mercoledì 14 dicembre 2016

Premettendo...(Del Congresso Pd, prima del Congresso Pd)


http://www.vanninochiti.com/?p=17825


Non ho espresso analisi in questo stralcio di vita politica che ha seguito l'esito referendario.

Non l'ho fatto volutamente, perché credo ancora che siano le sedi ufficiali a dover accogliere le riflessioni dei dirigenti.

Tuttavia, alla vigilia -a quanto pare- dell' Assemblea che stabilirà l' avvio del percorso congressuale, alcune -per ora poche- cose, voglio dirle anch'io.

Non so che tipo di congresso andremo a svolgere.
Io penso che più e prima di un congresso veloce, serva un congresso vero.
Un momento di riflessione sincero, franco e profondo.
Che aiuti questo mio Partito a riscoprire più le ragioni dello stare insieme che quelle della divisione.

Un congresso che riparta dal referendum, per far tesoro del risultato, forte e chiaro, ma che non usi il referendum per tracciare un solco fra buoni e cattivi, amici e nemici, progressisti e conservatori.

Sarebbe bello riscoprire il gusto del discutere non solo sui nomi, ma anche sulle proposte, cosicché il nuovo (o confermato) Segretario sia davvero il Segretario che interpreta una posizione ampiamente condivisa.


Spero anche che la Sinistra si presenti unita a questo appuntamento, e che sia in grado di mettere da parte settarismi e personalismi.
Non lo dico perché la Sinistra è da sempre il campo nel quale mi riconosco (e io non sono mai settaria -anche se qualcuno, scherzando, me lo dice continuamente, quindi sono davvero interessata ad una discussione non pregiudizialmente chiusa).
Lo dico perché credo che una Sinistra forte dentro il Pd renderebbe più forte il Partito stesso, recuperando quella ferita (volevo scrivere vulnus, per impressionarvi, ma ferita rende di più) profonda che si è determinata fra il mio Partito e il suo (mio) Popolo.
Un Popolo eterogeneo,composto non più prevalentemente da operai o dipendenti pubblici e intellettuali, ma da giovani senza lavoro, partite iva, giovani (e meno giovani) precari...

Un Popolo che ha levato forte la sua voce. Un Popolo che nel 2014 aveva creduto in noi, e che da troppo tempo si è allontanato.

Non per populismo.
Ma per disperazione e solitudine.

E allora un campo ampio, unito, coeso, non contro Renzi, ma per le ragioni della Sinistra aiuterebbe lo stesso Segretario uscente ad alzare lo sguardo, a sfidare sui contenuti, a elaborare una proposta che tenga conto anche di quelle ragioni.

Per questo, da militante, da iscritta, da dirigente, chiedo una Sinistra unita, che non tema di fare la Sinistra senza essere "contro", ma "per".

Diversamente, nella diaspora della Sinistra, molti di noi, sceglieranno liberamente, ma forse con un po' di tristezza nel cuore e nella mente.

Per tutte queste ragioni, faccio mie le riflessioni del mio amico e Compagno Vannino Chiti -che trovate in link all' inizio di questo post- auspicando che chi è chiamato a decidere ascolti questa voce.
Che è anche la voce del loro (mio) Popolo.

martedì 6 dicembre 2016

Dell' elogio del fuori tempo (massimo)...





Questo è un post assolutamente fuori (dal) tempo, e fuori (da ogni) luogo.

Non è un post che si pone il problema di essere in linea con l'attualità, e non conterrà commenti coerenti con quanto sta accadendo fuori da questa bacheca.
Ma io sento il bisogno di recuperare il mio -forse il nostro- tempo.

Il tempo per riflettere, per respirare, per fermarsi mentre tutto e tutti sembrano correre come forsennati.
Questa idea malsana che si debbano fare quante più cose possibili nel minor tempo possibile, lasciando all' otium solo un ruolo ( e un tempo) residuale è un portato subculturale degli anni Ottanta che io stessa continuo ad applicare alla mia quotidianità, senza comprendere che è una delle cause del "logorio della vita moderna" (e il Cynar non mi piace neppure, anche perché Ernesto Calindri seduto tranquillamente a un tavolo in mezzo ad una via cittadina non potrebbe starci:verrebbe travolto dal traffico impaziente).

E quest' ansia da prestazione, per cui dobbiamo essere onnipresenti e millantare conoscenze-amicizie -contatti, ci sta pian piano conducendo a un volontario eppure inconsapevole analfabetismo funzionale, per cui alla fine si ottimizza la risorsa più importante che abbiamo: il nostro pensiero e il nostro sapere.
Come facevo alle medie, quando producevo il riassunto, del riassunto, del riassunto. Un Bignami al quadrato, che alla fine non mi serviva a niente.

Allora, riprendiamoci il nostro tempo!

Io non ricordo, per esempio, da quanto tempo non mi capita di viaggiare da turista per Pistoia.
Da quanto non mi capita di ascoltare le voci della mia città, perdermi nel ricordo della Pistoia che fu, chiedendomi quali interconnessioni materiali ed immateriali l'abbiano portata ad essere ciò che è oggi.

Eppure, le nostre città non sono forse parte di noi stessi?
Non rappresentano un po' quella memoria collettiva junghiana che ci forgia in parte prima che noi stessi esistiamo?

Sono tutte domande che mi sono sorte ieri sera, durante una conversazione molto interessante con alcuni amici.
E mi è venuta voglia di riappropriarmi  del racconto della mia città, di riannodare i capi di una corda spezzata nel momento stesso in cui ho deciso cve contava più la quantità che la qualità.

Mi sto convincendo che il tempo della riflessione deve tornare al centro della mia vita.
Affannarsi non serve più.
L'unica vera rivoluzione-come dicono i buddisti- è la rivoluzione individuale.
Una rivoluzione dolce e faticosa, ma che in questo tempo di approssimazione e di (false) certezze, che spesso si trasformano in dogmi incrollabili, è l'unica vera rivoluzione possibile e soprattutto duratura.

Non ho scritto praticamente niente sul referendum, né prima, né dopo.
Non è capitato a caso; l'ho fatto volutamente, perché ho trovato che il rumore di fondo fosse già sufficientemente alto. Ho spiegato a chi mi ha interpellato su cosa votare quello che era il mio punto di vista, assumendo il ruolo e la responsabilità che la militanza politica mi conferisce, ma senza clamori.
Ho le mie idee rispetto agli scenari che si aprono ora per il mio Partito e -soprattutto- per il Paese, ma non ingaggerò nessuna discussione.
Perché penso che il momento sia per tutti noi molto serio e complesso, e richieda più cautela e atteggiamento inclusivo, che settarismo e appartenenza.
Magari identità, questo sì, che è l'esatto contrario dell'appartenenza: chi sa cosa è, non ha bisogno di chiudersi in un recinto per definirsi, ma cammina verso l'altro con le braccia aperte.



venerdì 2 dicembre 2016

(La mia) Pistoia... (La mia) Capitale della Cultura




Avviso per chi legge.

Questo post è quanto di più soggettivo ed irrazionale abbia mai scritto sul blog.
Non sarà un post colmo di dati, né di argomenti a sostegno di una tesi.
Sarà un testo emozionale, che dedico a me stessa, al mio babbo -pistoiese dalla punta dei capelli alle dita dei piedi- alla mia mamma e a mio marito, che hanno scelto Pistoia pur non essendovi nati.
E a tutti i miei concittadini, nati o cresciuti conoscendo gli angoli di questa città piccola e grande al tempo stesso, chiusa eppure in grado di dare i natali a grandi artisti, o di rappresentare la loro "degna tana".

Bene.
Se ancora non ve ne siete andati, possiamo continuare assieme.

Domani, 3 dicembre, la Capitale della Cultura si presenta ai pistoiesi. Che, protestando contro la loro Città -e dicendone quanto di peggio si possa dire- saranno numerosissimi in Sala Maggiore, a celebrare l'inizio di un anno meraviglioso.

L'anno della nostra Pistoia.

La "mia" Capitale della Cultura l'ho ascoltata ieri in anteprima, durante la Commissione Cultura riunita a Palazzo di Giano (non era un privilegio, eh: le commissioni sono pubbliche..).

Il racconto del Sindaco si è dipanato all'ombra delle mura -che saranno valorizzate e risistemate in molti tratti- vagando attraverso l'area del Ceppo, rigenerata praticamente a costo zero, fra finanziamenti europei e contributi regionali, ha salito le scale dell'Urban Center, che rappresenterà il limite su cui si fondono passato e futuro (fra Michelucci e spazi per il coworking).

Poi abbiamo viaggiato idealmente attraverso gli spazi fisici del museo diffuso, e osservato con gli occhi della mente il cono di luce che attraverserà la città da Palazzo Fabroni fino a Villa di Celle, in un luminoso omaggio a Chiara D'Afflitto.

Ci siamo poi aggirati fra i libri pregiati della Biblioteca Forteguerriana, e da lì affacciati agli eventi che saranno ospitati alla Biblioteca San Giorgio -oltre mille.
Potevamo non fare un salto a teatro?
Certo che no, ed infatti il Teatro Manzoni e l'Atp ci hanno offerto un bello spettacolo, che tuttavia, con la Compagnia degli Omíni non si svolgeva sul palco, ma su un treno della Transappenninica.

Già, perché anche la Porrettana è parte fondamentale di questa nostra Capitale: una parte della sua storia che non vogliamo consegnare alla storia. Ed infatti un protocollo fresco di firma unisce Toscana ed Emilia Romagna attraverso il crinale appenninico.

E poi il Novecento, con la sua scuola pittorica in cui Pistoia ha rappresentato un importante segmento di rilievo nazionale e non solo.
E l'identità medievale, che oltre a lasciarci mura solide e protettive (come i pistoiesi) ci ha tramandato un grande orgoglio e la capacità di resistere, soli contro tutti.


La Capitale della Cultura, la mia, è questa.
Da Remo Cerini a Niccolò Forteguerri.

La semplicità e la grandezza.
Le mura chiuse e la Piazza aperta, apertissima, in grado di mettere assieme Tribunale, Comune e Cattedrale.

Il Centro e la Periferia.
Che ogni giorno si odiano, ma ogni giorno si difendono a vicenda:solo un pistoiese può criticare Pistoia.

Domani, in Sala Maggiore, ascolteremo tutto questo.

Domani, ognuno avrà la "sua" Capitale della Cultura.

Domani, inizierà un nuovo tempo per la Città.

E sarà scandito dal suo orologio più antico:quello del Campanile.

venerdì 18 novembre 2016

Pronti...Via! Capitale della Cultura sia!


Fotografia tratta dalla pagina Facebook "Per Samuele Bertinelli"


Ci siamo!

Questa settimana, il 2017 e la Capitale della Cultura sono sembrati davvero più vicini.
Sono stati due i passaggi fondamentali di questi giorni: la presentazione del logo che ci accompagnerà per tutto il 2017 (con le consuete polemiche pistoiesi, tanto per parlare di identità), e la presentazione del bando per il cuore pulsante del prossimo anno: i progetti culturali delle associazioni pistoiesi, presentato stamani a Palazzo di Giano. Cinquantamila euro che andranno a finanziare i progetti che le associazioni del territorio presenteranno, e che potranno usufruire di contributi da parte dell'Amministrazione per importi da 1000 a 5000 euro.

Voglio soffermarmi su questo bando, per chiudere poi con un paio di battute sul logo.

Il valore dell'atto presentato oggi non è soltanto di natura economica; c'è molto di più, in questa scelta.
C' è la consapevolezza che essere la Capitale della Cultura significa innanzitutto generare energie, mettere in circolo non solo (e forse non tanto) risorse materiali, ma soprattutto quelle immateriali, quella "polvere di stelle" di cui è fatta la cultura. Quella vera, quella che resta sul territorio, quella che rimarrà nei nostri vicoli, nelle nostre menti e nei nostri cuori quando il 2017 sarà terminato, e la nostra Città dovrà essere in grado di continuare  a renderci orgogliosi di lei (vabbè, noi lo saremo e saremmo comunque :-) ). 

E la sfida, miei cari concittadini, starà tutta lì. 
E d'altronde, un po' quella sfida già l'abbiamo vinta, ottenendo senza clamori e senza mutare di una virgola il nostro modo d'essere.
Quella compiuta stamani è, dunque, una scelta eminentemente e squisitamente politica.

Investire le risorse (quelle che ci sono, ovviamente) nel e per il nostro associazionismo.

Torniamo però al bando, il cui contenuto è ovviamente consultabile sul sito del Comune.
Ci sono alcuni aspetti che mi sembrano particolarmente rilevanti.
Innanzitutto, il bando è rivolto ad Associazioni che hanno sede e svolgono l'attività a Pistoia, e per progetti che si svolgeranno sul nostro territorio.
Dovranno poi essere Associazioni senza scopo di lucro, con una struttura democratica, cariche associative gratuite, con un bilancio trasparente, e che non pongano limiti discriminatori alle iscrizioni.
Tutte caratteristiche che evidentemente tendono ad affermare un  principio: si guarda a realtà fortemente radicate sul territorio, che intendono il proprio agire come pienamente democratico ed effettivamente svolto nell'interesse gratuito della collettività.
Oltre ai progetti che otterranno i finanziamenti, il Programma di Pistoia Capitale ne accoglierà anche altri, che potranno usufruire dei canali promozionali messi a disposizione dall'Amministrazione.

E, signori, questa è la Cultura per me. La Cultura migliore. 
Quella consolidata, vera, piena. Quella che migliora la vita di chi la produce e di chi ne fruisce.
Quella che si confà ad una città che ha un patrimonio così consolidato di associazionismo e di Istituti culturali, che è stata in grado, nel silenzio e nel lavoro quotidiano, di costruire un sistema, un sistema solido, perchè fortemente connesso nel reticolo delle nostre vie, e intrecciato con le pietre delle nostre bellissime mura (che, fra l'altro, usciranno più belle da questo 12017).


Lasciatemi dire una cosa. 
Ricordo i sorrisi ironici di molti, che dicevano che questo anno che ci attende sarebbe stato  l'anno dell'elitarismo, che questa nomina sarebbe passata come una folata di vento sulla nostra Pistoia, e che terminato il 2017 niente sarebbe rimasto impigliato fra i rami e le foglie dei vivai.
Credo che, se Pistoia e il suo associazionismo sapranno rispondere, questa sfida possa e debba essere interamente giocata. 
Tocca a noi dimostrare che Pistoia può farcela. 
Che noi possiamo farcela. 
Abbiamo un mese di tempo circa: il bando scade alle 12,00 del 15 dicembre.
Un mese per dimostrare che a Pistoia siamo un po' brontoloni, ma che quando ci offrono un'occasione sappiamo coglierla.

Per fare più forte il nostro territorio. 
Per fare più forti noi stessi. 
Perchè il 2017 non sia solo un anno, ma l'anno da cui ripartire. 
Per scrivere un nuovo tempo, tutti assieme, con la risorsa più importante che abbiamo: noi stessi. 
E sappiamo cosa questo significa: con i pistoiesi non si scherza!  


P.S. Nella foto potete vedere il logo scelto per Pistoia Capitale della Cultura 2017.
Guardatelo un po'. 
Tornateci con gli occhi, e con la mente: in un primo momento anche io non ero rimasta proprio colpita. 
Poi ho cominciato a guardarlo, ogni tanto. 
E ho capito che invece ha soprattutto un grande pregio: è semplice. Senza fronzoli. 
Quadrato, ma un po' di sbieco. 
Imperfetto. 
Solido, ed intrecciato, come le nostre mura e le stradine medievali. 
Chiuso in sè, ma percorso da incroci ed intrecci che ci portano fuori da noi, verso il mondo. 
Come il 2017. 


Dalla Relazione di accompagnamento al logo:
"La città – si legge nella relazione descrittiva del progetto vincitore - custodisce infinite ricchezze, che in molti casi hanno trovato visibilità grazie ad importanti manifestazioni ed a strutture culturali che le hanno permesso di sconfinare oltre le proprie mura.
È proprio da questo concetto che parte l’idea del logotipo presentato. L’attenzione si focalizza quindi sul “passaggio che genera nuovi stimoli”. La città viene attraversata da cittadini, da turisti, da iniziative e da manifestazioni, ogni passaggio modifica il territorio e la città, che si arricchisce di tutto ciò da cui è attraversata e può in questo modo uscire dai propri confini.
Unendo la conformazione fisica di Pistoia a questo concetto, ne viene fuori un’intersezione di strade, percorsi trasversali che, incontrandosi, generano ricchezze e nuovi stimoli. È così che le tre cerchie di mura cittadine si prolungano per cercare dei punti di contatto, trasformandosi, da simbolo di chiusura, in simbolo di apertura, di scambio.
Le linee infatti seguono l’andamento reale della prima e della seconda cerchia di mura, come se ogni tratto si prolungasse per dare vita ad un’intersezione di strade. Così come si intersecano i tratti del logo, anche i colori non sono statici, si fondono assieme per dare vita ad un gradiente che include toni caldi e toni più freddi. 
Il marchio intende così promuovere Pistoia come città per tutti. Una città a misura d’uomo, capace di colpire chi l’attraversa con le sue molteplici sfaccettature e il suo patrimonio unico”.

mercoledì 9 novembre 2016

Di Trump,Hillary,Obama...e Mentana. Alcune prime riflessioni....



Questa non è un'analisi politica.
Prima di tutto, perchè non ho gli strumenti scientifici per proporre un'analisi, né le competenze per svolgerla.
Ed in secondo luogo perchè a così poche ore di distanza dalle Presidenziali che hanno avuto questo esito, trovo perfino difficile ragionare con sufficiente lucidità
Infine, e parto da qui, perchè credo che questo voto ci suggerisca una grande quantità di riflessioni, e richieda un giusto grado di sedimentazione per essere ben ed utilmente interpretato.


Voglio però, anche per cercare di dar maggior solidità alla ridda di pensieri che da stanotte -complice l'instancabile Mentana- mi affollano la mente e, purtroppo, il cuore, cercare di avanzare qualche sollecitazione.

Vediamo se riesco a fermare alcuni punti, non necessariamente in ordine di rilevanza.

Primo. Va da sé che la democrazia va accettata, così come i suoi esiti, a prescindere da quali essi siano. Tuttavia, credo sia giusto esprimere preoccupazione per l'elezione di Trump a Presidente. Non solo (e forse non tanto?) per ciò che potrebbe fare, o non fare. Ma per ciò che Trump rappresenta. L'idea che un popolo, con un forte senso per le istituzioni ed uno spiccato senso di appartenenza come quello statunitense, abbia deciso di regalare questo onore ad un uomo che ha evaso le tasse, offeso le donne, eluso le leggi, e ostenti tutto ciò con una malcelata soddisfazione, mi fa davvero paura.




Secondo. La mia impressione è che sia stato un voto non solo (e forse non tanto) di protesta: mi pareva che soprattutto emergesse dal popolo statunitense una profonda rassegnazione. Ho sentito spesso ripetere che si sarebbe votato per "il meno peggio". E allora non era necessario essere elettori di Bernie Sanders per esprimere un "voto depresso". Gli americani erano depressi tutti, non solo coloro che avevano creduto in una candidatura "liberal". Il cosiddetto "ceto medio", che è molto diverso dal nostro ceto medio, semplicemente non si aspettava niente nemmeno da Hillary, e non so se questo trova ragione nel mandato di Obama. Probabilmente in parte sì. Ma è anche probabile che questo sia dovuto alle scelte sbagliate del Partito Democratico (quello americano, eh!), e mi riferisco alla scelta della candidatura, ma anche alla campagna elettorale, ai toni e ai temi scelti. Ed infine alla questione più profonda, a cui più è difficile trovare una risposta: la sinistra, declinata nelle sue molteplici forme, è più in grado di dare risposte alle grandi masse?




Terzo.Il mandato di Obama (primo e secondo) quanto ha inciso positivamente sulla vita quotidiana degli americani?C'erano grandi attese,all'indomani della sua elezione,e per molto tempo è sembrato in grado di reggere il confronto con quelle promesse e premesse.
 La lotta senza quartiere alle lobbies -fra le più potenti al mondo-, la battaglia per i diritti civili, la incarnazione egli stesso del sogno americano sono stati gli assi portanti di questi otto anni.E credo che Obama abbia reso gli Stati Uniti un Paese migliore.Ma ad un certo punto si è come arenato.Non aveva più la spinta propulsiva degli inizi.
E in politica economica ha sbagliato molto:il ceto medio non ha maggiori sicurezze né una migliore condizione economica dopo questi otto anni.E credo che per rispondere a questo servisse un candidato diametralmente opposto a Hillary. Serviva un nuovo Obama,o comunque un candidato che sapesse scaldare i cuori e accendere le speranze come Obama stesso aveva fatto.
Per me,ci voleva Barnie Sanders. Ma le primarie,come la democrazia,vanno accettate. Però interroghiamoci:non è necessario aprire una riflessione sulle modalità di selezione della classe dirigente? E d'altronde tutti ricorderanno la fatica che ha fatto Obama per rassegnarsi alla candidatura Clinton. Forse non era un caso.
Mi sembra che questo sia l' epilogo che in molti temevamo e che -almeno io- rifiutavano perché semplicemente era (è) quasi logicamente impensabile "votare uno come Trump".




Quarto.Interessante notare l' ormai nulla capacità dei mercati di influenzare ed indirizzare il voto.È di tutta evidenza che i cittadini,come la Rossella O'Hara di "Via col vento" se ne infischiano, dell' eventuale volatilità dei mercati.Perché a quei mercati non partecipano affatto.Quando la finanziarizzazione dell' economia diventa la principale responsabile del malesssere di milioni di persone,i mercati non hanno alcun effetto deterrente sulle masse e sul loro voto.


Quinto.Secondo molti,è un voto anti-politico.Non lo so.Forse è un voto anti-sistema.Lo era anche quello per Obama.Solo che quello lo era, per me e coloro che come me ragionano,in senso politicamente corretto.Quello di ieri lo è in senso opposto.
Ma forse non è un voto anti-politico classicamente inteso.Forse gli americani hanno lanciato un messaggio molto politico.
Hanno detto che non volevano votare per il meno peggio.
Facciamone tesoro,di questo voto.

martedì 1 novembre 2016

Ciao, Tina - Perchè ancora oggi ha senso la tua eredità (almeno per me)













Tina Anselmi - La biografia

Tina Anselmi decise da che parte schierarsi quando, giovanissima, vide un gruppo di giovani partigiani portati al martirio dai fascisti che li impiccarono. 
Divenne così staffetta della brigata autonoma “Cesare Battisti” e del Comando regionale del Corpo volontari della libertà. 
Nel 1944 si iscrisse alla DC e - non si era ancora laureata in lettere all’Università Cattolica di Milano - partecipò attivamente alla vita del suo partito, non dimenticando mai le ragioni profonde della sua scelta antifascista. 

Tina Anselmi è stata via via dirigente sindacale dei tessili, incaricata dei giovani nella DC, vice presidente dell’Unione europea femminile. 
Parlamentare dalla V alla X legislatura eletta nella Circoscrizione Venezia-Treviso, ha fatto parte delle Commissioni Lavoro e previdenza sociale, Igiene e sanità, Affari sociali, occupandosi molto dei problemi della famiglia e della donna. 
Ha inoltre presieduto per due volte la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2. 
Tina Anselmi è stata tre volte sottosegretaria al Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, una volta ministra del Lavoro, due volte ministra della Sanità. 
Si deve a lei la legge sulle “pari opportunità” ed è stata tra gli autori della riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale. 

Nel 2004 ha promosso la pubblicazione del libro intitolato Tra città di Dio e città dell’uomo. Donne cattoliche nella Resistenza veneta di cui ha scritto l’introduzione e un saggio.


Questa la biografia di Tina Anselmi, che potete trovare sul sito di ANPI.
Poi, oltre ai ruoli istituzionali ricoperti, e all'azione politica svolta nella Democrazia Cristiana, c'è un portato più importante: esiste il testamento morale che donne come Tina Anselmi lasciano in eredità al proprio Paese, ed imperituramente, alle generazioni a venire.
Quello che in inglese si dice "heritage", termine che mette insieme la dimensione individuale e quella collettiva.


Vi dico cosa lascia a me Tina Anselmi, da custodire come un tesoro immenso, come solo i principi costitutivi possono fare.

Innanzitutto, quel suo richiamo giovanile alla scelta, alla consapevolezza della necessità di "esserci". Quanto somiglia al j'accuse di Gramsci contro gli indifferenti, contro chi non fa una scelta di campo, assumendosene fino in fondo le conseguenze, comprese quelle più terribili. 
E la prima scelta di Tina fu quella di diventare Gabriella, staffetta partigiana che percorreva centinaia di chilometri, giovane e spesso sola, come lo è solitamente chi sceglie di "esserci", di non stare a guardare. E la scelta dell'antifascismo militante è una scelta che ha senso anche oggi, anche a così tanti decenni da quei giorni terribili in cui Gabriella consumava le ruote della sua bicicletta. 

E poi quel suo impegnarsi per le donne, e con le donne. 
Perchè Tina Anselmi ha sempre fatto questo: ha sempre lottato in prima persona. Stando assieme alle donne, trasmettendo loro consapevolezza. E stringendo alleanze forti con molte di loro. 
Come ha fatto da sindacalista, proprio per tutelare i diritti delle donne, massacrate da condizioni di lavoro oggi impensabili. Perchè il Sindacato - e se ne ricordi chi oggi lo denigra- è stato uno dei principali baluardi per la conquista di diritti che oggi forse pensiamo scontati.

E solo chi ha fatto politica, da donna assieme ad altre donne, sa quanto le alleanze femminili possono essere forti: sono reti invisibili che diventano spesso inscindibili, e che reggono ai marosi della vita, anche quando i fili di cui sono composte sembrano allungarsi quasi fino a rompersi.
Ma non accade. Purchè si tratti di donne intelligenti


E se penso a Tina Anselmi, quasi subito il pensiero corre a Nilde Iotti (lasciando stare le fotografie...). Perchè queste due grandi donne hanno rappresentato nelle loro differenze le migliori aspirazioni della cultura cattolica e comunista che hanno fatto grande la nostra storia e il nostro Paese.
Il sogno da cui è nata la nostra Costituzione, quella capacità che forse mai nella Seconda Repubblica abbiamo raggiunto, di lavorare davvero per il Bene Comune. 
Il rispetto dell'avversario politico che può avere soltanto, forse, chi ha sperimentato sulla propria pelle la ferita profonda che lascia l'assenza della democrazia.
Mi riconosco, invece, in questa volontà di andare oltre gli steccati, di tendere una mano verso chi non la pensa come me, purchè -ovviamente- esprima un pensiero politicamente argomentato. Perchè per carattere oltre che per cultura politica credo che solo se si tendono i rami verso l'alto, si rafforzano anche le proprie radici, e altrettanto, solo chi è consapevole delle proprie radici può distendere i rami verso il cielo, e verso l'albero vicino. 

Tina Anmsemi è anche l' impegno della prima donna Ministro, nominata da quel Giulio Andreotti che, per la cultura politica dalla quale provengo, ha rappresentato per intere generazioni, uno dei mali più oscuri del nostro Paese. 
E' stata la donna che ha lavorato per istituire il Servizio Sanitario Nazionale, per una cultura che non escludesse le donne, per la Scuola e per la Famiglia (e forse su quest'ultimo punto mi sento più lontana dal suo pensiero).

Fu una donna che lavorò davvero per creare nel nostro Paese il welfare di Stato. Quel welfare che ha rappresentato per lunghi anni uno dei principali portati del sistema italiano, e che in vari momenti della nostra storia ci siamo trovati a dover difendere, ed a volte a dover vedere arretrare.

.
E fu la donna che si impegnò per la legalità, presiedendo la difficile Commissione Parlamentare di inchiesta sulla P2. Un lavoro che fu per lei massacrante, e non sgombro di ostacoli. Come lo è, in Italia -forse non solo al tempo della Prima Repubblica- il percorso di chi si occupa di legalità. 
Perchè la legalità, e la cultura della legalità sono terreno scivoloso, e troppe volte ritenute politiche residuali.


Ed infine, credo che Tina Anselmi abbia rappresentato al meglio, con le parole e con le opere, quel che i cattolici possono portare in politica: il rispetto degli altri, la lotta contro le disuguaglianze e per l'equità sociale, la tensione etica verso una continua elaborazione politico-culturale che facesse dell'impegno in politica onn un fine, ma uno strumento per migliorare l'individuo e la collettività.

Sono valori a cui mi sento (molto modestamente) di potermi ispirare, come donna di Sinistra, che vive il proprio essere cattolica come un fatto personale, ma dal quale trarre linfa vitale quando la strada si fa più impervia. 

Grazie Tina.
Ciao.

domenica 23 ottobre 2016

Settant'anni di Camposampiero: il dono e la memoria individuale che diventa collettiva






Abbiamo celebrato in questo fine settimana settant'anni di attività dell'Ente Camposampiero.

Il verbo è al plurale, perchè credo che questa realtà, nata nel 1946 per volontà di Giuseppe Camposampiero,. rappresenti al meglio l'identità della mia Città.
La solidarietà mai incline al manierismo, la concretezza dell'agire, la caparbia volontà di riscatto sono tratti che avvicinano la Pistoia di quegli anni alla Firenze di Giorgio La Pira, e in qualche modo all'esperienza di Don Milani.

Mi sembra che stia tutto qui il senso profondo di un'esperienza che ha saputo rimodellarsi negli anni, integrandosi con le mutate condizioni della popolazione, e stringendo nodi e relazioni che hanno fatto della Camposampiero uno dei punti di riferimento più importanti del nostro tessuto sociale. 
Sono tante le generazioni di pistoiesi che hanno varcato almeno una volta la soglia dell'antica struttura. 
Come ospiti del collegio, come studenti delle Officine, o come partecipanti alle attività delle Cooperative che oggi abitano quelle stanze, oppure per partecipare a qualche attività nei locali della Fabbrica delle Emozioni.

E quante emozioni si sono consumate in quelle stanze.
E' stato bello oggi passeggiare fra le foto recuperate e ristampate dal Gruppo Fotografico che ha trovato ospitalità proprio alla Camposampiero,. ed è stato bello ed emozionante ascoltare le storie di Alberto Bigagli e Pierluigi Pardini, che hanno raccontato in due libri i lunghi anni trascorsi alla Camposampiero.

Sono storie di riscatto, di fratellanza, di identità ritrovata. In una Pistoia che oggi forse non c' è più, ma che non è difficile immaginare, con la campagna che lambiva spazi oggi completamente antropizzati, con le riflessioni di un piccolo Pierluigi, che trova nella compagnia dei grilli e dell'erba umida il dialogo con la mamma che non c'è più, e trae dai suoi compagni la forza per andare avanti, per crescere e ricostruire la propria identità più profonda. 
Forse ce l'avrebbe fatta lo stesso, o forse no. Non lo sapremo mai, perchè il destino ha voluto che Pierluigi e tanti bambini come lui incrociassero sulla propria strada la lungimiranza, la forza e il coraggio dell'idea di Giuseppe Camposampiero, e la pertinacia della direttrice Borgioli.

La storia dell'Ente Camposampiero e del suo fondatore è la storia della nostra Italia. 
La storia di quel cattolicesimo progressista che seppe sposarsi con le istanze contadine ed operaie della nostra Città. Pienamente rappresentato da Giuseppe Camposampiero, che aveva vissuto assieme a Giorgio La Pira l'esperienza della rinascita democratica fiorentina avviata già durante la Seconda Guerra Mondiale e che decise di lasciare tutti i suoi averi ai cittadini poveri, nominando esecutrice testamentaria la professoressa Angela Borgioli, che con la sorella e un primo nucleo di volontari dette vita all'Ente Camposampiero.

Iniziò così un'esperienza che negli anni si sarebbe arricchita, sia nel numero degli ospiti -fino a 80 ragazzi- sia nell'offerta educativa e formativa. Tutto il contesto cittadino, dalle famiglie alle Istituzioni, ha collaborato per fare della Camposampiero un luogo accogliente, che desse una seconda possibilità ai suoi piccoli ospiti, e alle loro famiglie. Perchè il riscatto sociale, più di quello economico, è un diritto a cui nessun bambino deve rinunciare.
Non sono sempre stati facili gli anni, alla Camposampiero. E molte volte la Provvidenza - che figura anche nel nome dell'Ente- ha aiutato la direttrice ed i suoi piccoli ospiti. 
Mi sono commossa leggendo su uno dei pannelli approntati per la mostra l'episodio svoltosi durante uno dei primi Natali trascorsi nel convitto: si raccontava che durante la vigilia uno degli ospiti, sentendo le lacrime della Direttrice che gli bagnavano i capelli le chiese perchè piangesse. 
La Professoressa Borgioli piangeva perchè era Natale, e lei non aveva niente da offrire ai bambini. Ma esortò comunque il piccolo a sperare e pregare. 
La Provvidenza (Divina per chi crede) avrebbe fatto il resto. 
E lo fece davvero, perchè ci fu chi si adoperò per far arrivare ai piccoli ospiti ciò di cui avevano bisogno. 

Al di là dell'aspetto religioso -che può non interessare tutti- mi pare che in questo episodio ci sia un mondo intero: la trepidante preoccupazione di un'insegnante che portava sulle spalle un peso ben più grande di quello educativo -già di per sè imponente- la Speranza che trova soddisfazione, un territorio che si attiva, e il sapore delle piccole cose che danno senso al vivere.

Così come è stato bello vedere uomini adulti, alcuni un po' in là con gli anni, ritrovarsi dopo lunghi decenni e riconoscersi, raccontarsi e raccontarci come le loro vite si erano dipanate dopo l'uscita dalla Camposampiero.

Negli anni, l'attività della Camposampiero è andata sempre più declinandosi come attività di carattere sociale, e nacque così l'idea del Centro Giovani, per lavorare sul disagio giovanile con lo stesso spirito che animò Giuseppe Camposampiero, Angela Borgioli, Imo Gorini e tutti gli animatori della Camposampiero: aiutare i giovani portatori di disagio: aiutandoli ad assumere consapevolezza di se stessi e del ruolo che possono svolgere nella società, indipendentemente dal contesto nel quale sono nati.

Dalla compenetrazione fra il Centro di Formazione e la scelta di aiutare i giovani ad uscire da disagio e isolamento, in tempi recenti, nasce l'impegno della Camposampiero per come oggi lo conosciamo, con particolare riferimento.

Ecco, oggi è stato bello ed emozionante ripercorrere questa storia.
Che è la storia del nostro Paese, della nostra Pistoia.

La nostra storia, infine.   

  



mercoledì 19 ottobre 2016

Di DemocraticaMente e del perché è stata "buona la prima"




DemocraticaMente è nata in una fresca sera di qualche mese fa.
Non ricordo se fosse una notte buia e tempestosa, ma forse qualcuno che si inquieta ci sarà.
E va bene così.

C'è bisogno proprio di questo,più che di cose che piacciono a tutti (di queste ce ne sono anche troppe).
Perché la politica -quella vera- deve rompere gli schemi,e non solo quelli!

Dopo quella prima serata ne sono seguite molte altre,nel corso delle quali ci siamo via via confrontati,a volte anche aspramente.
Su tutto:dalle questioni organizzative,a quelle strategiche e di fondo.
Perché nella nostra Associazione ci sono esperienze,storie e sensibilità anche molto diverse fra loro.
Ma proprio tanto,eh!

E credo che proprio questo sia il gradiente più importante,quello che rende così interessante e fecondo questo luogo politico,che fa del reciproco ascolto e quindi della contaminazione il tema principale,l' asse portante che ispira il pensiero politico di questa giovanissima esperienza.
E tutto questo,il tema della contaminazione,dello scambio,dell' influenza positiva,della disarticolazione degli schemi precostituiti e della ricomposizione attorno ai valori radicati e fondanti dell'esperienza comunista,del cattolicesimo progressista e della socialdemocrazia,non è forse la ragione che ha determinato la nascita stessa del Partito Democratico?

Abbiamo inventato qualcosa di nuovo?

No.La sensazione è che semplicemente abbiamo riscoperto le radici profonde del nostro Partito,a partire dai suoi atti fondativi.
Un po' come sceglie di fare il protagonista del romanzo "Áu rebours" di Huysman (con un po' meno di nevrosi,a dire il vero..).

Il clima di simpatia che percepiamo attorno a noincredo dipenda proprio da questo.
Tornare fra le persone,ascoltarle,farsi carico dei loro problemi (che poi sono i nostri) è un fardello che ci assumiamo volentieri.

E se nei corridoi è echeggiato qualche aggettivo non proprio lusinghieri,se c'è qualcuno che si è chiesto cosa c'è "dietro" a questa esperienza troppo giovane per essere giudicata,vorrei dire che più che a ciò che c'è dietro,è utile guardare a ciò che c'è davanti:persone che si impegnano e impegnano tempo ed energie per passione,e per cercare di dare risposte che non sempre la politica è in grado di dare.E per cercare di stringere quei nodi che tendono ad allentarsi ormai da troppo tempo.

Ai miei amici di DemocraticaMente vorrei dire grazie.
Non so dove ci porterà questa esperienza,ma so cosa mi ha portato finora:la riscoperta della passione politica,e la soddisfazione di fare sul serio senza prendersi troppo sul serio.


La prima è stata buona.
E lo sarà anche la seconda,e tutte le iniziative che verranno dopo.
Metterci impegno,passione e le competenze che abbiamo è già una vittoria.

Allora per chi mi legge l' appuntamento è venerdì 28 ottobre alle 18.00 preso la Fondazione Tronci a Pistoia per un dialogo aperto sul fine vita,a 10 anni dal caso Welby.

Noi ci saremo,con mente specchiata e un'organizzazione secondo taluni da "armata Brancaleone" che però,almeno per la prima prova pubblica,ha funzionato come un orologio svizzero.

Perché col cuore si va lontano.
E se c'è un po' di cervello ancora di più..

giovedì 13 ottobre 2016

Il Giubileo del Lavoro:una bella iniziativa a cura della Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Pistoia



"Cominciate col fare ciò che è necessario,poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprendente a fare l'impossibile"
(San Francesco d'Assisi)

Non ho mai utilizzato questo mio spazio personale per promuovere un'iniziativa.

Stavolta voglio invece farlo, perché questo nostro territorio è ricco di tante esperienze ed energie in grado di proporre spesso un punto di vista originale, ed attraverso questo costruire nuove soluzioni.
E quindi, come ci dice San Francesco, partire dal necessario per arrivare a ciò che sembrava impossibile.

Non nascondo che personalmente vedo nella Diocesi di Pistoia, e in particolare nella Pastorale Sociale e del Lavoro una punta avanzata di questo tessuto così fecondo di idee, progetti e visioni.
Conosco direttamente tante persone che animano questo spazio, e sono legata a loro da stima che spero reciproca; rapporti che si sono sviluppati e sono cresciuti negli anni, fuori dalle relazioni istituzionali nelle quali erano nati.

E allora mi sento di suggerire a coloro che hanno voglia ed interesse a stringere nodi, intessere relazioni e provare ad andare oltre le appartenenze, di partecipare all'iniziativa che si terrà venerdì 14 ottobre alle ore 21.00, alla Cattedrale di San Zeno.

Sarà un momento nel quale, dopo i saluti del Vescovo, Monsignor Fausto Tardelli, e una riflessione a cura dell'amico Renzo Innocenti, i partecipanti potranno raccontare le proprie esperienze sulla realtà del mondo del lavoro, quello attuale, vero, non quello che ci viene troppo spesso raccontato.

Il titolo dell'iniziativa, "Giubileo del Lavoro", ha un sapore di per sé quasi programmatico, in grado di lanciare due sfide, entrambe di grande significato.

La prima: in un momento così complesso come quello che da troppi anni stiamo vivendo,con una crisi talmente potente da rimettere in discussione la coesione sociale anche nelle realtà in cui il tessuto connettivo è più forte, affiancare il tema del lavoro -che spesso è il lavoro che non c'è- a quella che è la festa per antonomasia -il Giubileo, appunto- significa fare una scelta di campo: scegliere la consapevolezza che dalla condivisione nasce sempre qualcosa di nuovo.
È attraverso l'Ecclesia, per i cattolici, o la collettività, per chi la vede in senso laico, che si cresce. O perlomeno ci si mette in condizione di condividere, anche in senso etimologico, i propri dubbi, le proprie paure, le inquietudini personali. E condividendo, il fardello si alleggerisce.

La seconda sfida forse è ancora più significativa: il mondo del lavoro e il mondo cattolico che si incontrano.
Di più: si fondono.
Questa idea richiama davvero quella che Papa Francesco, nella sua Enciclica "Laudato si' "ha definito "ecologia umana", quale missione più alta per il cattolicesimo progressista e militante. Quello più vicino al messaggio del Vangelo, in fin dei conti.
Che guarda agli ultimi senza alcun paternalismo, ma aprendosi a loro, accogliendoli come individui, al di là del loro percorso di vita e delle scelte compiute. E che assieme a loro sceglie di mettersi in gioco, rompendo di volta in volta gli schemi precostituiti.

Questa iniziativa io mi sento di consigliarvela.

Nell'anno che precede quello della Capitale della Cultura, costruire una cultura della solidarietà rappresenta una scommessa che laici e cattolici possono cogliere e vincere assieme.

Il tempo che viviamo, così incerto, instabile e spesso destabilizzante, richiede nuove soluzioni, nuovi canoni interpretativi di urgenze sempre più drammatiche; mi pare che dalla Città della Settimana Teologica, che sarà la Capitale Italiana della Cultura stia prendendo forza un messaggio di grande valore, culturale e sociale prima ancora che di fede.



venerdì 2 settembre 2016

Ministra Lorenzin, avrei due cose da dirle....




Sono una donna di quasi quarant'anni, con problemi di fertilità.
Non me ne vergogno -ora, dopo un percorso lungo e difficile- e non mi sento affatto in colpa.
Nemmeno dopo la vergognosa campagna della Lorenzin.
Che pure ha fatto male, a me come a tante altre donne e tanti uomini che hanno problemi simili.

E dopo alcune ore ho deciso che dovevo reagire.
Con la politica, con l'indignazione e con l' azione.

Abbiamo dovuto leggere frasi crudeli, offensive e inutili, del tutto inadeguate ad un tema così complesso.
Abbiamo dovuto vedere clessidre in mano, a ricordarci l'orologio biologico che corre, pose (peraltro incomprensibili) di piedi intrecciati fra loro, a ricordarci che per essere creativi bisogna essere genitori giovani, e banane afflosciate -che buon gusto, signora Ministra!- a ricordare che anche la fertilità maschile non è poi così invincibile.

Abbiamo dovuto anche leggere il pensiero di qualcuno che riteneva il nostro dolore e la nostra indignazione vuoto moralismo, attacco strumentale a non si sa quale nemico.
Hanno giudicato anche il nostro dolore.

Va bene così.
C'è tanto amore e tanta comprensione fra le persone che hanno intelligenza e sensibilità per capire.

Certo, fa male che questa idiozia l'abbia pensata un Ministro donna, che sa cosa vuol dire avere una gravidanza in età non più giovanissima (sì, Ministro, per me il privato è pubblico, e sarebbe bene che tornasse ad esserlo anche ai "piani alti": in questi momenti di incertezza e precarietà esistenziale, un po' di buoni esempi e di coerenza personale non farebbero male a cittadini sempre più soli e disorientati).

Lo sa, Ministro Lorenzin, quanto costa (qui in Toscana, dove la sanità funziona decisamente meglio che altrove) un trattamento di fecondazione in vitro? Glielo dico io, Signora Ministro.
Costa 3.400 euro, se la fai tramite privato.
E le liste d'attesa sono lunghe, troppo lunghe per chi arriva alla soglia dei quaranta a causa di diagnosi troppo tardive, con questo sogno in tasca e avendo ingollato di tutto. Da quelli che ti tormentano chiedendoti di continuo cosa aspetti, a quelli che ti guardano con compassione, alle donne (sì, ci sono anche queste) che si sentono riassunte solo e soltanto nel ruolo di mamma. anche se fino ad allora erano con te, sulla barricata, a rivendicare il principio di autodeterminazione e la realizzazione della donna come individuo e non SOLO come genitore.

Va bene così, signora Ministro, perchè fuori dalle sue stanze e dai suoi manifesti c'è un mondo stracolmo di persone intelligenti e comprensive. Che amano le loro donne a prescindere dalla loro fertilità. E di donne che amano le loro amiche a prescindere dal fatto che abbiano (o avranno) figli.

E poi, però, non va bene Signora Ministro,
Perchè oltre al rispetto per chi vive situazioni di dolore - evidentemente la sua sensibilità non c'è arrivata- esiste un problema molto più grave, che coinvolge soprattutto lei e tutti coloro che hanno responsabilità diretta di gestione della cosa pubblica.

Perchè esiste chi rinvia la genitorialità -per piacere, il problema non è solo della donna, ma della coppia- non per superficialità, come mi è capitato di leggere, ma perchè non ha un contesto lavorativo o economico che consenta di fare una scelta responsabile. e deve reprimere un desiderio, lo deve reprimere con tanta forza da far quasi male.
Oppure perchè non ha i genitori a disposizione, e non può pagare un asilo nido.
O perchè le politiche di conciliazione non si sono mai fatte in questo Paese. Mai. E quando provi a parlare di bilancio di genere, e sei Amministratrice, capita che i tuoi colleghi ti ridano in faccia. E magari non sei sostenuta da nessuno.
Sembrano pose, materiale da convegnuccio dell'8 marzo (e lì tutti presenti, sì, tutti ad annuire, ché le politiche di genere sono sempre una priorità. Nei programmi, certo.), e invece sono le fondamenta su cui ricostruire il nostro Paese, signora Ministro.

Senza un lavoro stabile, senza soldi, senza servizi, a meno che tu non abbia una famiglia solida alle spalle, tocca rinunciare. (Ma deve essere solida parecchio, eh..)
E se non vuoi comunque rinunciare, ma hai dei problemi, e non hai i soldi per pagare le cure, rinunci comunque.
E infine, rivendico come una grande conquista, che ci siano donne (e uomini) che non vogliono figli, che stanno bene comunque. Solo uno Stato Etico giudica le scelte personali sulla base delle categorie della morale.

Io, al suo posto mi vergognerei tanto, signora Ministro.
Chiederei scusa ai suoi figli, prima di tutto, che sono bellissimi anche se arrivati in tarda età.
Poi alle sue colleghe donne.
Poi al Presidente del Consiglio, bontà sua che siede ancora lì: io l'avrei cacciata.

E infine, più di tutti, chieda scusa a noi.

Sono una donna di quasi quarant'anni, con problemi di fertilità.
Non me ne vergogno e non mi sento affatto in colpa.
Nemmeno dopo la vergognosa campagna della Lorenzin.

Nota: Credevo che la Lorenzin avesse dato il "massimo" con questa campagna, poi ho letto alcuni stralci del Piano fertilità e mi è venuto da vomitare. Ci tornerò sopra, quando i conati si saranno calmati.

venerdì 26 agosto 2016

Qualche spunto molto soggettivo e poco tecnico,per reagire.Tutti assieme.

Esistono in queste ore difficili per tutti noi alcuni spazi nei quali tendo a rifugiarmi.
Credo sia un fatto assolutamente normale,che avviene per tutti noi.


Alcuni cercano conforto nei propri affetti,altri nel lavoro,altri ancora nella leggerezza -che,ben diversa dalla superficialità,è una forma altissima di rispetto per se stessi e per gli altri:la capacità di astrarsi aiuta ad essere più forti.


Io cerco rifugio nella riflessione.
E tante sono le domande che occupano i miei pensieri.
A parte,ovviamente,il vano interrogarsi sui sentimenti che attanagliano il cuore delle vittime del terremoto.
È una domanda oziosa,retorica: solo chi ha provato quel dolore può immaginare.


E allora,qui da casa mia,in una situazione personale non semplice (chi mi conosce sa..),gli interrogativi che hanno senso sono quelli dai quali può nascere una strategia,una prospettiva.


Perché io,che faccio politica perché non farla mi sarebbe impossibile,non posso che voler ripartire da qui.Da quello che possiamo fare.
Non solo con gli aiuti,questo mare di impegno che ogni volta gli italiani sanno riversare sulle vittime.


Ma anche col pensiero.


Ecco,io sento fortissima l' esigenza di un pensiero forte.Che,ben lontano dall'ideologia intesa come ortodossia,è invece l' esatto contrario.




Lo dico subito.Ho apprezzato la conferenza stampa del Presidente Renzi dopo il primo Consiglio dei Ministri successivo al terremoto.
Ho apprezzato la sobrietà del linguaggio,la serietà dell'atteggiamento -che mi è parsa sincera,non affettata -ma soprattutto mi è piaciuto il riferimento alla necessità di fare un salto di qualità.Tutti insieme:cittadini e politica -sistema politico,per la precisione.




Ho poi ascoltato le parole del dott.Boschi e del dott.Tozzi,che hanno spiegato che tutta la nostra dorsale appenninica è soggetta a eventi sismici (e in realtà basta guardare gli eventi succedutisi purtroppo assai frequentemente),e che hanno ricordato che tuttavia tale caratteristica non significa assolutamente doversi rassegnare a morte e distruzione.
Anzi,è vero esatto contrario:possiamo e dobbiamo lavorare perché gli eventi non siano più forti di noi.




Perché Norcia,che pure è stata colpita assai duramente dalle scosse,è rimasta in piedi,mentre Amatrice e altri centri sono stati praticamente spazzati via?
Perché una chiesa costata 300.000 euro,ed inaugurata il 13 agosto 2016 (undici giorni prima del terremoto,avete letto bene...) è crollata,così come l' ospedale costruito con criteri antisismici?


Io penso che ci sia davvero la necessità di un ripensamento in termini strategici non solo delle politiche di contenimento di consumo del suolo,ma anche di messa in sicurezza di quanto esiste.
Siano essi edifici privati,pubblici e/o beni architettonici (e per fortuna l'Italia ne è letteralmente intrisa).


Io non sono un tecnico,non ho le competenze per proporre una soluzione.
Però sono un'irriducibile appassionata della bellezza,che in Italia possiamo cogliere a piene mani semplicemente alzando lo sguardo,in qualunque parte del nostro Paese,e trovo che dovremmo tornare a farci ispirare dal bello e dal buon senso. Come ci hanno insegnato Etruschi,Greci e Romani.
Che sapevano costruire -eccome se sapevano.




Invece, oggi quanto ci preoccupiamo dell'idoneità del terreno su cui si è edificato,dei materiali che sono stati usati,dell'impatto che la costruzione dell' edificio avrà sul sito?


Allora -e sono pensieri di chi non ha,ripeto,alcuna competenza, ma solo il bisogno di riflettere- io credo che possiamo ripartire da qui.
Dall'interrogarci su cosa possiamo fare e come farlo.


Sicuramente,dovremo tornare ad avere un metodo caratterizzato da grande accuratezza.Non guidato unicamente dalla logica del profitto -che pure non è ideologicamente da condannare,purché non sia l'unico fine da perseguire- ma in grado di farsi esso stesso strategia.
Sarebbe bello partire subito con due segnali -uno concreto,e uno simbolico.
Il primo,che "rubo" da Vittorio Sgarbi: fare grande attenzione a che la ricostruzione avvenga nel rispetto delle caratteristiche geomorfologiche e vocazionali del territorio.E sia rispettosa delle caratteristiche della popolazione
Il secondo,dicevo "solo" simbolico -ma in questi tempi liquidi i simboli devono tornare ad avere un ruolo centrale: pensare ad un grande momento di riflessione collettiva,nel quale ingegneri,architetti,urbanisti e rappresentanze organizzate di cittadini possano avviare un processo di definizione di un piano strategico di valorizzazione e messa in sicurezza del patrimonio esistente,e linee stringenti per la costruzione di nuovi edifici ed insediamenti.
Un percorso che detti un'agenda chiara alla politica,con momenti di verifica stringenti e cadenzati.
Credo fra l'altro che sarebbe possibile attingere a risorse europee in tal senso.


Lo so: forse sono banalità,ma da qualche parte bisogna ripartire,e l'ovvio non è sempre necessariamente scontato.

mercoledì 24 agosto 2016

Due belle storie nella tragedia: quando i migranti ci insegnano



In giornate come questa, poco meno di ventiquattr'ore segnate dallo strazio, dall'angoscia e dal cuore sospeso, in cui tante storie si sono sgretolate sotto le macerie, con la terra che muggisce e le case che si ripiegano su se stesse è difficile parlare di ottimismo.
Ma io voglio farlo.

Perchè fra quelle macerie, assieme ai tanti volontari che scavano anche con le nude mani, assieme alle persone che fanno la fila per donare il sangue, assieme ai tanti cittadini che racimolano magari i pochi risparmi di questi tempi duri per donarli alle vittime del territorio, ci sono due belle azioni compiute dai migranti presenti su quei territori.
Sono le storie dei 20 richiedenti asilo che, ospiti di una struttura sita a Monteprandone (Ascoli Piceno) sono partiti come volontari per Amandola, e dei 75 ospiti dello Sprar di Gioiosa Ionica che hanno donato alle vittime del territorio il loro pocket money (ossia i pochi spiccioli -poco più di due euro al giorno- che vengono assegnati loro per comprare piccole cose).

Mi pare che queste due belle storie siano sbocciate come fiori dalle macerie.
La migliore, involontaria risposta a tutti coloro che vanno contrapponendo i migranti (spesso chiamandoli sprezzantemente immigrati), al grido di "rimandiamoli a casa loro, a pedate" (come mi hanno appena scritto su Facebook).

Due piccole, grandi storie che mi hanno dato modo di riflettere su quanto queste vicende di migranti siano ormai intrinsecamente connesse con il nostro tessuto sociale ed urbano.
Due storie che sono giunte nel momento della disperazione, e purtroppo dopo tanti episodi di intolleranza, che si consumano nel silenzio generale, come mi è capitato di riflettere da alcuni giorni, e che hanno colpito anche la mia provincia, nella quale giorni fa, almeno stando alla stampa, il Sindaco dell'Abetone aveva deciso di chiedere al Prefetto la disponibilità di un autobus ad hoc per i migranti, da non condividere con i cittadini.
Per ragioni di sicurezza, o forse addirittura, stando al giornale, perchè altrimenti i giovani abetonesi rischiavano di non trovare posto.
Mi è sinceramente dispiaciuto leggere simili notizie, leggerne proprio con riferimento al mio territorio, quella stessa regione il cui Presidente Rossi si sforza quasi quotidianamente di annullare le distanze, e quella terra che ha dato i natali al Presidente del Consiglio di questo Governo, che con tanta forza si è attivato per gestire il tema delle politiche migratorie.

Sappiamo tutti, e lo sanno i Sindaci per primi, che la questione delle politiche migratorie viene troppo spessa definita emergenza, ed invece ormai è tema che non può che essere strutturale, e non può che interrogarci tutti.
Come cittadini, e ancora di più deve interrogare coloro che fanno politica pur non essendo politici di professione.
Ma non è con la contrapposizione, e con lo scavare solchi più profondi fra cittadini e migranti che terremo insieme le nostre comunità, grandi o piccole che siano.

Come vediamo in queste ore, sono i lavori socialmente utili, assunti anche volontariamente -come hanno fatto tanti Comuni del mio territorio, e come si sta facendo in tante località oggi colpite dal terremoto- che aiutano ad intrecciare nodi fortissimi.

E allora voglio pensarla così: al Sindaco di Amatrice, che ha sconsolatamente detto: "Amatrice non c'è più", vorrei dire -se potessi farlo- che ad Amatrice, e negli altri luoghi squassati dal terremoto in queste ore si sta costruendo una comunità più forte, cementata dalla solidarietà spontanea, che non ha colore, non ha nazionalità, ed è fatta di storie, spesso di dolore.

Chi ha conosciuto l'isolamento, il dolore, la distanza, la privazione della propria identità, può con un gesto ricostruire se stesso, aiutando gli altri.
Due belle storie, due fiori meravigliosi nati dalla sofferenza.


mercoledì 17 agosto 2016

Quali sono i flussi in questi primi 15 giorni d'agosto? Il Capoluogo e il territorio provinciale - alcune impressioni (senza pretese di scientificità)



http://turismoweb.comune.pistoia.it/IW_PT/OSSERVATURISMO/

Dopo il dibattito sul Blues, che ha riempito le cronache locali e i social, e passato il Ferragosto, la curiosità e qualche chiacchiera con alcuni amici, mi hanno spinto a dare un'occhiata ai dati relativi al turismo, che il sito dell'Osservatorio Turistico ci fornisce con una precisione impressionante (a proposito: per la rubrica curiosità, potete vedere qual è il segno zodiacale che va per la maggiore fra i turisti che visitano il nostro territorio!).

In particolare, ero incuriosita dal rapporto fra i flussi turistici registrati dal Comune capoluogo e quelli del territorio provinciale nel suo complesso. No, non per spirito di campanile, ma perché ogni volta che escono i dati turistici, i titoli si incentrano sulle flessioni del turismo a Pistoia, e alcuni potrebbero cadere nell'errore di immaginare che tali flessioni riguardino magari il Comune capoluogo, e quindi ho deciso di curiosare un po' fra i dati.

Preciso che, sopratutto per il 2016, si tratta di dati volatili, non ufficiali, che quindi segnano solo una tendenza: per questo l'analisi che segue non ha pretese di scientificità.

Fatta questa premessa, cerco di schematizzare i vari parametri, per poi tracciare un identikit del turista che visita i nostri territori.

Il periodo preso in esame è rappresentato dai primi 15 giorni di agosto 2016, e dallo stesso periodo dell'anno precedente.

1- LE PRESENZE:
Rispetto ai primi 15 giorni di agosto, la flessione delle presenze turistiche sul territorio provinciale fra lo scorso anno e lo stesso periodo di quest'anno è pari a 12.378 presenze, che corrisponde a circa il 26% del totale. In controtendenza, proprio il Comune di Pistoia, che  guadagna poco meno di 300 presenze, pari a circa il 10% del totale.
Delle presenze totali, lo scorso anno gli stranieri presenti sul territorio provinciale erano quasi il doppio degli italiani (32.847 stranieri contro 15.384 italiani), mentre quest'anno il rapporto è molto inferiore (22.775 stranieri contro 13.078 italiani). E sappiamo che tendenzialmente i turisti stranieri hanno una capacità di spesa superiore a quella degli italiani. Nel Comune di Pistoia il rapporto resta invece  sostanzialmente invariato (1.650 stranieri contro 948 italiani lo scorso anno, e 1.839 stranieri contro 1.028 italiani nel 2016).
Analizzando la variazione in rapporto alle classi di età, sul territorio provinciale la flessione colpisce soprattutto il turismo giovanile (in particolare si riduce di circa un quarto la presenza degli infradodicenni e dei giovani fra i 19 e 34 anni, mentre si riduce di circa un terzo la fascia dei turisti fra i 13 e i 18 anni. Calano soprattutto, anche in questo caso, le presenze dei giovani stranieri).
Nuovamente, il Comune capoluogo registra un dato in controtendenza: crescono di oltre il 10% i minori di 12 anni, e i giovani fra i 19 e i 24 anni (restano invariate le presenze degli infradiciottenni). Crescono, diversamente da quanto avviene nel resto della provincia,soprattutto i giovani stranieri.

In conclusione, sotto il profilo delle presenze, il Comune di Pistoia registra un dato sostanzialmente speculare di quanto avviene a livello provinciale: a Pistoia crescono, rispetto allo scorso anno, le presenze, soprattutto quelle dei giovani stranieri.


2- LA TIPOLOGIA DI TURISMO:
A livello provinciale, lo scorso anno i turisti frequentavano il territorio sostanzialmente per le seguenti ragioni (e tutte più o meno avevano la stessa incidenza): per la cultura, per tempo libero, e il restante per motivi vari, talmente frazionati e variegati che il sistema non lo specifica. Solo pochi turisti frequentavano la provincia per il termalismo, e per ragioni congressuali. Ancora più residuali sport e cicloturismo (nonostante gli intensi sforzi dedicati ai mondiali di ciclismo alcuni anni fa).
Quest'anno, la cultura pesa per oltre il 40% (pari a 3.238 sui 7.821 censiti), ed il restante flusso turistico visita il territorio provinciale soprattutto per tempo libero e per altre ragioni (rispettivamente circa il 29% per il tempo libero e il 20% per altre ragioni). Continuano a incidere poco sport, cicloturismo e affari/congressuale.
Nel comune di Pistoia, lo scorso anno, quasi il 40% visitava la città per l'offerta culturale e più o meno la stessa percentuale si registrava nel tempo libero (precisamente 246 turisti sui 626 censiti venivano per la cultura, e 255 sui 626 censiti venivano per il tempo libero), mentre oggi si viene a Pistoia soprattutto per trascorrere il proprio tempo libero (circa il 60%, pari a 416 turisti sui 719 censiti), e poco meno del 25% dei turisti presenti in città è turismo marcatamente culturale (pari a 168 turisti su 719 censiti).
Che cosa ci dice questo dato? Forse, come me, ve ne sarete meravigliati. Mi sarei aspettata, in virtù della nomina a Capitale della Cultura, un'impennata del turismo culturale.
Ma, riflettendoci, questo cambiamento qualitativo -che si innesta sul quadro quantitativo di crescita complessiva di cui dicevo in apertura,  soprattutto sul turismo giovanile- è perfettamente in linea con la scelta dell'Amministrazione nella costruzione del Dossier di Pistoia Capitale Italiana della Cultura: fin dalla presentazione del Dossier, il Sindaco ha sottolineato che la scommessa non era "soltanto" sugli istituti culturali cittadini e sulla cultura "formale". Si intendeva invece promuovere il "sistema Pistoia" (quello che i più aziendalisti chiamerebbero brand, termine che non riconosco quando si parla di cultura), e la stessa Commissione ha ribadito questa peculiarità di Pistoia nell'attribuirle il riconoscimento.
Ecco: così anche i flussi turistici, confermano questa caratteristica, e scopriamo che i turisti hanno già iniziato a venire in grande quantità a Pistoia per passare il proprio tempo libero, per vivere la città nel suo complesso.

  
3- LA DURATA DELLA PERMANENZA:
A livello provinciale, rispetto allo scorso anno calano le presenze di un solo giorno e crescono quelle da 2 a 6 giorni e più.
Sostanzialmente, Pistoia conferma questo dato.
Sotto questo profilo, mi ha particolarmente colpito la sostanziale omogeneità della durata della permanenza dei turisti sul territorio del comune di Pistoia rispetto a quanto avviene per il resto della provincia: sembra che cada l' idea che a Pistoia si abbia un turismo mordi e fuggi, più di quanto non avvenga nel resto della provincia, mentre le percentuali sono sostanzialmente le stesse.


Concludendo, mi pare che si possa tracciare il seguente quadro.
Il turismo cala di circa un quarto nel territorio provinciale, mentre cresce del 10% nel territorio del capoluogo. Cala, in provincia, soprattutto il turismo dei giovani stranieri, mentre cresce a Pistoia soprattutto il turismo giovanile.
Il turista viene nella Città capoluogo per viverla in tutti i suoi vari aspetti, per godere del complesso dell'offerta cittadina.
A Pistoia non abbiamo più un turismo mordi e fuggi, ma si replica sostanzialmente l'andamento delle permanenze che si hanno nel resto del territorio.


Voglio, in chiusura, ringraziare la Provincia di Pistoia: questo Ente, che oggi molti definiscono inutile (anzi, lo definivano tale finché non hanno avuto necessità di tagliare l'erba, riparare le strade, aprire le scuole..) ha da sempre rappresentato un'eccellenza nel panorama regionale, e ha costruito un monitoraggio davvero prezioso, che consente di avere in tempo reale i dati, e quindi ognuno di noi può "divertirsi" a leggere quello che accade.

Infine, come nota metodologica, ribadisco che il quadro che ho tracciato, ha solo un valore tendenziale, poiché non sono dati consolidati: l'ufficialità la ritroveremo nell'analisi che redigerà l'Osservatorio Turistico. Tuttavia, mi pareva che queste tendenze fossero piuttosto interessanti.


venerdì 12 agosto 2016

Alcune storie degli atleti di Rio 2016: quando lo sport si fa vita


Come sa chi mi conosce, non amo particolarmente lo sport. 
Ho provato a praticarlo da ragazzina, ma non c'era verso: troppo lenta per la corsa, troppo sgraziata per il pattinaggio, troppo competitiva per la pallavolo (nel senso che entravo in competizione con le mie compagne di squadra!).
Appesi scarpe e pattini al chiodo, non mi  è rimasto altro che seguirlo in TV, essendo peraltro sposata ad un uomo che ama lo sport, qualunque esso sia.

C' è da dire però che riconosco allo sport alcuni grandi pregi. 
In particolare, la capacità di insegnare la disciplina, il sacrificio, e di essere di per sè democratico: nello sport non puoi ingannare -salvo il doping, ma insomma, oggi come vediamo i controlli sono sempre più rigidi, e comunque alla lunga anche il doping non basta- se sei bravo vai avanti, altrimenti fai come me.

E le Olimpiadi sono sempre un momento di grande festa: colori e discipline che si mescolano fra di loro, e ci consentono di scoprire nuovi campioni, nuovi sport, nuovi legami.
Mi pare che Rio 2016 abbia da questo punto di vista contribuito davvero tanto, perchè ho scoperto, fra le pieghe del medagliere, tante storie che mi hanno colpito.
Storie difficili, di coraggio, dolore, abnegazione e -alla fine- trionfo, che può esserci al di là delle medaglie, e può esaurirsi anche solo nel partecipare alla gara.
Voglio provare a raccontarvene alcune.

Partiamo dalla divina Simone Biles, che ieri, a quanto ho potuto vedere -io ero fuori, mannaggia!- ha stregato il pubblico con un esercizio, in particolare al corpo libero, che ha ricordato a tanti il mito Comaneci, inventando addirittura un passaggio, e sfiorando la perfezione nel punteggio. Forse non tutti sanno che questa giovanissima atleta ha alle spalle una storia difficile, che avrebbe potuto trasformarla in una giovane introversa e solitaria:  la madre di Simone era tossicodipendente, e a soli tre anni lei ha dovuto andare a vivere col nonno. Poi, tre anni più tardi, l'ingresso in una palestra, e l'amore per questa disciplina, che l'ha presa sollevandola più su, sempre più su, lontana da un'infanzia difficile, e al centro di quel podio.

C'è poi la nuotatrice statunitense Kathleen Baker, che ha vinto l'argento nei 100 metri dorso, nonostante soffra del morbo di Crohn, una brutta infiammazione all'intestino che provoca gravi e dolorosi attacchi. Un'atleta che ha dovuto convivere col dolore e che grazie all'acqua ha superato i tanti ostacoli che le si paravano davanti. Tanto che ha subito dichiarato: "Spero che la mia vittoria sia di ispirazione a tanti." La lezione è che non ci si può lasciar abbattere. Mai. Finché la parola "FINE" non è scritta con inchiostro indelebile.

Una storia simile è quella del britannico Chris Mears, che assieme a Jack Laugher ha portato alla Gran Bretagna il primo oro nei tuffi sincro dal trampolino tre metri. Forse non tutti sanno che Chris aveva contratto a 16 anni il morbo di Eipsten-Barr, che provoca la frattura della milza. A questo ragazzino inglese avevano dato solo il 5% di possibilità di rimanere in vita. E lui, anni dopo, ha risposto con un oro a Rio de Janeiro. Anche lui non ha mollato.

Non è stato da meno Lawrence Brittain, medaglia d'argento al due senza nel canottaggio, cui è stato diagnosticato un tumore ai linfonodi. Non so come proseguirà la sua vicenda personale, ma di sicuro sappiamo che ieri ha vinto. Due volte: sulla barca e contro la disperazione.

Diversa, ma non meno difficile, la storia di Rafaela Silva, nata e cresciuta in una favela. Rafaela è stata tratta in salvo dal padre, che l'ha avviata ad un progetto per giovani nati nelle favelas, grazie al quale ha potuto avvicinarsi al judo: un amore che oltre a portarla lontano da solitudine e povertà, l'ha portata sul secondo gradino del podio nella categoria dei 57 Kg. Ce l'avrebbe fatta, Rafaela, senza lo sport? Forse sì, o forse no. Di sicuro sappiamo dov'è arrivata.

E poi c'è Yusra Mardini, nuotatrice siriana, ma appartenente alla squadra dei rifugiati- questa novità bellissima che Rio de Janeiro ci ha regalato- che ha partecipato ai 1o0 metri stile libero e farfalla. E che è arrivata alle Olimpiadi dopo aver tratto in salvo la sua famiglia, spingendo fino alla costa quella barca maledetta che si era fermata durante uno dei viaggi della speranza di cui apprendiamo -quando giornali e TG ce lo dicono- quasi ogni giorno.

Tutte queste storie -e forse anche altre che io non ho trovato- ci dicono due cose.

La prima: c'è sempre speranza. Sempre. Anche quando tutto intorno sembra crollare, devi provarci. Devi provare a superare i tuoi limiti, a forzare più di quanto tu credessi di poter fare. Magari poi il tuo mondo crolla comunque, ma almeno  tu sai di aver fatto molto più di quanto la ragione e la razionalità sembravano suggerire.
La seconda: lo sport può davvero essere una grande spinta di vita. Una grande, immensa opportunità di crescita, indipendentemente dai risultati che si raggiungono. Come ogni grande passione, e forse più di tanti altri campi di impegno, può essere elemento di emancipazione. Dalla malattia, dalla povertà, dall'emarginazione. 

Queste Olimpiadi, mi hanno insegnato cose che mai avrei creduto di pensare. 
E allora sì, se mai avrò un figlio, vorrei davvero che praticasse sport. Qualunque sport, ed indipendentemente dalle sue capacità o idoneità.

E infine, Rio 2016 -per lasciarci con una nota positiva- sono state anche le Olimpiadi dell'amore.
Quello che unisce Marjorie Enya, volontaria addetta al campo di rugby, alla rugbista Isadora Cerullo, e sfociato nella proposta di matrimonio e nel bellissimo bacio, che per me è fra le immagini simbolo di questa Olimpiade.

E l'amore che unisce la nostra amazzone, Valentina Truppa -fra l'altro, vittima lo scorso anno di un infortunio che le provocò il coma- verso il proprio cavallo, infortunatosi pochi giorni prima della gara, ma subito guarito.

Vi lascio con le parole che su Facebook Valentina ha dedicato al suo fedele compagno: 

«A te compagno di mille avventure dopo 15 anni insieme,vincitore morale di questa olimpiade per tante ragioni non ultima la ripresa in 24 ore dall'infortunio, tirando fuori il tuo lato guerriero, sono stata più cauta io poi, posso solo dire GRAZIE con tutto il mio cuore per quest'ultima grande avventura! Abbiamo affrontato tutto insieme da junior a un'olimpiade, cosa si può chiedere ancora? Ora mio grande compagno di vita avrai il giusto riposo che un campione come te merita. Grazie per i risultati dati a me e all'Italia in questi anni. Sarai il mio eroe sempre! Con amore, Valentina».