È questa la novità di cui la Città discute in questi giorni -a Pistoia "discute" si legge "litiga".
Lo confesso:sulle prime, quando ho sentito parlare di questo progetto, dell'idea di un "laser" -così comunemente ed erroneamente lo chiamiamo, a Pistoia- sono rimasta assai perplessa: mi pareva così in contrasto con questo nostro territorio, poco incline alla visibilità, strutturalmente e naturalmente portato piuttosto a lasciarsi scomparire, pago della propria essenza essenziale!

Poi, ho cominciato a leggere il senso di questo progetto, di questa idea nata da Chiara D'Afflitto, ormai svariati anni fa.
Ho provato a scrollarmi di dosso la naturale inclinazione -appunto, tutta pistoiese- a chiudermi in me, e ho cercato di immaginare questo fascio di luce come una sorta di ponte.

Un ponte che in tempi di divisione e contrapposizione riassume in sè il portato maggiore della Cultura:la capacità di creare legami e stringere alleanze.
Un ponte che unisce la famiglia Fabroni, punto d'origine ed al contempo punto d'arrivo di questo fascio che porta luce, alla Pistoia odierna. Dal passato, al presente, proiettata verso il futuro.
Un ponte verde, che richiama le piante, ricchezza eccellente e concreta di questa Città in cui la terra e la cultura contadina sono state e hanno portato vita.

Ieri sera, assieme a Francesco, abbiamo percorso la via Montalese. E sì, inutile nasconderlo: ho ceduto alla curiosità e ho cercato con gli occhi il fascio di luce.
L' ho visto spuntare, quasi a Pontenuovo -sono praticamente una talpa- e sinceramente mi ha emozionato. Sembrava, così ci siamo detti con Francesco, un tetto sotto cui cercare riparo.
L' ho visto affiancarsi a noi, e poi -bellissimo- intrecciarsi col Grande Ferro del Burri.


Capisco tuttavia perfettamente quei cittadini che polemizzano sui costi
Li comprendo perché viviamo tempi difficili, in cui ci sembra che ogni centesimo debba essere indirizzato ai servizi, o alla cura minuta della città. Non sono obiezioni peregrine, perché chi -come me- vive da semplice cittadino le difficoltà, che sono le stesse di ogni media città, è portato naturalmente a vivere il qui ed ora.

Proviamo, però, ad alzare gli occhi al cielo, e a chiederci se non sarà bello, fra qualche anno, ricordare quando nel buio si faceva strada un raggio di luce, verde come la speranza, e forte come il passato che si intreccia col futuro.
Proviamo a chiederci se non sia giusto avere il coraggio, quando vorremmo vivere il qui ed ora, di sperimentare il Bello e la Speranza.


Non è il momento dell'ottimismo -riprendo le parole che Papa Francesco ha rivolto ai terremotati del Centro Italia- però è sempre il momento della Speranza.
Se riescono loro, a sperare, forse ce la faremo anche noi.
Questo non vuol dire smettere di chiedere e lottare per avere attenzione al qui ed ora. Non sarebbe giusto, e non saremmo noi.
Però, possiamo provare a pensare che le necessità dell' oggi non sono in conflitto col Bello, che per sua natura è oltre il tempo.

Ieri sera -per esempio- ho visto un film che parla della forza dei sogni, e di quanto questi siano l' antidoto ad una vita altrimenti piena di solitudine e emarginazione.
Mi piace pensare che chi è in grado di non smettere di sognare, pur fra mille difficoltà, e riesce ad aprire una porta all' immaginazione, affronta meglio il vivere quotidiano.

Ecco, uno spicchio di sogno concediamocelo: male non (ci) farà!

P.S. A qualcuno, questo progetto ha quantomeno stimolato la goliardia: il fotomontaggio del Sindaco versione Star Wars è davvero fantastico!